Intervista a cura di Francesca Morandi
«Le rivoluzioni del 1989 nell'Est europeo furono “rivoluzioni facili” perché le folle scese in piazza sapevano che le autorità governative non avrebbero sparato. Questo non è accaduto in Iran dove l'uso della forza da parte del regime di Ahmadinejad è stato brutale». L'analisi di Edward Luttwak, economista e saggista americano, sulle sommosse popolari che nel 1989 rovesciarono i regimi comunisti in Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria e Germania orientale, corre sul filo di paralleli tra la situazione internazionale di vent'anni fa e il panorama odierno, dove, secondo Luttwak, spicca «un atteggiamento di impunità da parte dell'Occidente verso l'Iran e Hamas, che è del tutto simile a quello riservato in passato alla Repubblica democratica tedesca».
«Se le decisioni sulle sorti dell'Europa orientale fossero rimaste nelle mani della Germania occidentale, dell'Italia e persino degli Stati Uniti, i regimi comunisti dell'Est europeo sarebbero rimasti al potere per mille anni. La democrazia in questi Stati è stata calata dall'alto, da Mikhail Gorbaciov».
In che modo, professor Luttwak?
«Le migliaia di dimostranti scesi in piazza contro i regimi nell'Est d'Europa sapevano che i loro governanti non avrebbero sparato e, se lo avessero fatto, il fuoco si sarebbe limitato a pochi colpi e non a duemila o ventimila pallottole. Le élites dei governi dell'Europa orientale avevano infatti perso la convinzione nel loro diritto di rimanere al potere, perché Gorbaciov, con la sua politica di riforme, li aveva delegittimati. I governi dell'Europa orientale avevano già fallito da un punto di vista economico, in quanto non erano riusciti a realizzare la promessa di una ricchezza distribuita a tutti egualmente, che il comunismo aveva paventato attraverso la soppressione di quei meccanismi, considerati “sprechi del capitalismo”, come la libera concorrenza e la pubblicità. Le popolazioni si sono quindi trovate a fare la fame e a usufruire di beni, come le automobili, a modello unico. Il fallimento si era attuato anche su di un piano politico perché quei governi non erano stati in grado di reclutare la popolazione sulla base di un principio di uguaglianza. Per tali ragioni i governanti comunisti rimanevano al potere perché l'Occidente li legittimava al posto di riconoscerli pubblicamente come brutali dittatori. Questo fu il risultato della Ostpolitik del cancelliere tedesco Brandt, che avviò la normalizzazione dei rapporti tra la Repubblica federale tedesca, con capitale Bonn, e la Repubblica democratica tedesca, sotto regime comunista, e gli Stati dell'Europa orientale. Si trattò di una politica volta a “abbracciare, invitare, coccolare” questi governanti illegittimi, che non esitavano a fucilare i loro oppositori e a sparare contro coloro che cercavano di passare dalla parte Est a quella Ovest di Berlino. Il governo della Germania occidentale continuò infatti a dare all'Est aiuti economici e riconoscimenti politici, fornendo ai regimi comunisti una legittimazione che fu minata solo dall'avvento di Gorbaciov. La politica di apertura di Gorbaciov distrusse a tal punto le basi del potere dei regimi comunisti che questi rinunciarono all'uso della forza contro le loro popolazioni scese in piazza. E quando la polizia non ha il permesso di aprire il fuoco, la folla avanza senza paura, cresce, si infiamma e porta alla rivoluzione».
Lei però afferma che la democrazia non è partita dalle proteste popolari...
«Le folle non si sarebbero mosse se Gorbaciov non avesse tolto la legittimazione ai governanti dell'Europa orientale che non hanno più voluto esercitare il loro potere coercitivo».
Quali fattori bloccano la rivoluzione democratica in Iran?
«Il meccanismo rivoluzionario non ha funzionato nelle strade di Tehran perché il regime dell'ayatollah Khamenei e di Ahmadinejad si sente legittimato a usare la forza. I pasdaran, le milizie popolari nate nel 1979 con la rivoluzione islamica, hanno avuto il via libera di sparare su migliaia di dimostranti. Di fronte al fuoco brutale la folla è stata costretta ad abbandonare il tentativo di protestare per le strade».
La legittimazione di cui godono Khamenei e Ahmadinejad è religiosa?
«La religione non c'entra perché i capi religiosi iraniani sono ormai divisi: lo dimostra il fatto che Rafsanjani (capo del Consiglio per i pareri di Conformità, che dirime le controversie tra Parlamento e Consiglio dei Guardiani, e membro del Consiglio di Esperti) si sia schierato con gli oppositori scesi in piazza. In Iran si sta svolgendo uno scontro tra i vertici della Repubblica Iraniana, che vede contrapposti i poteri religiosi rappresentati da Khamenei e da Rasfanjani. Si tratta di una lotta di potere. Le Guardie rivoluzionarie, i pasdaran, e le fondazioni islamiche, che sono controllate dalla cricca di Khamenei, fanno parte di una struttura di potere, di un establishment, che non vuole mollare il controllo del Paese. Al contrario di quanto accadeva vent'anni fa nei governi dell'Europa dell'Est, questi gruppi di potere credono fermamente che il proprio governo sia legittimo. A legittimare questi dittatori è ancora una volta l'Occidente che li lascia impuniti nonostante la repressione brutale che compiono contro i loro cittadini».
Come l'Occidente legittima l'Iran?
«Nonostante il regime di Tehran spari sulle folle, il presidente Obama e i governi europei si affrettano a negoziare con Ahmadinejad sulla questione nucleare. È inaccettabile il principio secondo il quale “tu spari contro i tuoi cittadini e i governi della comunità internazionale vogliono scendere a patti con te”. Un governo che uccide i propri cittadini non dovrebbe essere riconosciuto, anzi, meriterebbe di essere punito. Il comportamento con l'Iran di oggi è uguale a quello che l'Europa occidentale aveva con i regimi comunisti dell'Est, che potevano uccidere i loro cittadini senza pagare alcun prezzo. All'epoca i governi occidentali si inventavano ogni sorta di giustificazione pur di parlare con i dittatori, instaurare con loro rapporti diplomatici ed economici».
Nel 1989 era in corso la prima “Intifada” nei Territori palestinesi, a cui è seguita la seconda nel 2000 con un'ondata di attacchi kamikaze in Israele, dove l'allora premier Ariel Sharon decise di costruire un “Muro” di difesa. Nel 1989 il Muro di Berlino, che divideva i popoli europei, veniva abbattuto, oggi il “Muro” che divide israeliani e palestinesi, continua a esistere. Cosa ci può dire?
«Quel “Muro”, condannato dal mondo su basi ideologiche, deprecato come il “Muro dell'apartheid”, il secondo “Muro di Berlino”, ha funzionato. A frenare i kamikaze palestinesi sono stati due fattori: il primo è il “Muro, così chiamato erroneamente in quanto si tratta di un sistema di sicurezza che soltanto in alcuni tratti è un muro vero e proprio, e che invece è costituito, per la maggior parte, da recinzioni e controlli elettronici. Il secondo fattore è legato alla stabilizzazione della Cisgiordania, la cui economia è migliorata notevolmente grazie al traino di quella israeliana, in fase di boom quando l'Europa segnava cifre al negativo. Oggi città come Ramallah sono assai lontane dall'essere luoghi di miseria o campi profughi, sono piuttosto centri dove il lavoro, la costruzione edilizia, la ricchezza si sono moltiplicati. La maggior parte dei villaggi arabi della Cisgiordania sono oggi simili ai villaggi israeliani: pieni di edifici nuovi, case belle e spaziose, strade asfaltate e piccole fabbriche. Le condizioni di vita degli arabi che vivono in Israele sono oggi buone, non come quelle dei loro “fratelli” residenti negli Stati arabi, come l'Arabia Saudita, dove, nel 99% dei casi, vivono nella miseria. Questa situazione di maggiore ricchezza è stata un disincentivo al terrorismo, nonostante il problema politico dell'occupazione non sia tuttora risolto».
Qual è la situazione a Gaza, dove è al potere Hamas?
«A Gaza non c'è stato alcuno sviluppo. Il governo di Hamas, come quello iraniano, beneficia di grande tolleranza da parte del mondo. Basta pensare che qualche mese fa Hamas ha voluto ricordare il matrimonio di Maometto, che aveva 50 anni, con Aisha, che ne aveva 7, facendo sposare 500 uomini trentenni con 500 bambine di età inferiore ai 10 anni. Si è trattato di 500 casi di pedofilia di massa e nessun governo occidentale ha battuto ciglio. Hamas ha persino distribuito le foto delle 500 coppie pedofile e nessun media occidentale ha avuto il coraggio di pubblicarle. Un atteggiamento simile si riscontrava da parte dei media europei verso le sofferenze della gente oppressa nell'Europa orientale. Le loro storie non trovavano spazio nei media occidentali. Queste brutte verità esistevano venti anni fa ed esistono oggi».
Prima del 1989 aleggiava lo spettro di un'apocalisse nucleare, oggi Stati Uniti e Russia firmano una risoluzione Onu sull'eliminazione degli arsenali nucleari. Qual è la nuova strategia di difesa americana?
«Americani e russi intendono ridurre i loro arsenali nucleari, ma non eliminarli completamente. Disarmarsi sarebbe assurdo in un momento in cui iraniani, pakistani e nordcoreani sviluppano o possiedono armi atomiche. Gli arsenali nucleari presenti nel mondo sono stati ridotti in maniera significativa ma restano vasti. Gli Stati Uniti stanno studiando un progetto che punta a riciclare il materiale nucleare esistente in nuove testate. Comunque oggi il nucleare non costituisce il pericolo che rappresentava durante la Guerra Fredda: già dagli anni Ottanta, nonostante l'Unione sovietica di Breznev fosse nel pieno del suo vigore, siamo entrati in una fase post-nucleare, dove l'uso delle armi nucleari è diventata l'ultima possibilità di scontro. L'utilizzo di armamenti atomici in un teatro di guerra sarebbe concepibile solo nel caso in cui ci trovassimo in una lotta globale di dominio o sopravvivenza. Un tale pericolo esisteva durante la Guerra Fredda quando americani e russi erano vincolati a un duello globale che prospettava scenari di un'escalation militare con l'utilizzo di armi atomiche. Oggi non si verifica nulla di tutto questo, non c'è più alcuna guerra ideologica, il mondo della Guerra Fredda è finito per sempre».
Nel 1989 gli Stati Uniti esultavano per il crollo del nemico sovietico, oggi il presidente Obama tende la mano al suo omologo russo Dmitry Medvedev e accantona il progetto del cosiddetto “scudo spaziale”. Che cosa ci può dire in merito?
«Era prevedibile: da quarant'anni repubblicani e democratici hanno posizioni diverse sulle strategia di Difesa. Sono numerosi gli argomenti sull'efficacia del sistema anti-missile, sui costi necessari per la sua realizzazione e sul fatto che il progetto creava un forte attrito con la Russia. Oggi il governo di Obama ha ritenuto che lo “scudo” è un progetto marginale per una minaccia marginale: l'Iran. Tehran con i suoi missili antiquati, copie dei missili sovietici Scud degli anni Cinquanta, può ambire solo a fare una bella scena d'effetto su YouTube. I politici possono dire quello che vogliono ma se si parla con i veri competenti, i fabbricanti di armi o gli scienziati, la risposta è che i missili iraniani realizzati finora, potrebbero essere fatti da liceali. Il programma nucleare iraniano è iniziato nel 1985 con l'acquisto di centrifughe funzionanti dal Pakistan: la “bomba” di Tehran avrebbe potuto essere pronta in pochi anni e senza spese enormi, ma la corruzione che dilaga tra gli iraniani, la loro incompetenza e i sabotaggi ben riusciti da parte degli israeliani, hanno fatto in modo che sono 25 anni che gli iraniani lavorano su piani nucleari senza avere neppure un chilo di materiale fissile. L'idea dell'amministrazione americana di spendere miliardi per realizzare un sistema di difesa contro questi missili era legata alla prospettiva di eventuali sviluppi futuri del programma atomico iraniano. Un sistema anti-missile come lo scudo avrebbe potuto essere utile ma il prezzo politico era troppo alto e la minaccia, nel breve periodo, era troppo scarsa. Oggi l'Iran non rappresenta una minaccia per il suo programma di arricchimento dell'uranio, ma perché Ahmadinejad nega il diritto di Israele a esistere. Anche il premier turco Erdogan oggi scimmiotta l'antisemitismo di Ahmadinejad ed entrambi continuano a restare impuniti. Contro questi governanti sarebbe necessario l'uso della forza, anche militare».