Il prezzo del petrolio, anche a causa delle tensioni mediorientali, continua a salire ed incide negativamente pure sui mercati asiatici, mai così negativi da sedici anni a questa parte. Inoltre, la corsa apparentemente senza fine dell'oro nero demoralizza gli investitori ed induce molti analisti a pronosticare l'insorgere della tanto temuta stagflazione, una perniciosa combinazione di bassa crescita economica e di inflazione. Due i fattori , che sommandosi al dollaro debole, stanno spingendo alle stelle i prezzi petroliferi (ben oltre i 140 dollari al barile): la “guerra delle parole” tra Israele ed Iran, il quarto esportatore al mondo, e la minaccia libica di diminuire la produzione se gli Usa continueranno a premere sui paesi dell' Opec per ottenere un aumento dell'offerta petrolifera globale.
The Economist Double, double, oil and trouble I governi di tutto il mondo si danno un gran daffare per riportare a livelli tollerabili il prezzo del petrolio. Gordon Brown insiste con i petrolieri perché aumentino la produzione nel Mare del Nord. Nicolas Sarkozy invita l'Unione Europea ad abbassare le tasse sulla benzina. Il Congresso statunitense sta valutando se procedere legalmente contro l'Opec, che accusa di manipolazione del mercato del greggio. Ma è l'attività dei famigerati speculatori la causa più popolare che si celerebbe dietro il caro carburanti che affligge i consumatori di tutto il mondo. Eppure, ad un'analisi più attenta, la spiegazione appare diversa e molto semplice: è la legge della domanda e dell'offerta. L'output petrolifero globale si mantiene su livelli stabili da anni, quando invece la richiesta ha subito una drammatica accelerazione. Normale che i prezzi crescano, soprattutto se si considera che gli unici produttori in grado, forse, di assecondare la aumentata voracità del mercato globale paiono al momento essere l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.
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