L'esortazione del primo ministro Nuri al-Maliki a presentare un piano per il ritiro delle nostre truppe dall'Iraq è l'occasione per valutare il riposizionamento del contingente americano sul campo. A differenza del senatore John McCain, mi sono sempre opposto alla guerre in Iraq e l'ho sempre considerata un fronte secondario della lotta all'estremismo che ha aggredito l'America l'11 settembre. Nonostante i risultati ottenuti grazie all'eroico sacrificio dei nostri soldati ed a prescindere dal fatto che il surge abbia determinato un abbassamento nel livello di violenza in Iraq, la mia opinione sulla fallacia di quell'impresa e sulla sua inutilità per gli interessi dell'America non cambia. Non possiamo sopportare il doppio impegno a Baghdad e Kabul. In Afghanistan, e non Iraq, si gioca la partita più importante contro al-Qaeda ed io, come presidente, mi impegnerò per questo. Sono convinto che sia possibile completare il ritiro del grosso delle nostre truppe entro 16 mesi, mantenendo poi nel Paese solo un numero circoscritto di effettivi che dovranno supportare le forze di sicurezza irachene, ormai responsabilizzate nel mantenimento dell'ordine interno. Il piano verrà attuato anche grazie al coordinamento con i comandanti militari sul campo, i cui suggerimenti saranno preziosi per effettuare gli eventuali aggiustamenti tattici che si rendessero necessari. Il tutto verrà accompagnato da una risoluta azione diplomatica per garantire che i Paesi vicini all'Iraq si impegnino a garantirne la stabilità e la sicurezza. Prevedo inoltre aiuti economici per risolvere la tragica situazione dei molti rifugiati. Non sarà un ritiro precipitoso, nulla di simile una “resa” come paventano l'amministrazione Bush ed il senatore McCain.
Lo staff di Obama è letteralmente infuriato con la rivista The New Yorker, dopo la pubblicazione di un'illustrazione di copertina che rappresenta il candidato Democratico e la moglie Michelle come una coppia di terroristi islamici, insediati in uno Studio Ovale dove fa bella mostra un ritratto di Osama bin Laden e viene bruciata la bandiera americana. Un portavoce del junior senator sostiene che, pur comprendendo l'intento satirico della vignetta, molti lettori potrebbero sentirsi offesi e considerare la cover “di cattivo gusto.” “ E noi la pensiamo allo stesso modo”, prosegue la nota. David Remnick, il direttore storico della celebre rivista, difende in un'intervista alla Cnn il diritto di satira e sottolinea che l'oggetto dell'ironia non fosse certo Obama ma quanti, a destra, creano confusione sul suo background culturale e politico per descriverlo come anti-patriottico e debole nella lotta al terrorismo. “I lettori americani non sono stupidi”, ha concluso Remnick. Certo, elementi di confusione persistono se, secondo un sondaggio pubblicato da Newsweek, il 12% degli intervistati è convinto che Obama abbia giurato sul Corano al momento di acquisire la carica di senatore ed il 26 ritiene che egli sia stato cresciuto secondo i dettami dell'Islam. Non è la prima volta che il New Yorker suscita dibattiti sui limiti del diritto di satira, avendo in precedenza rappresentato il presidente Mahmoud Ahmadinejad nelle vesti di omosessuale e di vizioso impenitente.
Termini d'uso | Crediti | Registrazione Tribunale di Milano n°537 del 15/10/1994 - P.iva: 09155900153 - La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7/08/1990 n.250