di Stefano Carluccio
Ad aprile si fanno le nomine: una quarantina di Enti importanti e 400 consigli d’amministrazione di Enti “minori”. Tutti Enti pubblici statali.
Poi ci sono le privatizzazioni, su cui c’è ancora da molto da trattare.
Poi c’è il semestre europeo.
Il Foglio di Ferrara l’altro giorno ha fornito una mappa interessante degli sponsor di Renzi: Alberto Nagel (ad di Mediobanca), Jacopo Mazzei (presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo), Gian Maria Gros-Pietro (presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo), Giorgio Squinzi (presidente di Confindustria), Marco Tronchetti Provera (presidente di Pirelli, vicepresidente del cda di Mediobanca), Gianfelice Rocca (Assolombarda), Lorenzo Bini-Smaghi (presidente di Snam), Renato Pagliaro (presidente di Mediobanca), Francesco Gaetano Caltagirone (presidente del gruppo omonimo ed editore del Messaggero), Fabrizio Palenzona (vicepresidente di Unicredit), Andrea Guerra (ad di Luxottica) e ovviamente Carlo De Benedetti (editore del gruppo Espresso).
Sempre il quotidiano dell’Elefante, precisava inoltre che “con alcuni di questi nomi (Nagel, Pagliaro, Palenzona, Greco, Caltagirone, Rocca) Renzi ha un rapporto indiretto mediato dai filtri creati dagli amici Marco Carrai e Alberto Bianchi, entrambi punti di riferimento del Rottamatore nel mondo dell’establishment (il primo, tra le tante cose, è consigliere dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, quarto azionista di Intesa Sanpaolo, il secondo è il tesoriere della fondazione Big Bang di Renzi, e fratello di Francesco Bianchi, capo del Maggio musicale, ex direttore responsabile dello sviluppo strategico in Banca Intesa, fino al 2011 consigliere nel cda di Banca Popolare di Milano). Con molti altri il rapporto è invece diretto e in diversi casi la richiesta di mettere un punto a questa esperienza di governo – premi il tasto finish, Matteo – il segretario l’ha ricevuta personalmente. E’ andata così con Tronchetti Provera (con cui Renzi è andato a colazione la scorsa settimana). E’ andata così con De Benedetti (con cui Renzi ha costruito un rapporto cordiale). E’ andata così con Della Valle (che dopo un periodo di rapporti burrascosi con Renzi è diventato un sostenitore della linea della rottamazione del governo, e che ogni tanto a Milano, negli uffici della Tod’s in Corso Venezia 30, organizza pranzi per il sindaco con alcuni osservatori stranieri). Ed è andata così, per esempio, anche con Mazzei (che prima di arrivare ai vertici di Intesa è stato presidente dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e che proprio a Firenze ha visto la figlia Violante sposare Bruno Scaroni, figlio di Paolo, ad dell’Eni)”.
Praticamente Giuliano Ferrara ha pubblicato le “basi materiali della staffetta”.
Noi non siamo esperti di poteri forti, ma “politicamente” se sommassimo gli spazi che si aprono a breve con i curricula (e le aspirazioni) di questi nomi, possiamo ipotizzare che dietro tanta agitazione per “cambiare allenatore” e “caricare la pila” del governo c’è una spartizione che aspetta. Sul bagnasciuga della seconda repubblica si mangia con le mani. Nemmeno ai tempi della partitocrazia della prima repubblica c'era tanta sfacciatagine.
Se per di più tutto questo accade ora, adesso, prima dell’Italicum che - se lo si analizza bene - è peggio della legge Acerbo di Mussolini in quanto esclude dalla rappresentanza (con due blocchi, sopra e sotto) il 36 per cento degli gli elettori prima ancora di andare a votare, contro il 25 per cento degli esclusi (il blocco era solo sopra) dalla legge che instaurò il fascismo, immaginate cosa succederà dopo, quando non gli Enti, ma le Istituzioni pubbliche saranno oggetto del “bottino” di un “partito unico” del futurismo dossettiano, dove non esistono sensi di colpa a sbrigarsi nell’arraffare perchè si è moralmente elite. Lo ricordava Gianni Baget Bozzo di colui che Renzi dichiara essere fonte della sua cultura politica (con La Pira): è dallo Stato, e dall’elites che lo possiedono, che sorge il diritto non dal popolo (che fa casino).
La replica di Enrico Letta al “segretario” ( il che evidentemente nel linguaggio sfumato della scuola politica che Letta conosce perché ha fatto ottimi studi, ci rivela che prima della conferenza stampa era evidentemente stato convocato per essere ricondotto all’ordine di partito) è stata distaccata e algida, ma soprattutto “istituzionale”. Il programma di governo è un accordo di coalizione non un referendum delle primarie.
Al di la del merito del piano “Impegno Italia", la lezione che Letta ha impartito è stata quella della liturgia vigente nella Repubblica Parlamentare, finche tale rimane: i governi nascono e cadono in Parlamento e del governo ne risponde il presidente del Consiglio (art.192 tanto caro a Scalfari negli anni 80 per rivendicare l’autonomia del Presidente dalle logiche spartitori delle segreterie, come Repubblica sosteneva allora, prima che Renzi uscisse dalle scuole medie).
Dunque non sarà la Direzione di oggi che sfiducerà il presidente del Consiglio, ma solo il gruppo parlamentare del PD potrebbe farlo. Interrompendo l’attività del “suo” governo, “per fare presto” le riforme, anzi le “nomine”. senza pudore verso il ridicolo poiché i "renziani" ci informano ogni giorno da settimane che essere sarebbero già state fatte “in dieci giorni, dopo anni che se ne parla”: legge elettorale, abolizione del Senato, riforma del Titolo V. E dove sono queste riforme? Chi le ha viste? Di quelle costituzionali non sono stati presentati nemmeno i disegni di legge alla Canera. Dov’è il Job Act e il foglio excel?
Ecco come si perde la testa quando la leadership non è generata e ancorata alla sovranità popolare. Si diventa “palloni gonfiati”. Come dice Tremonti nel suo pamphlet “non manca solo la legge elettorale, mancano gli elettori”.
E sembra che ci sia chi non li vuole nemmeno tra i piedi.
Ci sono gli Enti, ragazzi, riunione alle 7!