"Man mano che va avanti la più grande crisi della storia d'Europa, il Regno Unito e il resto dell'Unione si dirigono in direzioni diametralmente opposte. Concentrata ormai da tre anni sulla crisi dell'euro, Berlino chiede di riaprire i trattati europei per facilitare una maggiore convergenza - o abdicazione, a seconda del punto di vista - della sovranità nazionale per rendere possibile la creazione di un'Europa federale. Ciò porterebbe alla nascita di un governo centrale europeo che avrebbe prerogative esclusive in tema di potere fiscale e di spesa. Ma il Regno Unito ne è escluso". Questo l'incipit del contributo di Ian Traynor per il Guardian, che mette in guardia, dal punto di vista britannico, dai disegni egemonici tedeschi sul rinnovato processo di integrazione europea. Berlino sta manovrando per rafforzare la sua egemonia economica (e ormai politica) sull'Europa continentale, privilegiando l'interesse nazionale a una profonda, inclusiva e democratica riforma dell'architettura europea. Le recenti scelte di politica europea prese dell'esecutivo di Angela Merkel sono avversate da Jurgen Habermas che, insieme ad altri intellettuali tedeschi di area riformista, mette sotto accusa "le reazioni particolaristiche degli interessi nazionali (che spiegano) il fallimento di quell'approccio globale coordinato (contro la crisi) proposto per la prima volta al G-20 di Londra nel 2009". Secondo il noto filosofo e storico tedesco: " Una grande potenza economica come la UE ... dovrebbe svolgere una funzione di avanguardia ... Il trasferimento di sovranità alle istituzioni europee è ormai inevitabile, se si vuole applicare efficacemente la disciplina di bilancio e garantire un sistema finanziario stabile. Allo stesso tempo, si avverte l'esigenza di un maggiore coordinamento delle politiche finanziarie, economiche e sociali dei paesi membri con l'obiettivo di compensare gli squilibri strutturali nell'area della moneta unica". I mali europei non sono tuttavia riconducibili ai soli problemi economici. Il deficit democratico che si avverte in tutto il continente è all'origine del malessere sociale che alimenta quella che i ricercatori della London School of Economics and Political Science (LSE) definiscono "politica sotterranea", distinguendola dall'anti-politica.Secondo quanto afferma la professoressa LSE Mary Kaldor, "le principali forze politiche europee descrivono l'attuale crisi in termini prettamente finanziari, ma la nostra ricerca suggerisce che la crisi in Europa sia soprattutto politica, perché le proteste non sono riferite all'austerity in quanto tale, ma si concentrano piuttosto sui fallimenti della democrazia, sul modo in cui viene attualmente gestita." L'Europa rischia di diventare terreno di conquista del particolarismo e del populismo, che storicamente prosperano nei momenti prolungati di crisi. L'unico modo per evitarlo è prendere atto del fatto che l'Europa da grande progetto di emancipazione si sta trasformando in un apparato burocratico e tecnocratico, i cui meccanismi decisionali appaiono a cittadini opachi e anti-democratici. L'emergere della politica sotterranea rappresenta non solo un campanello d'allarme, ma anche una grande opportunità di ricostruire il tessuto democratico continentale come presupposto di una politica più autorevole ed efficiente. Questione politica ed economica risultano peraltro intrecciate. Un recente editoriale apparso sull'Economist pone il tema dello strisciante conflitto economico che contrappone le sempre più inquiete nuove generazioni ai baby-boomers, i nati in Occidente tra il 1945 e il 1964: "I ‘boomers' hanno beneficiato di una serie di tendenze economiche, politiche e sociali (la crescita del trentennio 1945-1975, la costruzione del welfare state, la diffusione del lavoro femminile) che hanno consentito loro di vivere un'esistenza più agiata e gratificante sia dei loro padri che dei loro figli e nipoti". Detenendo in larga misura il potere politico ed economico, la generazione nata e cresciuta nel secondo dopoguerra è ancora in grado di condizionare a suo vantaggio il processo decisionale al massimo livello, entrando spesso in rotta di collisione con gli interessi delle fasce più giovani della popolazione. I rapporti di forza sono inevitabilmente destinati a cambiare, aprendo una nuova fase del conflitto intergenerazionale senza precedenti che la crisi globale ha determinato.
Non c'è modo di sapere come e quando finirà. È tuttavia sempre più evidente, man mano che va avanti la più grande crisi della storia d'Europa, che il Regno Unito e il resto dell'Unione si dirigono in direzioni diametralmente opposte. Concentrata ormai da tre anni sulla crisi dell'euro, Berlino chiede di riaprire i trattati europei per facilitare una maggiore convergenza - o abdicazione, a seconda del punto di vista - della sovranità nazionale per rendere possibile la creazione di un'Europa federale. Ciò porterebbe alla nascita di un governo centrale europeo che avrebbe prerogative esclusive in tema di potere fiscale e di spesa. Ma il Regno Unito ne è escluso.
Recentemente, Il Sole 24 ore ha ripreso una nota comparsa sul blog "Voci dalla Germania". L'articolo annunciava, citando Die Welt, la preparazione da parte di Sigmar Gabriel, presidente del SPD, di un progetto di referendum sulla Costituzione per superare i limiti imposti alla condivisione del debito europeo attraverso istituzioni politiche europee comuni. La posizione di Gabriel prende spunto dalle tesi sulla Costituzione europea di Habermas. Il filosofo, contemporaneamente alla proposta del leader SPD, ha pubblicato sulla FAZ un essai scritto con Peter Bofinger e JUlian Nida-Rumelin.
E' stato presentato a Bruxelles un report curato dalla prestigiosa London School of Economics and Political Science (LSE). Il lavoro di ricerca fa il punto sui recenti movimenti di protesta e sulla "politica sotterranea" in Europa, confutando l'automatico accostamento tra crisi economica e contestazione proposto da molti politologi e sociologi negli ultimi mesi. Infatti, sostengono i ricercatori della LSE, l'elevato livello di disillusione politica che si percepisce in tutto il Continente non può essere spiegato facendo semplicemente riferimento alla frustrazione dovuta ai tagli e all'austerity.
Mentre ancora ci si dibatte nella morsa della crisi, una grande questione si profila all'orizzonte e promette di indebolire le basi della tanto agognata ripresa mondiale. Un recente e documentato editoriale apparso sull'Economist, oltretutto tra i più letti dell'ultimo mese nella versione online della rivista britannica, pone il tema dello strisciante conflitto economico che contrappone le sempre più inquiete nuove generazioni ai baby-boomers, i nati in Occidente tra il 1945 e il 1964.
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