Edward Wong, International Herald Tribune, 12 gennaio 2009,
Si sono sprecati in nostalgici ricordi a proposito dei negoziati segreti a Pechino, dell'alleanza anti-sovietica durante la Guerra Fredda, della prima visita di Deng Xiaoping negli Stati Uniti. Hanno menzionato l'esistenza di alcune questioni calde, come le tensioni in merito alle situazioni di Taiwan e del Tibet. In fin dei conti, i leader americani e cinesi che hanno preso la parola a Pechino lo scorso 12 gennaio hanno preferito puntare l'attenzione sugli straordinari progressi economici compiuti dalla Cina e sul ruolo mondiale ricoperto oggi dall'Impero di Mezzo. Quanto potrebbero essere diverse oggi le relazioni tra i due Paesi se Washington e Pechino avessero compiuto scelte sbagliate trent'anni or sono…
“Non esiste un legame diplomatico più importante al mondo di quello che si è consolidato tra la
Repubblica Popolare Cinese e gli Stati Uniti d'America.” Così Jimmy Carter, ex presidente Usa. L'intervento di Carter ha aperto la due giorni di celebrazioni dedicate al trentesimo anniversario della normalizzazione dei rapporti tra Cina e Stati Uniti. Egli era presidente quando vennero ripristinati I rapporti diplomatici tra i due Paesi, il primo gennaio 1979. Nello stesso periodo Deng trasformava l'economia cinese, determinando i suoi successi futuri che fanno sì che attualmente le due potenze abbiano un interscambio commerciale annuo di circa 400 miliardi di dollari. Non sorprende quindi il fatto che il mondo degli affari fosse ben rappresentato alla conferenza: solo per fare un esempio,Mary Kay, azienda americana leader nella produzione di cosmetici, è stata co-sponsor dell'evento.
I politici cinesi e americani che si sono impegnati per la reintegrazione della Cina negli affari globali sedevano ad un grande tavolo, intorno a Carter e consorte. L'America è stata rappresentata da personalità ben note, come Henry Kissinger, Zbigniew Brzezinski e Brent Scowcroft, tutti ex consiglieri per la Sicurezza Nazionale, e da un pugno di diplomatici e alti funzionari. A rappresentare la Cina, tra gli altri, Qian Qichen, ex vice premier del governo cinese, Tang Jiaxuan, ex ministro degli Esteri, e Li Zhaoxing, anch'egli ex capo della diplomazia.
“Nelle ultime tre decadi, grazie ai nostri sforzi congiunti, il bastimento delle relazioni Usa-Cina ha resistito a potenti onde e tempeste”, ha affermato Qian. Tang ha invece ricordato il bombardamento dell'ambasciata cinese a Belgrado da parte della Nato nel 1999, evidenziando come persistano dei disaccordi su Taiwan e il Tibet. Altri speaker hanno preferito soffermarsi sui passi da gigante compiuti sul terreno della collaborazione tra le due nazioni, citando un'enorme mole di dati statistici: 145 città gemellate, il 10% dei laureandi di Yale che studiano cinese e molto altro ancora.
Brzezinski, da parte sua, ha fornito un elenco di problemi internazionali rispetto ai quali l'aiuto di Pechino potrebbe rivelarsi vitale per Washington: la crisi finanziaria globale, il cambiamento climatico, il programma nucleare iraniano, le dispute indo-pakistane e il conflitto israelo-palestinese. D'altro canto, il governo cinese ha trovato il modo di mettere in evidenza, sottilmente, quali siano le sue priorità. Non è stata certo casuale la scelta di esporre durante la conferenza un numero considerevole di pubblicazioni curate dal governo stesso. Il titolo dei testi suonava più o meno così: “ Lo status storico del Tibet cinese.”