1.Gheddafi in Italia dopo quarant'anni. Cosa ha permesso la visita e come giudica il trattato italo-libico firmato a Bengasi il 30 agosto scorso?
Che Gheddafi venga in Italia dopo tutto questo tempo e dopo tutti questi eventi, come quello dell'espulsione degli italiani dalla Libia nel 1970, è un fatto di portata che può essere definita “storica”. Il Colonnello ha espresso il desiderio di venire nel paese per cui ha manifestato spesso un duplice sentimento di “amore e odio” e, finalmente, grazie alla firma dell'accordo italo-libico, ciò è stato possibile. La visita si spera possa chiudere definitivamente lo scontro, palese o sotterraneo, che è sempre esistito tra i due paesi. Relativamente al Trattato, dal mio punto di vista, esso è soprattutto un accordo economico e commerciale, mentre sul lato storico-politico è piuttosto carente. Non si esplicita a sufficienza il peso che l'Italia ebbe in Libia durante il colonialismo. È vero che Berlusconi ha parlato più volte degli errori commessi dall'Italia allora, tuttavia potrebbero rimanere punti di rivendicazione perché il testo non è così esplicito. Il Trattato ha poi qualche elemento “dimenticato” come quello relativo ai campi minati per cui muoiono ancora oggi tra le 50 e 100 persone l'anno e di cui l'Italia, insieme alle altre potenze in guerra in quel teatro, sono responsabili.
2. Le aperture all'occidente della Libia nell'ultimo decennio sono state finalizzate soprattutto al mantenimento del potere da parte di Gheddafi?
È fuor di dubbio che le aperture avessero questa finalità. La rinuncia alle armi chimiche e all'energia nucleare con fini militari – seppure vi fossero grandi dubbi che la Libia fosse in grado di produrre un'arma atomica – hanno costituito nell'ottica di Gheddafi un prezzo elevato da pagare per il mantenimento del proprio potere e per salvare il regime. La decisione è stata soprattutto il frutto delle pessime condizioni economiche in cui versava il paese alle prese con le pressioni politiche occidentali e con un embargo durato 13-14 anni. Un paese impoverito che aveva necessità per la propria sopravvivenza della tecnologia occidentale e di rimettere in funzione la propria industria petrolifera. Gheddafi ha dovuto giocare la carta occidentale, forse con suo rammarico, visto il suo atteggiamento iper-nazionalista, e, anche per comunanza di interessi, è divenuto il baluardo contro l'islamismo.
3. Le ultime vicende interne libiche, come l'isolamento del figlio di Gheddafi Saif Al Islam, sembrano mostrare invece un ritorno ad alcune scelte conservatrici a discapito delle riforme. È in corso un contrasto tra “vecchia guardia” e riformisti?
Direi di si. È un contrasto che si è creato negli ultimi 5 anni, da quando la Libia si è nuovamente aperta all'occidente. All'interno della dirigenza libica vi sono gruppi che avrebbero voluto una transizione differente e aperture di maggior gradualità. Il tentativo di Saif di dotare il paese di uno statuto, una specie di costituzione che stabilisse doveri, ma anche e soprattutto, diritti del cittadino libico, è fallita insieme allo sforzo di portare un minimo di democrazia nel paese. Saif pare sia stato ora accantonato, o perlomeno obbligato al silenzio. I recenti sviluppi in seno al governo, come la nomina di Moussa Koussa, da anni responsabile degli apparati di sicurezza, a ministro degli Esteri è il chiaro segnale che all'interno della dirigenza libica gli equilibri propendono ora verso la vecchia guardia.