Nell'incontrare oggi il Presidente egiziano, Hosni Mubarak, il Primo Ministro Ehud Olmert deve avere in testa un solo obbiettivo: riportare a casa Gilad Shalit, il soldato israeliano rapito da Hezbollah nel 2006. Per quanto frustrante possa essere, non devono prevalere considerazioni di principio, sul rischio di un offuscamento del prestigio di Israele, del suo esercito o ancora del suo attuale governo. Il solo criterio da adottare nel corso del negoziato dovrà essere la sicurezza di Israele. In tal senso, la decisione di liberare dei terroristi che potrebbero tornare a colpire non è certo marginale. Tuttavia, nel momento in cui Israele ha accettato di negoziare con Hamas, ha messo in conto che il costo della pace non sarebbe stato basso. Truce tensely holds after Gazans fire mortar, IDF kills 2 W. Bank militants
Uno degli aspetti più tragici del conflitto in Medio Oriente è che tutti sanno che la pace si avrà solo ad una condizione: la creazione di uno Stato palestinese i cui confini, secondo l'ex leader del Partito Conservatore britannico, dovrebbero assomigliare a quelli tracciati pochi anni orsono a Taba, dove si contemplava il negoziato su Gerusalemme. Ma se ad impedire l'accordo è la sfiducia reciproca a livello delle leadership, allora – sostiene Howard – si dovrà mettere alla prova la capacità delle due popolazioni di vivere insieme, dando ai cittadini normali la possibilità di condividere territori e regole comuni. Nessun altro luogo come Israele può farsi teatro di una simile sperimentazione tra Arabi ed Ebrei, come d'altra parte recita la costituzione dello Stato ebraico quando richiama il popolo arabo a “partecipare alla creazione dello stato sulla base di una piena e paritaria cittadinanza e presenza nelle istituzioni pubbliche”.
Potranno anche esserci ragioni interne nelle iniziative di pace intraprese da Israele. Ma la ragione principale è che dopo il fallimento della Guerra in Iraq e il rafforzarsi della minaccia nucleare iraniana, Israele ha capito che la chiave per la pacificazione del Medio oriente è in mano alla Siria. Israele ha capito che continuando a rifiutarsi di negoziare con Damasco non avrebbe fatto altro che dare tempo e modo all'Iran di aumentare la propria influenza nella regione. L'allentamento della tensione con la Siria, invece, rende più realistica la possibilità della pace in Libano e con l'Autorità Palestinese.
È da tempo che a Washington ci si interroga sull'opportunità di riavviare un negoziato diretto con Teheran. La strategia dovrebbe essere analoga a quella adottata dagli Usa nel 1977 con Cuba. La popolazione locale ne trarrebbe beneficio e, forse, potrebbe stimolare un cambiamento nella leadership. Ma a frenare i decision-maker è il dubbio che una simile iniziativa possa apparire una “debolezza”. È ormai improbabile che la decisione possa essere presa dall'Amministrazione in scadenza. È invece auspicabile che il nuovo Presidente americano abbia chiari i rischi e le opportunità legate alle due opzioni – dialogo vs isolamento – e sappia agire prontamente di conseguenza, poiché è l'indecisione – più che ancora che una decisione rischiosa – ad appannare l'autorità degli Usa, a Teheran come in tutta l'area mediorientale.
Termini d'uso | Crediti | Registrazione Tribunale di Milano n°537 del 15/10/1994 - P.iva: 09155900153 - La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7/08/1990 n.250