Purtroppo, il dibattito negli Usa non si svolge tra chi è a favore e chi contro un attacco militare preventivo all'Iran, ma tra chi pensa che l'America debba prima parlare e poi, nell'assai improbabile eventualità di pervenire ad un risultato efficace, attaccare l'Iran, e chi ritiene che il dialogo preliminare sia inutile comunque. L'oggetto insomma non è l'opportunità dell'attacco, ma quella del dialogo. Ed invece, la via diplomatica, anche quando non permette di raggiungere il risultato cercato, si prova utile in ogni caso perché permette di ottenere informazioni che possono svelare strade che prima non si riteneva di poter percorrere.
Teheran ha lasciato aperta la porta al negoziato, come dimostra la disponibilità riservata alla proposta avanzata dall'Unione europea - contributi economici in cambio della sospensione del programma di arricchimento dell'uranio.Si tratta di un segnale chiaro, da parte della diplomazia iraniana, che l'Occidente non dovrebbe ignorare, in considerazione della speranza che va sorgendo a Teheran per un appeasement che scongiuri il rischio – che si avverte con allarme crescente nella regione – di una guerra.
Mentre l'Iran lancia segnali sempre più evidenti della sua disponibilità al negoziato, non è ancora chiaro quale sia la strategia Usa. È dei giorni scorsi la notizia – rivelata dal New Yorker – che si starebbero predisponendo operazioni “sotto copertura” lungo i confini iraniani ma secondo fonti vicine all'intelligence americana, l'iniziativa rischia di inficiare gli sforzi diplomatici e di non sortire alcun effetto sul regime. Proprio ieri, al contrario, un nuovo segnale di disponibilità è venuto dal Ministro degli Esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, che si è detto interessato a valutare il nuovo pacchetto di incentivi proposto dagli Usa, insieme ad altri membri permanente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.
Se attaccati, gli iraniani potrebbero rispondere attraverso una serie di iniziative tra le quali il blocco dello Stretto di Hormuz, così impedendo le comunicazioni tra il Golfo Arabo e il Golfo dell'Oman. La conseguenza sarebbe un'impennata nel prezzo del barile. L'Iran, inoltre, ha già lanciato una guerra “psicologica”, annunciando la predisposizione dei luoghi per la sepoltura dei militari americani, come previsto dalla Convenzione di Ginevra. C'è infine, la carta sciita ed il rischio che anche paesi arabi vicini agli Usa possano scegliere – in caso di attacco militare americano– di unirsi ai “fratelli” iraniani.
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