Paolo Bonacchi, Critica Sociale n. 3/4,
Lo Stato, nel pensiero di Proudhon, è una strana ed instabile condizione della società; considerato dai più come qualcosa di cui non si può fare a meno, oggetto di diffidenza e male necessario.
Continuamente chiamato ad assicurare giustizia, stabilità, sicurezza e pace, si presenta come in perenne stato di agitazione, di demolizione, di ristrutturazione.
In fondo è sempre l'incapacità di risposta al bisogno di eguaglianza delle condizioni, che determina l'instabilità dello Stato e di conseguenza porta a giustificare il ricorso alla sua definizione come “principio di necessità”.
In base al'idea di considerare lo Stato sotto il profilo delle necessità, ogni tirano tende ad identificarlo ne suo potere personale. Luigi XIV ha potuto tranquillamente affermare “Lo Stato sono io”, seguito a ruota da Napoleone I “La Costituzione sono io”., a sua volta imitato dalla “Ragion di Stato” che prosegue nelle democrazie a permettere il dominio di pochi nei confronti dei più.
Dunque, osserva Proudhon, come forma di organizzazione della società umana lo Stato ha avuto, fin dalle sue origini, la tendenza a porsi come
“potere che non riconosce alcun limite”.
Dopo aver affermato che distinguere gli Stati in base alla loro forma, sulla scorta dell'insegnamento di Aristotele, non conduce da nessuna parte, egli ne identifica il regime come
“Costituzione esterna” della potenza sociale, della società e prosegue:
“A causa di questa Costituzione esterna della potenza e sovranità, il popolo non si governa da sé: c'è sempre qualcuno, a volte un solo individuo a volte moti, a titolo elettivo o ereditario, incaricato di governarlo, amministrare i suoi affari, trattare e fare compromessi in su nome, fungere insomma da “capofamiglia”.
Essendo dunque necessario, per esercitare il potere, identificarne l'origine nella società, pur di sottrarlo ai legittimi proprietari (le persone, gli individui) non si è esitato a porre lo Stato
al di fuori (Costituzione esterna) degli stessi, indicandolo come una sorta di maschera, un vero e proprio fantasma, un ente onnipotente posto sopra di loro. Tale è la ragione per cui Proudohn considera il Contratto in termini diversi da quelli indicati nel
Contrato sociale di J.J. Rousseau, e lo definisce
Contratto politico.
Il Contratto Politico, afferma, non può consistere nell'alienazione totale della volontà dell'individuo allo Stato, come prevede Rousseau, bensì in un patto positivo, effettivo, limitato quanto al suo oggetto che è realmente proposto, discusso, votato, adottato e che si modifica regolarmente secondo la volontà dei contraenti.
Non può esistere dubbio sul fatto che i contraenti siano, in primo luogo i cittadini, le persone e che il contenuto del contratto sui “Fatti” sia la “Legge”, che deve essere informata ad una “Costituzione progressiva”, per essere sempre aderente al variare degli interesi e delle aspettative materiali e spirituali dei Contraenti stessi.
Proudohn chiarisce in modo cristallino la differenza fra “contratto sociale” e “contratto politico” in
Del Principio Federativo, inuna nota al capitolo VII: “Sviluppo dell'idea di federazione”, in cui afferma:
“Nella teoria di J.J. Rousseau, che e quella di Robespierre e dei Giacobini, ii Contralto sociale e una finzione di legista, immaginata per rendere conto, senza ricorrere al diritto divino, all'autorita paterna o alia necessita sociale, della fonnazione dello Stato e dei rapporti fra il governo e gli individui. Questa teoria, mutuata dai Calvinisti, costituiva nel 1764 un progresso, poiche aveva per scopo di ricondurre ad una legge razionale cio che fino allora era stato considerato come un appannaggio della legge di natura e della religione. Ne) sistema federative il contratto sociale e piu che una finzione; e un patto positive, effettivo, che e stato realmente proposto, discusso, votato, adottato, e che si modifica regolarmente secondo la volonta dei contraenti. Fra il contratto federative e quello di Rousseau e del ‘93, c'e tutta la distanza che passa fra la realta e l‘ipotesi. Qui lo Stato non è più una generica
volonta generale posta sopra o esternamente al popolo, che determina la legge, come gli autori precedenti hanno sostanzialmente ammesso,
bensi l‘insieme delle scelte della maggioranza dei contraenti (le persone) sui fatti; scelte che si traducono in legge.
E' evidente che cosi definito il
contralto politico sia sinonimo di
autogoverno, in quanto senza la partecipazione diretta e responsabilc dei contraenti il
contratto non puo aver luogo.
“L'autogoverno è un concetto molto importante (....) In origine esso voleva semplicemente affermare che il popolo ha il diritto di governare se stesso, perchè composto di cittadini, non di sudditi. Perciò nessuna oligarchia - non 1'aristocrazia tradizionale, non una moderna nomenklatura- può rivendicare alcuna legittimità. Esiste una sovranità fondamentale del popolo, e questa è la base della democrazia” (...)
E' evidente che il federalismo
interno agli Stati, dovendo ridurre il
centro fino alla sua scomparsa o alla sua abolizione (tale è il significato piu vero di
decentralizzazione}, non è gradito ai centri di potere che vorrebbero invece ridurre la nozione di federalismo alla concezione di “patto fra Stati e fra istituzioni”.
“La partecipazione attiva alia vita politica richiede un massimo di decentralizzazione a livello industriale e politico. A causa della logica immanente dell'attuale capitalismo, aziende e govemi divengono sempre piu vasti e finiscono per diventare giganteschi organismi amministrati in maniera verticistica attraverso una complessa macchina burocratica. Uno dei requisiti della società umanistica è la cessazione del processo di centralizzazione al posto del quale deve intervenire una decentralizzazione su vasta scala e cio per parecchi motivi”.
Anche il concetto di “sussidiarieta” che del federalismo è un corollario inseparabile ha subito lo stesso destino.
Invece il
contralto politico mette lo Stato nelle mani dei cittadini responsabili, attravcrso 1'autogoverno ed una costituzione progressiva sempre rifonnabile parzialmente o totalmente dagli stessi.
E' chiaro che tali condizioni si verificano pienamente soprattutto nelle comunità in cui i cittadini trascorrono oltre il novanta percento della loro esistenza: i Comuni.
In una pagina del
Sistema delle contraddizioni economiche Proudhon esprime con grande vigore 1'ideale comunitario che si concretizza nell'aspirazione degli individui responsabili a partecipare in prima persona alla vita della propria comunità, cellula fondamentale dello Stato, seconda solo alla famiglia:
“Il comune ha diritto di governarsi da sè, di amministrarsi, di imporsi tasse, di disporre delle sue proprietà, dei suoi proventi, di creare scuole per la sua gioventù, di nominarvi gli insegnanii, di istituire la sua polizia. di avere la sua gendarmeria e la sua guardia civica, di nominare i suoi gludici, di avere i suoi giornali, le sue riunioni, Ie sue particolari associazioni, i suoi magazzini, il suo mercuriale e la sua banca ecc. II comune prende delibere, emana ordinanze, che cosa impedisce che esso arrivi a darsi delle leggi?.....Non c'e via di mezzo: il comune sarà sovrano o sarà una succursale, o tutto o nulla”. L'idea di federazione fra Stati sovrani è rovesciata; la federazione
comincia dagli individui, dalle persone, che rinunciando alla parte minore della loro sovranità, costituiscono lo Stato nei modi e nelle forme che essi stessi stabiliscono. Allo Stato inteso come ipotetica
volontà generale, è cosi sostituito lo Stato generato
dall'autogoverno delle persone che deliberano, con o senza intermediari le loro leggi
su fatti che li riguardano.