Thomas E. Ricks, Foreign Policy, 9 aprile 2009, In effetti, l'esercito israeliano ha invaso Gaza con il ben preciso obbiettivo di ridurre la futura capacità di Hamas di infliggere danni ad Israele. Ai militari non sono stati impartiti ordini del tipo “distruggete o neutralizzate Hamas”, poiché obbiettivi del genere si sarebbero rivelati troppo ardui da raggiungere ed un eventuale, presumibile, fallimento avrebbe colpito duramente il morale dell'esercito e dell'opinione pubblica israeliana. Inoltre, la tattica utilizzata dagli israeliani è stata prettamente non convenzionale. Non si è tentato di conquistare e mettere in sicurezza territori, ma di frustrare il nemico e fiaccarne il morale, combattendolo con gli stessi metodi che una forza irregolare utilizzerebbe contro un esercito strutturato. “Colpire Hamas con gli stessi mezzi che Hamas potrebbe utilizzare contro di noi”; queste potrebbero essere state, secondo Siegelman, le istruzioni dei comandi alle unità combattenti israeliane. A Gaza l'unica regola è stata di non combattere secondo le regole. L'esercito di Gerusalemme ha giocato sull'effetto sorpresa, con l'intento di creare il caos tra le file del nemico, senza prestare il fianco ad ogni sortita avversaria che potesse dar la sensazione che Hamas stesse ottenendo un qualsiasi tipo di successo. Insomma, procurare danni limitati alla struttura militare di Hamas, evitare lo scontro ravvicinato e vincere la guerra soprattutto a livello mediatico. Esattamente il contrario di quanto avvenuto contro Hezbollah nell'estate 2006.
Ciò non impedisce all'editorialista di Foreign Policy di proporre alcune amare considerazioni finali: “Non ho grandi speranze per il futuro. Israele si considera in un perenne stato di guerra ed è consapevole della necessità di vincere. Si tratta di un conflitto perenne, dove periodi di violenza si alternano a momenti di tranquillità durante i quali i nemici raccolgono le loro forze e pianificano i loro attacchi. Siegelman sostiene fermamente l'importanza di anticipare le mosse ostili del nemico colpendolo preventivamente, con velocità e chirurgica precisione, prima che esso faccia altrettanto con Israele. Egli è convinto che, al punto in cui siamo, non si possa raggiungere la pace ma al limite ottenere lunghi periodi di calma relativa. Questa sembra la realtà sul campo oggi e bisogna prenderne atto, seppur con dispiacere.”