Per i sindacati quello della multinazionale dell'acciaio è un ricatto per uscire da una situazione diventata ingestibile
LA MITTAL PRESENTA IL CONTO AL GOVERNO
di Beppe Sarno
"Critica Sociale", di cui mi onoro di essere collaboratore, aveva denunciato in anticipo quello che si sarebbe verificato in questi giorni e cioè un odioso ricatto dal parte della multinazionale "Mittal" che è venuta in Italia con la complicità di una classe politica succube per uscire dall'Ilva di Taranto con la borsa piena di soldi lasciando alle sue spalle solo macerie, disoccupazione inquinamento e tutti i problemi irrisolti.
La Mittal è una multinazionale che dovunque è andata ha preso soldi, chiuso fabbriche e provocato danni all'ambiente. E' successo in Francia, in Ucraina, negli Stati Uniti in Canada. La nostra classe politica al governo ha finto di non saperlo e dopo una causa celebrata avanti al Tribunale di Milano ha accettato tutte le condizioni chieste dalla multinazionale.
Sarebbe interessante sapere che fine ha fatto l'indagine che la procura di Milano aveva promosso nei confronti della Mittal. Ormai però dei magistrati non c'è pia fidarsi e Milano è diventato un pozzo nero come Roma. Tutto sparisce senza lasciare tracce.
Ora la Mittal con l'alibi del coronavirus stracciando l'accordo raggiunto davanti a giudici milanesi dice che quell'accordo non è più praticabile e rilancia ponendo una serie di condizioni ce preludono alla fine dell'industria siderurgica italiana: drastica riduzione dei lavoratori con conseguente riduzione della produzione di acciaio che viene ridotta a 6 milioni di tonnellate all’anno. Il rifacimento dell’altoforno 5 rimane invece nel libro dei sogni e così addio ad una produzione maggiore di quella preventivata.
Inoltre la Mittal chiede allo Stato italiano due miliardi di euro in parte sotto forma di prestito garantito dalla Sace, 200 milioni a fondo perduto con causale Covid. A questi soldi va aggiunto circa un miliardo, che è la somma chiesta per far entrare lo Stato nel capitale della società e poi ancora altri soldi da recuperare da quelli che l’amministrazione straordinaria, gestita dai commissari, ha ricevuto dalla transazione con i Riva, gli ex proprietari dell’Ilva.
I sindacati indignati denunciano la manovra della Mittal che in buona sostanza è solo un ricatto inaccettabile per sottrarsi alle proprie responsabilità e uscire da una situazione divenuta per la multinazionale ingestibile.
Il Governo è diviso: il ministro dell'Economia Gualtieri vorrebbe continuare trattare con la MIttal. Sorge spontanea la domanda perchè trattare con un'azienda che ha dimostrato di non tener in nessun conto gli accordi che di volta in volta straccia per ottenere condizioni più favorevoli, consapevole che ogni volta nel governo c'è qualcuno che le terrà bordone? Che senso ha trattare con un'azienda che ha svuotato i magazzini dell'ILVA di Taranto mettendo la fabbrica in condizione di non produrre e che del piano di risanamento ambientale non se ne preoccupa?
I cinque Stelle invece propongono la nazionalizzazione dello stabilimenti attraverso l'ingresso della Cassa depositi e prestiti.
Intanto a soccorso della multinazionale esce l'intervista all'ex ministro dello Sviluppo Calenda il quale dichiara che " l’unica via è “far restare Mittal con un nuovo accordo”, reintroducendo lo scudo penale. Perché pensare a una gestione statale dell’acciaieria di Taranto ”è una follia”. e perchè? Perchè nessuno parla inglese dice Calenda.
Inconcepibile!
Calenda più preoccupato di far demagogia elettorale riesce a sostenere che la MIttal ha rispettato tutti gli impegni assunti e che la colpa è di questo o quello, oltre a dire che lui è stato il miglior ministro dell'industria.
Cosa significa tutto questo? Cosa si nasconde dietro questo gioco delle parti?
Da una parte la MIttal, come abbiamo sempre sostenuto e come a Taranto tutti sanno, voleva solo le quote di acciaio e poi chiudere. Questa parte del progetto è riuscita.
Contemporaneamente c'è chi da questo disegno criminoso si aspetta di lucrare sulla chiusura dello stabilimento.
Infatti una volta chiuso lo stabilimento o perlomeno"l'area a caldo" l'Enel e l'ENI potrebbero rilevare le due centrali a prezzo di realizzo.
Emiliano, da parte sua, ha interesse a trasferire l'arrivo del gasdotto TAP a Brindisi e da lì con il pretesto di alimentare l'ILVA portare il gas a Taranto. La Total a sua volta vuole portare l'oleodotto di Ferrandina a Taranto per raffinarlo, diventando così Taranto terminale di esportazione, ma per fare ciò servono i moli dell'ex ILVA.
Questi moli che sono indispensabili per le grandi navi da carico fanno gola a società già presenti sul porto di Taranto che chiusa la fabbrica si vedrebbero assegnati i moli che utilizza 'ex Ilva. Il gioco è già riuscito a Civitavecchia, con conseguente intervento della magistratura.
Insomma sono tanti gli avvoltoi che volano sopra lo stabilimento di Taranto.
Intanto Taranto, città martire, non avrà bonifiche, non avrà giustizia, continuerà a scontare un’emergenza sanitaria causata dall’inquinamento e vedrà migliaia di operai, compresi quelli dell'indotto delle ditte che ruotano attorno all'ex ILVA a breve senza sostentamento economico vittime probabili della criminalità organizzata.
Sono passato otto anni dal sequestro dell'ex Ilva ed il Governo Italiano non ha il coraggio di affrontare in modo serio il problema del destino di un asse importante dell'economia italiana, del destino di migliaia di lavoratori, del risanamento di un ambiente avvelenato da anni di malagestio.
Lo stesso Calenda nella sua malafede non può negare che il mercato dell'acciaio dopo l'emergenza del cornavirus si riprenderà. Se questo è vero perchè far morire un'azienda che potrebbe dare lavoro a migliaia di lavoratori perchè come diceva un lavoratore della ex Ilva " Lo stabilimento se fosse portato a regime potrebbe dare lavoro a 20.000 persone. Altro che esuberi"
Calenda fa finta di non sapere che per risolvere il problema dell'inquinamento dello stabilimento e di tutte le parti della città interessate all'inquinamento ci vogliono una serie di investimenti che nessuna impresa privata a interesse a fare. Solo lo Stato può e deve risolvere il problema.
La legge 3 dicembre 2012 definisce lo stabilimento dell’ILVA “stabilimento di interesse strategico nazionale”. Quindi in questo quadro è corretto dire che lo Stato deve intervenire per risolvere il problema della siderurgia italiana.
Ma come?
la fabbrica è dello Stato, è dei cittadini di Taranto che con l'inquinamento ed i tumori hanno pagato e continuano a pagare un prezzo toppo alto; la fabbrica è dei lavoratori, che con la loro abnegazione l'hanno tenuta in vita contro tutto e contro tutti. Solo mettendo insieme queste forze e dando loro il potere di decidere il loro destino si potrà salvare Taranto e il suo stabilimento da una morte annunciata.
Abbia il Governo il coraggio di nazionalizzare la gli stabilimenti ex ILVA e contemporaneamente abbia la forza di applicare l’inattuato articolo 46 della Costituzione che recita testualmente “Ai fini dell’Elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi alla gestione delle aziende." nazionalizzazione e cogestione due molle formidabili perchè come tutte le attività economiche strategiche dovrebbero rientrare nella disponibilità dello Stato che attraverso un meccanismo virtuoso di collaborazione fra Stato, impresa e lavoratori può rimettere in moto la nostra economia disastrata da troppi anni di liberismo.
i Commissari dell'ex Ilva hanno profeticamente dichiarato ai giudici di Milano che la chiusura dello stabilimento di Taranto comporterà “la distruzione della maggior azienda siderurgica nazionale, centro di aggregazione socio economico insostituibile per non poche (e non ricche) aree e comunità sociali italiane, e di un patrimonio aziendale di esperienza e know-how incalcolabili, nonché la ferita mortale ad una platea di subfornitori di decisiva importanza per le aree interessate, con effetti quindi disastrosi sul tessuto industriale dell’intero Paese e della stessa Unione Europea.”
Siamo ancora in tempo per impedirle che ciò avvenga.
Beppe Sarno