La prima Repubblica è stata distrutta, ma gli apprendisti stregoni che hanno compiuto la distruzione non sono stati capaci neppure di immaginare la seconda, aprendo un vuoto istituzionale e politico nel quale tutte le peggiori avventure sono possibili. Ormai è tardi, i danni compiuti rischiano di essere irreversibili. Nella furia “rivoluzionaria” non si è ragionato sul fatto che è impossibile ottenere forzatamente un risultato politico (e cioè la riduzione a due partiti) attraverso una legge elettorale, perché, al contrario, le leggi sono il prodotto di una situazione politica. La proposta dei socialisti per uscire dal caos è sempre stata la stessa: il sistema proporzionale con soglia di sbarramento.
La realtà della società politica italiana ha caratteristiche sue proprie. Essa è fatta da una molteplicità di tradizioni, culture, specifiche identità ed interessi. E’ vero che l’evolversi delle esperienze o esigenze e interessi di natura varia forzano determinate omologazioni, associazioni ed anche la nascita di nuove identità più complesse, ma non è men vero che la realtà politica non può essere modificata e trasformata mediante un eccesso di forzature e di imposizioni.
In Italia, dal 1993 in poi abbiamo via via negativamente sperimentato forme atipiche e/o improprie di bipolarismo. È bene che ce ne rendiamo conto fino in fondo: il “bipolarismo dei 44 partiti” così come “l’alternanza dei ribaltoni ricorrenti” fino al “maggioritario privo di maggioranze capaci di governare” sono solo le caricature di una politica moderna. Che non può essere prodotta neppure dal referendum.
Il venir meno dell’Urss non cambiò la posizione italiana nell’alleanza occidentale, ma fece sì che le tematiche della sicurezza alterassero la posizione del Paese nel paradigma Est-Ovest. Gli attori più piccoli furono allora costretti a considerare con più attenzione i propri interessi e a prendere decisioni basate sull’attenta considerazione di dove quegli interessi fossero localizzati. L’instabilità nei Balcani e in Medio Oriente diventarono problemi poiché l’Italia non poteva più delegare agli Stati Uniti o alla Nato, ma doveva (e deve) scegliere il corso d’azione più adatto.
Dopo la breve illusione delle ripresa economica globale, il costante peggioramento degli indici borsistici, l’erosione del potere d’acquisto e la consistente perdita di posti di lavoro preannunciano un futuro prossimo carico di incertezze. Mentre cresce il fronte dell’insoddisfazione sociale, muta anche l’obiettivo degli strali popolari: non più il delinquente o l’immigrato riottoso all’integrazione, ma i “poteri forti”, incapaci di gestire il sistema globale e le sue risorse finanziarie e tecnologico-ambientali. Tuttavia, è bene precisare che scagliare anatemi e additare nuovi responsabili serve a poco, se non a fomentare la rabbia sociale, a stressare pericolosamente i nervi già tesi della coscienza collettiva. Come ha insegnato lo straordinario e terribile ventesimo secolo, l’unica via per uscire dalla crisi complessiva che sta investendo il nostro mondo è cercare di comprendere, evitare semplificazioni e operare per il necessario cambiamento.
CON I CONTRIBUTI DI
Gianni Silei, Anne Power, Guido Martinotti, Marco Lombardi, Vincenzo Marino, Elisa Barozzi, Paolo Bellini, Salvatore Licata
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