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Reva Balla, www.stratfor.com, 10 marzo 2009,

L'amministrazione Obama è al potere da due soli mesi ma ha già marcato la differenza tra le proprie intenzioni e l'operato dell'ex presidente George W. Bush. Barack Obama, e Hillary Clinton, sembrano intenzionati a “cominciare daccapo” con la Russia, a discutere apertamente e schiettamente con gli europei, a dialogare con gli iraniani, i siriani e persino con i taliban. Difficile dar seguito in modo soddisfacente a dichiarazioni d'intenti tanto ambiziose, ma, sin d'ora, si può sottolineare come il team del nuovo presidente si stia caratterizzando per un notevole dinamismo diplomatico. Già nel corso della campagna elettorale, l'allora senatore dell'Illinois si era dichiarato pronto a discutere sia con gli alleati critici dell'Europa che con gli avversari, e i nemici veri e propri come l'Iran. Una rottura piena con l'autosufficienza che aveva contraddistinto il turbolento doppio mandato di Bush alla Casa Bianca. Ora, Obama sta inviando prestigiosi emissari in tutto il mondo per continuare, riprendere, cominciare a dialogare con chiunque si dimostri disponibile. Una predisposizione al confronto diplomatico che potrebbe dischiudere nuovi scenari nell'arena internazionale.

Da una prospettiva geopolitica, l'impegno al dialogo potrebbe preludere a un accomodamento così come ad un azzardo. La buona volontà non è certo garanzia di successo, se non accompagnata dalla razionalità e dall'accurato calcolo dei costi e dei benefici di un'azione. Considerando che l'amministrazione sembra realmente intenzionata a dar vita ad una consistente offensiva diplomatica, l'aspetto sostanziale da considerare e se Obama sia veramente pronto a dare una svolta alla politica Usa o se voglia semplicemente instaurare un'atmosfera internazionale più serena attraverso prese di posizione dialogati ed inclusive. Sostanza o forma insomma? Il blitzkrieg diplomatico che il dipartimento di Stato Usa sta abbozzando dovrà essere infatti valutato in base ai criteri del realismo e dell'efficacia. Poco conteranno, alla lunga, le strette di mano, le conferenze stampa e i titoli a nove colonne dei giornali. In assenza di accordi politici sulle questioni calde che dividono l'America dagli Europei e l'Occidente da Cina, Russia ed Iran, la rinnovata diplomazia dei sorrisi che pare emergere dalla retorica obamiana non lascerà un ricordo migliore della dura, diretta e forse imprudente condotta del suo predecessore.

La circostanza più curiosa, e inquietante, è che Obama potrebbe fallire senza averne alcuna colpa. La capacità di determinare il cambiamento non può essere unicamente ricondotta alla volontà politica di un leader o di un governo, per quanto illuminato e competente. I fattori esterni sono spesso così potenti da invalidare ogni seria intenzione pacifica e conciliatoria. Per dirla con i teorici della scuola realista delle relazioni internazionali, il sistema costringe i singoli attori a comportarsi in un certo modo, al di là delle loro intenzioni, spingendoli talvolta verso il negoziato, talvolta verso il conflitto aperto. Il sistema internazionale è un'arena dove si scontrano volontà e interessi diversi: in questo caso, non solo quelli del governo degli Stati Uniti, ma anche del Congresso, degli amici dell'America e anche dei suoi nemici. Ad esempio, se Obama apre all'Iran (come accaduto il 20 marzo, ndr), sostenendo che “un comune destino lega i due Paesi”, può accadere che a breve giro di posta l'ayatollah Alì Khamenei risponda negativamente, accomunando il neo-presidente a Bush, che mai in otto anni aveva offerto un'apertura del genere a Teheran.

E' evidente che il cammino sarà irto d'ostacoli e lungo. Non bisogna dimenticare infatti che per dare corpo ad una revisione epocale della politica estera americana come quella che Obama pare aver concepito saranno necessari mesi se non anni. Serve pazienza e la politica degli inviati speciali nelle varie regioni del mondo non potrà suggerire scorciatoie. E ancora, il “team dei rivali”, ossia la squadra di governo formata da personalità forti e non sempre concordi tra loro (Obama versus Clinton) voluta dal presidente, arricchirà il dibattito a Washington ma potrebbe alla lunga dare luogo a lacerazioni e paralisi nell'azione dell'esecutivo in teatri caldi quali il Medio Oriente e l'Asia Centrale e nei rapporti con Cina e Russia. Tutte variabili da considerare e che invitano a moderare gli entusiasmi. La cruda realtà della geopolitica ha spesso infranto progetti grandiosi e frustrato la buona volontà di molti. I sostenitori e i pochi detrattori del presidente Obama dovranno tenerne conto. Soprattutto quando verrà il momento di valutare i primi risultati della sua azione diplomatica.
 

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