La trattativa per l'integrazione europea che aveva all'inizio l'obiettivo della unificazione economico monetaria, con il problema del'unificazione tedesca si capovolge: centrale diventa agganciare all'Europa la Germania che sta per riunificarsi e il Trattato riscritto all'Argentario in bozza da Delors e De Michelis mette in primo piano la riunificazione politica a cui la moneta unica servirà - queste le intenzioni che De Michelis spiega accuratamente nell'articolo per la rivista Limes nel n 3 del 1996 (prima dell'entrata in vigore dell'Euro) - a impedire una Germania a metà strada tra Ovest ed Est. De Micheli ricorda infatti che nella stesura finale del Trattato la Moneta unica è prevista in un futuro protocollo allegato all' intesa di Maastricht, il cui obiettivo resta il Mercato Unico in vista di Istituzioni politiche federali-confederali con Difesa e Politica estera comuni. La moneta unica è il mezzo per una sottrazione di autonomia del marco al fine di una certa e irreversibile integrazione tedesca nell' Unione Europea.
Gianni De Michelis - Limes n 3 1996
"Negli ultimi mesi di negoziato, nel corso del 1991, si accentua il braccio di ferro con i tedeschi sull’unione monetaria. I pallini di Kohl sono i parametri di convergenza, e l’indipendenza della Banca europea, soprattutto come garanzia della stabilità dei prezzi. È chiaro che la moneta unica non si può fare senza un certo livello di convergenza fra le politiche economiche degli Stati membri. Ma il nostro ministro del Tesoro, Carli, si batte con forza contro un’interpretazione ideologica dei parametri. «Non ci sono numeri magici, per cui il 3,1 è male e il 2,9 è bene», ripete ai tedeschi.
Non è un caso che i quattro parametri di cui oggi tanto si discetta sulla stampa non siano inclusi nel testo del Trattato, ma siano collocati in un protocollo aggiuntivo. Questo vuol dire che gli organi dell’Unione possono interpretarli senza che questo debba comportare una modifica del Trattato e quindi la necessità di passare per una nuova ratifica da parte dei parlamenti nazionali. L’unico criterio rigido, su cui l’accordo è generale, è quello che riserva l’ingresso nella terza fase dell’unione monetaria ai soli paesi che abbiano mantenuto stabile per almeno due anni il rapporto di cambio della propria con le altre monete europee".
Il rischio dell’Europa tedesca diventa molto forte. Vi è la possibilità che la Germania tuteli le proprie prerogative, che non voglia più farsi carico della stabilità europea. L’altra strada non è certo l’Europa com’è oggi. L’altra strada è inevitabilmente un’Europa che scelga di scommettere e di accettare la sfida di un nuovo mondo post-bipolare. Un’Europa che si immerga nel mondo globalizzato, il mondo multipolare, il mondo in cui c’è non solo la Cina, ma l’Asia dell’Est, non solo l’India, ma l’Asia del sud, non solo il Brasile ma l’America Latina. Un’Europa che decida di espandere il suo orizzonte di integrazione verso est e verso sud e accetti la sfida che io chiamo Euro-mediterranea, ma che in realtà è Russo-mediterranea. Un’Europa che acconsenta di farsi carico della Russia e di quello che resta dell’impero sovietico e di allargare la propria sfera di integrazione ai paesi dell’area mediterranea allargata, cioè del Nord Africa, del Medio Oriente, del Golfo fino all’Iran, confrontandosi ovviamente con tutti problemi connessi. Questa è la scelta che sta di fronte al Paese e naturalmente dal punto di vista dell’ interesse italiano non ho dubbi, e non dovrebbe averli nessuno: l’Europa Baltica, l’Europa tedesca, esclude l’Italia. Esclude non solo il sud dell’Italia, ma esclude anche il nord dell’Italia.
Dobbiamo contribuire a convincere i tedeschi ad affidarsi a un modello più inclusivo di Europa, la prospettiva che io credo tra l’altro più utile alla Germania stessa. E penso che il nostro Paese dovrebbe avere almeno una parte dell’opinione pubblica e soprattutto della classe dirigente, in grado di capire l’importanza di questa partita e di giocarla bene.
Se i nostri decisori avessero capito venti anni fa che era nell’interesse del nord avere una politica mediterranea e che vi era la necessità di svilupparla in direzioni ben precise, probabilmente saremmo più avanti e avremmo guadagnato del tempo prezioso.
per un’introduzione della discussione per il convegno del 23 marzo 2012
(ovviamente base per possibili aggiunte e/o correzioni)
· Le cause profonde del cambiamento sono rappresentate dalle dinamiche demografiche (aumento differenziato tra le varie regioni del pianeta, invecchiamento anche esso differenziato, urbanizzazione, fenomeni migratori) e dalle conseguenze per la sostenibilità dei meccanismi di welfare (soprattutto previdenza e sanità); dalle innovazioni tecnologiche (soprattutto in materia di comunicazione e di information technology; leggi internet e nuovi media, telefonia cellulare e televisione satellitare) e dall’aumento della scolarità e dei livelli di educazione, soprattutto femminili.
· La crisi è la conseguenza dell’incapacità della comunità internazionale di riuscire a delineare i connotati di un nuovo ordine mondiale, che tenesse conto dei fattori di cambiamento e fornisse dei meccanismi di governance adeguati che ovviamente non potevano essere rappresentati dalla sostituzione dalla precedente logica bipolare ad una logica unipolare (fosse essa dell’intero Occidente – G7/G8 – o dei soli Stati Uniti).
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