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Pietro Nenni

Un editoriale di Pietro Nenni sull'Avanti! del 1945 (pubblicato in questo numero della Critica) sottolinea: “L'Italia ha sacrificato la libertà all'unità. Comunale è in gran parte la sua storia e regionale è in larga misura la sua struttura produttiva…E' inevitabile che si ritorni ad un insegnamento di Carlo Cattaneo che è nella necessità del nostro organismo statale…L'autonomia può correggere gli eccessi che si contengono nella nostra affrettata Unità (d'Italia, ndr). ..La nostra Unità comanda la libertà locale, che è invece energia e non generatrice di inerzia”.

Il comunicato della Presidenza del Consiglio annunciante che su la traccia dell'autonomia concessa alla Valle d'Aosta il Governo «intende ora elaborare con lo stesso spirito i necessari provvedimenti per le regioni della frontiera settentrionale, consultando gli esponenti delle popolazioni e degli interessi locali», merita di essere fissato nella labile memoria del pubblico. È l'inizio di una nuova politica amministrativa? È un punto fermo nel bianco molle della cronaca politica.
L'ansia dell'Alto Adige e della venezia Tridentina ha di che placarsi. L'autonomia amministrativa, ed entro certi limiti anche politica, salva l'unità economica e quindi etnica. Le linee di nazionalità possono anche essere non chiaramente riconoscibili e definibili, ma quelle economiche che alle civili e amministrative presiedono sì, e si allontana il vento della rapina nazionalista. Le zone di frontiera diventano centri di accordo e non più fonti di attriti e occasioni di inquietudini nazionali. L'autonomia, non risolve il problema di sovranità, è vero, ma postula e salva quello della integrità economica. La libertà porta alla responsabilità.
È Cattaneo che risorge? È l'esigenza della costruzione democratica che si impone. L'Italia ha sacrificato la libertà all'unità. Comunale è in gran parte la sua storia e regionale è in larga misura la sua struttura produttiva. Fervida e agguerrita ove fu un'eco del sommovimento che si origina dalla riforma, è pacata e riflessiva ove più denso si stese il lenzuolo del conformismo.
Rinascimento e Risorgimento sono due motivi della sua cultura e due aspetti della sua civiltà che diremmo somma di monografie, e semi più che messi. Ritornare alla gloria delle sue repubbliche marinare non si può, ma riprendere i movimenti del suo processo universitario si deve. Non si tratta di spezzettare, ma di favorire le condizioni e di incrementare i modi delle sue capacità di iniziativa. Roma non depone il suo prestigio rinunciando alla sua tutela che sempre inceppa e spesso soffoca.
La democrazia si enuclea negli organismi di base e si fisionomizza negli istituti che più contengono di auto-governo.
È vero che il mondo tende ai grandi agglomerati. È vero che si cammina verso unità economiche che hanno a premessa la subordinazione delle entità che in sè e di sè non possono vivere. Ma la subordinazione ai piani nazionali e ai disegni continentali nè esclude nè condanna le attività che dalla regione partono e alla regione conducono.
Questo è vero: la divisione amministrativa e politica che regola la vita delle nostre regioni non coincide sempre con le rilevazione dell'economia e con le notazioni della psicologia.
Nelle stesse provincie sono forme economiche ed esigenze civili che male si integrano in una costrizione artificiale perché esterna. Che cosa sono, i prefetti, se non i rappresentanti di un potere e di una volontà che le situazioni locali nè reclamano nè legittimano? Discendono, queste classificazioni amministrative e politiche, da schemi suggeriti dalle preoccupazioni di un centro che in sè intese assorbire ogni palpito di vita indipendente. I Savoia copiarono Napoleone, e la polizia signoreggiò l'economia perchè non si pronunciasse la politica. Logico che oggi si riveda, al lume delle esperienze vissute in questo ultimo cinquantennio, il nostro sistema politico e la nostra organizzazione amministrativa. Inevitabile che si torni a un insegnamento che fu di Cattaneo ed è nelle necessità del nostro organismo statale. Non per rigidamente applicarlo nelle sue formulazioni più rigorose, ma per intelligentemente intenderlo nelle sue scaturigini umane e nelle sue giustificazioni storiche. Indubbiamente, il pericolo della disintegrazione della compagine nazionale non è poco. Il campanilismo è nella nostra ventura perchè è nel nostro spirito. Diremmo anzi che l'originalità della nostra arte è nella aderenza al nostro senso radicato alla brevità dello spazio entro il quale si addensano i nostri temi e si compongono le nostre fantasie. E la Sicilia avanzerà più imperiose le sue domande, e la Sardegna delineerà più crude le sue richieste. Ma il pericolo si supera misurandone l'entità e apprestandone i rimedi prima ancora che si imponga con la evidenza del movimento dal quale erompe. L'autonomia, può correggere gli errori che si contengono nella nostra affrettata unità che fu ed è di stato prima ancora che di popolo e di nazione. E comunque la nostra unità comanda la libertà locale, promotrice di energie e non generatrice di inerzie.

 

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