La Turchia è in questo momento il teatro di una guerra che deciderà se rimarrà la pseudo-democrazia che è oggi, o se diventerà una democrazia pienamente compiuta.Le sorti di questa Guerra sono in mano alla Corte che dovrà decidere la legittimità costituzionale del partito di governo l'AK (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) – che gode di un'ampia maggioranza della popolazione – che ha permesso l'introduzione del velo nelle Università, in presunta violazione della laicità sancita dalla Costituzione nazionale. L'AK rappresenta la borghesia progressista, liberale, democratica del paese. Contro di essa, si batte il fronte della vecchia elite che tende a preservare i privilegi della casta militare e burocratica che hanno fatto della Turchia una democrazia sui generis e che rischiano oggi di trasformarla in un regime chiuso come la Corea del Nord.
La Corte Costituzionale turca – che è chiamata ad esprimersi sulla legittimità del Partito di Governo – ha nelle sue mani le sorti della democrazia. Se la sentenza sarà la messa al bando, le conseguenze sarebbero disastrose. Non solo si comprometterebbe l'ingresso della Turchia in Europa, ma si rischierebbe di gettare quello che è oggi un attore cruciale della stabilizzazione mediorientale, nel caos di uno scontro tra apparati militari e forze integraliste islamiche, che potrebbe avere ricadute tragiche in tutto il mondo islamico.
The Daily Star The year for a settlement in Cyprus? Hugh Pope Mai come oggi Cipro è prossimo ad un accordo, grazie alla disponibilità delle leadership delle due parti antagoniste – Mehmet Ali Talat per i turchi-ciprioti e Demetris Christofias per i Greco-ciprioti - a venirsi incontro per una soluzione che offrirebbe, oltretutto, opportunità di sviluppo economico di cui entrambe le popolazioni hanno estrema esigenza. Dopo aver premiato Cipro con l'ingresso nell'Unione, la Ue ha oggi la responsabilità di sostenerne gli sforzi per un accordo di pace. In fondo, sarebbe un'occasione per dimostrare le potenzialità diplomatiche dell'Unione, oggi che, dopo il “no” irlandese, l'Europa si interroga su cosa ci stia ancora a fare.
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