Patrick Clawson, Foreign Policy, 24 giugno 2009, E' presto per pronosticare come si concluderà la complicata transizione post-elettorale iraniana, ma per certo si può affermare che gli avvenimenti di questi giorni hanno colto di sorpresa gli osservatori internazionali, ancora una volta stupiti davanti alla complessità e vitalità della vita politica e culturale di un Paese sottoposto ad un regime anacronistico e retrivo. Consapevole di ciò, Patrick Clawson indica ai lettori di Foreign Policy una selezione di libri intriganti, espressione di una cultura millenaria, quella iraniana (sciita e persiana), che non rifiuta la modernità e che fatica sempre più a piegarsi agli astratti concetti teologici degli ayatollah.
1. Janet Afary, Sexual Politics in Modern Iran (Cambridge University Press, 2009). Janet Afary compone un interessantissimo affresco sui costumi sessuali iraniani, il tabù per eccellenza nelle società islamiche, attraversando ben tre secoli di storia nazionale, dal diciannovesimo ai tempi nostri.
2. Arang Keshavarzian, Bazaar and State in Iran: The Politics of the Tehran Marketplace (Cambridge University Press, 2007). Nel testo viene descritta la singolare parabola delle classi borghesi dei bazar iraniani, che giocarono un ruolo centrale nella deposizione dello Shah e nel trionfo della Rivoluzione islamica del 1979. Commercianti benestanti, rappresentano uno dei pilastri della società iraniana. Non c'è passaggio nella storia recente che avvenga senza la loro approvazione La Rivoluzione non fu opera soltanto di studenti, intellettuali e mullah. Il bazar ebbe un ruolo chiave nel cambio di regime e ha oggi un ruolo altrettanto decisivo nel mantenimento dello status quo. Colpisce che coloro i quali avrebbero potuto guidare l'Iran verso la modernizzazione e la secolarizzazione abbiano dovuto adattarsi a vivere in un Paese illiberale e patologicamente conservatore.
3. Manucher Farmanfarmaian e Roxane Farmanfarmaian, Blood and Oil: Memoirs of a Persian Prince, (Random House, 1997).
Documentata epopea della dinastia Pahlavi, al potere sino al 1979 e in grado di trasformare l'Iran tradizionale in un complesso Paese semi-moderno, ma autoritario, fragile e pronto a cedere alle lusinghe del khomeinismo.
5. Peter Chelkowski e Hamid Dabashi, Staging a Revolution: The Art of Persuasion in the Islamic Republic of Iran, (New York University Press, 1999). Forse la migliore lettura per chi volesse ripercorrere il clima che si respirava in Iran ai tempi della Rivoluzione e della guerra degli otto anni contro l'Iraq di Saddam Hussein (1980-88). L'arte della propaganda in un Paese in guerra, materialmente contro Baghdad e ideologicamente contro il mondo arabo e l'Occidente.
6. John Parker, Persian Dreams: Moscow and Tehran Since the Fall of the Shah, (Potomac Books, 2009). La tematica è piuttosto specifica, ma trattata in maniera avvincente. Si analizza il curioso e non scontato rapporto tra Unione Sovietica, poi Russia, e regime teocratico iraniano. Trent'anni fa nessuno avrebbe scommesso un rublo su un possibile dialogo fra la patria del Socialismo reale e la teocrazia sciita. Invece, la caduta dello Shah ha messo in moto una serie di dinamiche geo-strategiche che hanno indotto Mosca a guardare con crescente attenzione all'esperimento khomeinista. In funzione chiaramente anti-americana.
7. A cura di Richard Tapper, The New Iranian Cinema: Politics, Representation and Identity, (I.B. Tauris, 2002).
Quattordici saggi alla scoperta dell'affascinante cinematografia iraniana, con un'attenzione maggiore agli aspetti politico-sociale che a quelli artistici e tecnici.
8. Azar Nafisi, Reading Lolita in Tehran: A Memoir in Books (Random House, 2003). Trattasi di un libro noto anche in Italia, ma meritevole comunque di segnalazione per testimoniare la difficile ricerca della libertà individuale nell'Iran degli ayatollah.
Non proprio il genere di letture che Khamenei ed Ahmadinejad consiglierebbero, conclude Clawson. Difficile non sottoscrivere, almeno a giudicare dal trattamento riservato dalle forze di sicurezza e dai paramilitari del regime all'opinione pubblica “pensante” scesa nelle strade per rivendicare i propri diritti dopo le elezioni del 12 giugno.