Le piazze delle maggiori città iraniane sono in fermento. Divampa la protesta in seguito alla conferma di Mahmoud Ahmadinejad alla presidenza della Repubblica dopo un contestatissimo turno elettorale. Una protesta che ha suscitato la curiosità e la partecipazione di gran parte dell'opinione pubblica occidentale, soprattutto dopo la violenta repressione messa in campo dal governo di Teheran. Da più parti si è invocata una ferma presa di posizione dei governi europei e, soprattutto, di quello americano a sostegno di un'ondata contestataria e libertaria senza precedenti nella storia trentennale della Repubblica islamica.
Teheran, da parte sua, difende la regolarità del voto, minaccia, spara sugli oppositori e invita i governi stranieri a non intromettersi nelle proprie vicende interne. Mahmoud Mohammadzadeh, editorialista del popolare giornale Iran Daily, critica la mancanza di pragmatismo mostrata dagli americani, dai britannici e dagli altri europei, erroneamente convinti della natura rivoluzionaria delle manifestazioni post-voto. Nessuno deve illudersi; tutti gli iraniani, conservatori o riformisti che siano, desiderano conservare le istituzioni su cui poggia il Paese dal 1979 e rifiutano ogni interferenza indebita dall'esterno. Mir-Hossein Mousavi, il candidato riformista, non è una quinta colonna dell'Occidente, ma semplicemente un politico sconfitto che non si rassegna. Se qualche governo straniero crede di poter trarre beneficio dalla dialettica interna all'Iran commette un grosso errore e si incammina su un percorso accidentato e pericoloso. Così facendo, le relazioni bilaterali e i rapporti commerciali che legano l'Iran a molti paesi potrebbero essere messi seriamente in discussione (ogni riferimento al gas e all'Europa è puramente casuale…).
Mohammadzadeh prosegue ricordando i celebri casi di intromissione indebita nei processi elettorali nel mondo islamico, citando lo scetticismo americano davanti alla vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi del 2006 e il ribaltamento del voto in Algeria negli anni novanta, quando il governo locale annullò (con l'appoggio occidentale) le elezioni vinte dagli islamisti. L'editorialista non risparmia la comunità internazionale, accusata di colpire i movimenti islamici di liberazione attivi in Medio Oriente e supportati invece da Teheran.
Risulta peraltro discutibile la tesi del giornalista iraniano, quando addebita genericamente al mondo occidentale la responsabilità del massacro algerino (200.000 morti dopo l'annullamento del voto del 1991), causato piuttosto dalla cieca ferocia delle fazioni fondamentaliste anti-governative. Egli appare curiosamente reticente quando dimentica di spiegare cosa intenda per “movimenti di liberazione islamica”, ossia Hamas ed Hezbollah, organizzazioni sulla cui natura ci sarebbe molto da discutere.
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