In Turchia è in atto una guerra la cui posta è lo spirito della nazione, ovvero la laicità – sul quale si è fondata la Repubblica costruita da Ataturk – e l'Islam. Ebbene, da questa battaglia dipendono le sorti della democrazia nazionale e, in parte, quelle dell'Occidente. Ma né gli Usa né l'Unione europea devono temerne gli esiti, poiché in Turchia non si corre affatto il rischio una degenerazione islamista. Piuttosto, l'Occidente dovrebbe osservare con attenzione questo processo come esempio del conflitto che nasce da un'esigenza positiva: la modernizzazione dell'Islam.
È normale chiedersi dove siano gli arabi moderati quando quello che si vede nel mondo arabo è una continua radicalizzazione. E tuttavia i moderati esistono, ma – come sostiene in una recente pubblicazione, uno dei maggiori esperti della materia, l'ex Ministro degli Esteri giordano, Marwan Muasher – sono costretti sulla difensiva da un mondo radicale in crescita.
Uno dei rimedi più in voga per curare i mali del Medio Oriente è quello che prevede il rafforzamento del cosiddetto “Islam moderato”. Il principio non fa una piega, ma la domanda è: “esiste davvero un Islam non radicale?”.Ogni volta che i presunti “moderati” del mondo islamico sono andato al potere non hanno perso tempo a mostrare il coté radicale. Si pensi ad Hezbollah: si comporta in Libano come un benemerito ente assistenziale, ma non esita un istante a trasformarsi in guerrafondaio quando sono in gioco i principi che i radicali considerano “fondativi”, come negare ad Israele il diritto all'esistenza. E lo stesso potrebbe dirsi di Hamas e della pratica degli attentati-kamikaze che si mantiene nonostante da un anno l'organizzazione islamica abbia il legittimo controllo politico di Gaza.
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