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Francesco Forte

Nel parlare di Ezio Vanoni, Francesco Forte parla anche di se stesso, di come egli concepisce il ruolo dell'operatore pubblico in relazione allo sviluppo economico e al mercato, mentre la critica al modello del capitalismo globale oggi in default non è nemmeno troppo velata nel grande valore, innanzitutto morale, che, viceversa, egli attribuisce a un capitalismo fondato su quella che definisce “economia sociale di mercato”, che era già presente prima di Vanoni nella dottrina sociale e nel socialismo riformista nella versione liberal-socialista sui cui studi si è formato, ma di cui l'ex ministro delle Finanze è stato un compiuto teorico e, soprattutto, un organizzatore ante-litteram.
Francesco Forte racconta, studia e fa conoscere con il suo libro “Ezio Vanoni, economista pubblico” (curato dall'Istituto Bruno Leoni di Milano per le edizioni Rubbettino) una figura di alto livello, sicuramente non inferiore a Keynes. Lo ricorda nel suo volume come persona animata da un profondo sentimento del dovere sociale “nel quale si fondevano le sue convinzioni economiche e la sua fede religiosa”.Stabilità monetaria, contributo pubblico all'accumulazione di risparmio, investimenti delle imprese pubbliche e della finanza pubblica, erano i pilastri della sua politica economica attraverso l'uso del Bilancio e della politica tributaria per mantenere vivo lo sviluppo del precedente boom economico e l'accrescimento del reddito nazionale come fattore di diffusione della ricchezza e dell'emancipazione delle classi deboli. Il sostegno al Sud non era concepito come assistenzialismo, ma come stimolo alla modernizzazione; la forza lavoro doveva diventare sempre più “capitale umano” tramite imprese che trasformassero il risparmio in tecnologia.Ezio Vanoni non era un interventista, ma un liberalsocialista prestato alla DC.
Ricorda Forte: “Sono stato assistente di Ezio Vanoni e supplente presso l'Università di Milano, a metà degli anni '50 e dopo la sua scomparsa (Vanoni morì nel '56 al Senato su un divano dello studio di Cesare Merzagora per un collasso, subito dopo aver presentato in Aula, in qualità di Ministro delle Finanze, il bilancio dello Stato, ndr) gli sono succeduto come incaricato alla cattedra di Scienza delle Finanze e Diritto finanziario di cui era titolare alla Facoltà di Giurisprudenza all'Università Statale. Rimasi particolarmente colpito dalla profondità del suo pensiero e dal rigore del suo metodo”.
Allora l' ”analisi economica della legge”, che veniva perseguita dal professor Benvenuto Griziotti, professore dell'Università di Pavia alla fine degli anni '20 - di cui Vanoni era stato uno dei primi allievi e Forte l'ultimo - era considerata cosa poco interessante e, al limite, poco scientifica perchè in essa si mescolavano, interdisciplinarmente, diritto ed economia ed anche giudizi di valore etico-politico. Si voleva invece, allora, una scienza economica “pura, priva di giudizi di valore, priva di nessi stretti con le istituzioni giuridiche”. Ora lo scenario è cambiato. E' venuta di moda l'etica economica, che studia i valori. E' divenuto importante lo studio della economia della politica. Ed è divenuta importante l'Analisi Economica del Diritto. (L'analisi economica del diritto, “Law and Economics” , è oggi un campo di studi che trova terreno di applicazione e ricerca soprattutto negli Stati Uniti. La sua definizione come disciplina accademica specifica avviene dal lato della Giurisprudenza e si data agli inizi degli anni '60 per i lavori, indipendenti tra loro, di Ronald Coase e dell'italo americano Guido Calabresi. La sua origine è comunemente fatta risalire agli studi di Adam Smith sugli effetti economici della legislazione sul mercantilismo, ma è presente in molti lavori dell'economia neoclassica. La seguente nota, per sottolineare come in particolare il'68 e gli anni del compromesso storico abbiano letteralmente estirpato dalla cultura italiana la memoria e l'opera di personalità in genere già precoci a livello internazionale nelle discipline liberaldemocratiche e liberalsocialiste, forse in modo più radicale che negli anni dello stesso fascismo, s.car.)Il panorama del pensiero di Vanoni economista e giurista finanziario, non può completarsi senza l'apporto che egli diede ai lavori dell'Assemblea Costituente, nel Rapporto sulla Finanza Pubblica che egli curò con un particolare riguardo nella discussione dell'articolo 81 della Costituzione sul Bilancio pubblico, soprattutto in relazione all'obbligo della copertura finanziaria di ogni spesa o di ogni minore entrata che fosse approvata dopo il bilancio perchè, diceva, “il Governo deve avere la preoccupazione che il bilancio sia in pareggio” nonostante “qualsiasi forza si agiti nel Paese”. Un principio di responsabilità da “pater familiae” stravolto negli anni della solidarietà nazionale, la stagione in cui ebbe origine, col mercato delle vacche DC-PCI (e non negli anni '80 di Bettino Craxi come si favoleggia tuttora), lo sfondamento del debito pubblico.Ecco il racconto di Francesco Forte e l'implicita linea di condotta politica che le sue parole indicano attraverso l' esempio del pensiero e del lavoro di un grande “economista pubblico” che lo studioso ed ex ministro socialista suggerisce di riscoprire anche per le esigenze dell'attualità.
“Un principio ricorrente nel dibattito fiscale è quello della solidarietà che, attraverso la redistribuzione della ricchezza, lo Stato dovrebbe garantire tra le diverse classi della società. Un concetto che ha un suo uso particolare nel diritto tributario.
La teoria di Vanoni (e di Griziotti), si propose come teoria contrattualistica dei tributi, delle imposte e della finanza pubblica.Lo si comprende bene, anche in senso biografico, col fatto che Griziotti costrinse i suoi collaboratori a ricercare il principio di “causa” nella storia dei tributi, sin dal Medio evo: la sua idea - e poi di Vanoni - era che i tributi si basano su una causa e non sul potere del sovrano e che questa causa è la spesa dello Stato. Nello Stato moderno la causa è la spesa pubblica per l'erogazione dei servizi.
Griziotti non parlava di “scambio” poichè si tratta di un'azione pubblica. Ma in realtà si tratta di un'azione politica e dunque consente uno scambio politico per così dire globale.
In questo scambio poggia il concetto di solidarietà, ma è più esatto dire, in questo senso, che in questo scambio sorge un principio di “mutualità”.L'elaborazione del pensiero di Vanoni si è sviluppata in un momento particolare, durante il fascismo, e nella collaborazione alla stesura del Codice di Camaldoli nel 43 per conto della DC di De Gasperi e poi nei suoi saggi successivi con i quali ha cercato di tratteggiare un'eventuale teoria futura che si potrebbe definire, in qualche misura, “economia sociale di mercato”, dove la parola “sociale” è abbastanza importante.Non bisogna dimenticare il contesto, quello del comunismo e del collettivismo che rendevano necessaria una teoria che fronteggiasse questa minaccia (perchè il collettivismo andava visto sotto questo profilo). Ma una teoria che offrisse anche un senso economico concreto, oltre che ideologica. Dunque occorreva non una teoria alternativa improduttiva, “solidaristica”, o dell'uso delle risorse senza pensare al lungo termine, con uno spreco delle risorse. Vanoni diceva di essere un uomo di sinistra e, pur collaborando con il mondo cattolico, proveniva dalle fila del socialismo riformista, di cui era stato dirigente dei giovani socialisti-riformisti, buscandole, oltre che dai fascisti, anche dai comunisti.Come Graziotti, sosteneva che la finanza extra-fiscale non serve, anzi finisce per essere un pericoloperchè determina delle perversioni nel sistema tributario.Gli interventi di spesa che si vorrebbero finanziare con le imposte, andrebbero fatti in altro modo e non con le risorse dei tributi. I tributi non debbono servire per scopi extra-fiscali, ma solo per scopi fiscali.
Qui emerge immediatamente la dura opposizione a destinare la politica fiscale a strumento di redistribuzione del reddito. Questa non deve assolutamente realizzarsi attraverso la tassazione. La tassazione dei patrimoni può costituire uno strumento tecnico, ma non deve mirare alla modificazione della distribuzione della ricchezza non ha lo scopo di cambiare la struttura dei rapporti economici nella società, come invece sosteneva il comunista Mauro Scoccimarro (che fu rappresentante del PCI nella terza internazionale di Lenin, ndr).
I tributi (di qui la centralità del concetto di “causa”) devono servire esclusivamente a finanziare le spese pubbliche di investimento, la programmazione di bilancio a lungo termine.
Il fatto che chi ha più soldi deve pagare di più si giustifica solo col fatto che egli trae più benefici dalla spesa stessa e dunque ha un dovere verso gli altri componenti della comunità intesa come un tutto, ma non per riequilibrare il reddito”.
Secondo Francesco Forte questa impostazione aveva un fondamento in una precisa etica economica di Graziotti e Vanoni che risale a Rosmini (che Vanoni cita esplicitamente) e che origina da Sant'Agostino.
“Ho letto che l'ex ministro Bersani – dice Forte – ha fatto una tesi di laurea su S. Agostino e Pelagio (ll pelagianesimo riduceva la salvezza eterna a qualcosa di “controllabile” dalla libertà umana senza l'ausilio decisivo della Grazia, ndr) di cui ho letto una sintesi su una rivista. Bersani sostiene che Pelagio avesse ragione e Agostino torto. A parte il fatto che io non mi permetterei mai di dire che ha ragione Pelagio e torto S. Agostino, perchè mi vergognerei di essere un innovatore di questo tipo, tuttavia la vicenda aiuta a chiarire quale sia il principio liberale a cui si ispirava Vanoni.
Ci sono, per S. Agostino, scelte consentite e scelte proibite: queste scelte si trovano non nella Città di Dio, ma nella Città dell'Uomo. Gli uomini sono fallibili - come in Hayeck - e l'orizzonte della Città umana è diverso dall'orizzonte della Città divina. Nella Città umana ci sono gli uomini economici, ci sono le imperfezioni, e così via. In questo noi vediamo l'esigenza delle regole, ma dentro queste regole gli uomini devono poter agire liberamente”.Perchè? Perchè esiste la Grazia (come la chiama S.Agostino, ricorda Forte), ovvero, diremmo noi, il “proprio dovere” nel senso del dovere verso se stessi, “verso ciò che ogni persona sente dentro di sè come legge della propria condotta”. Ciò significa realizzare i propri obiettivi: “La libertà, quindi, consiste nel poter essere liberi di perseguire il proprio dovere” in coerenza coi propri obiettivi, con quello che ognuno sente dentro di sè come ragione della propria condotta. Naturalmente in questo campo l'uomo può sbagliare (ed è quello che Agostino chiama “peccato”) e si può sbagliare dal punto di vista degli altri, ma anche dal proprio punto di vista, poichè gli esseri umani sono imperfetti”.
Se dunque si può sbagliare, “non penserò mai di inventare un sistema tributario perfetto, perchè anche se ne fossi capace, potrei comunque essermi sbagliato e non riuscire ad applicarlo”.
Si tratterebbe di una presunzione errata: “Se le persone fossero sempre costrette a fare il proprio dovere, ciò che qualcuno stabilisce, ciò che vuole un capo, in generale non dovrebbe esistere nè l'errore, nè il peccato”. Ma solo dal punto di vista del capo, con certezza. Non necessariamente sarà vero per tutti gi altri.
Dunque il principio liberale che usa Vanoni per parlare anche della sua cultura economica, “ovvero la libertà di realizzare il proprio dovere, implica anche che ognuno possa essere libero di sbagliare”.
Da qui al principio di mutualità alla base del tributo: nello scambio che si instaura tra lo Stato e il contribuente per il finanziamento della spesa pubblica, ci troviamo di fronte ad un concetto di scambio allargato, ad un concetto di mutualità e di reciprocità “vista nel lungo periodo”.
Cosa significa? Significa che siamo di fronte ad uno scambio in cui al tributo versato dal cittadino deve corrispondere, da parte dello Stato, un uso delle risorse per finanziare un programma di investimenti pubblici di lungo periodo “non solo conformi all'economia di mercato, ma attraverso un disegno pubblico, ad una programmazione in cui le componenti della redistribuzione di reddito siano molto limitate, perchè la diffusione della ricchezza deve nascere prima di tutto dall'incremento diffuso del reddito e non da un intervento esterno ai rapporti economici nella società da parte dello Stato, attraverso uno spostamento della ricchezza da una parte all'altra della società stessa. C'è qui un elemento di novità che interessa in generale: lo Stato fattore della produzione, in un modo che ho cercato di definire come “attore della produzione”. Questo significa che l'operatore pubblico costruisce le linee direttrici, ma non entra nel merito delle scelte degli operatori economici”.
Si intravede così, nel pensiero di Forte che scrive su Vanoni, il movimento di un ciclo determinato dalla politica tributaria che ha come fine la crescita economica per la distribuzione della ricchezza e per una superiore equità sociale. L'economia, coadiuvata inizialmente, si sviluppa liberamente e crea benessere diffuso. La modificazione dei rapporti economici da parte dell'intervento (arbitrario) dello Stato, viceversa, è metodo fallimentare, poichè la redistribuzione statale della ricchezza genera, contrariamente alle promesse, povertà e regresso: l'economia fugge dalla politicizzazione dei rapporti sociali; e, come in un circolo vizioso, la redistribuzione “politica” della ricchezza sociale (con l'uso extra-fiscale dei tributi) è destinata ad essere finanziata sempre più dalle tasse che dalla crescita economica, con il risultato che il rapporto tra benefici sociali e costi fiscali sarà definitivamente negativo, in particolare per i ceti più deboli.
“Secondo l'idea di Vanoni - dice Francesco Forte - l'operatore pubblico programma un intenso sviluppo di autostrade e un intenso sviluppo di comunicazioni, però come queste si facciano, chi le faccia, e con quali processi specifici di decisione, è un'altra questione. Mai Vanoni avrebbe concepito, come hanno fatto la Merkel e Obama, di entrare nella gestione dell'industria dell'auto. Se riteniamo che per lo sviluppo economico siano importanti le ferrovie, allora facciamo l'alta velocità, perchè vogliamo indirizzare l'economia in quel senso. Ma il resto no”.
Non è un caso, precisa Forte, che Vanoni non amava chiamare “piano” il suo progetto, ma “schema”. La ragione era duplice: “Da un lato Vanoni non amava le parole grosse, cercava di usare parole piccole, eventualmente anche per cose un po' più grosse. Ma soprattutto a Vanoni la parola “piano” dava fastidio perchè non voleva confondere l'idea di un ruolo dell'operatore pubblico, che determinava grandi direttrici per lo sviluppo economico, con l'idea che l'operatore pubblico entri nel merito delle scelte degli operatori economici. Qui c'è, secondo me, l'importante distinzione del tipo di “dirigismo” come “interventismo non conforme” di Vanoni, non conforme dal punto di vista delle scelte globali”.La natura di questa visione del ruolo dello Stato nell'economia si basa sullo stimolo all'offerta per lo sviluppo economico attraverso la creazione di una domanda pubblica per favorire la pianificazione a lungo termine degli investimenti da parte delle aziende. “Sicuramente Vanoni non si può definire, da un punto di vista del modello economico, come un liberale. La sua è una programmazione a lungo termine e non a medio o a breve. Si tratta di un tipo di programmazione che sarebbe utile anche oggi. In particolare la raccomanderei al Presidente degli Stati Uniti che invece usa “piani” che non durano un anno e forse nemmeno qualche mese. E' una programmazione che potremo definire di “variabili di bilancio pubblico” che all'epoca conteneva anche delle imprese pubbliche. Quindi una programmazione decennale che mira a dare, attraverso lo sviluppo della spesa pubblica sul lato della domanda, un orientamento e a produrre il sorgere, sul lato dell'offerta, di un orizzonte in grado di creare investimenti di lungo termine in relazione al progresso tecnologico e alla modernizzazione”.Il tema dello sviluppo è il tema centrale delle finalità della politica tributaria.
“L'idea di fondo, quella di creare una domanda stabile che consenta alle imprese di investire, è un'impostazione che rivolta l'impostazione keynesiana nel “Vanoni economista pubblico”. Non si tratta di stimolare una domanda globale qualsiasi, ma una domanda che serva a sviluppare l'offerta donandole un orizzonte di lungo periodo per il suo investimento”.

Dunque la spesa pubblica alimentata dal tributo, nel rapporto di mutualità Stato-economia, è innanzitutto spesa per investimenti e non spesa corrente. “L'importanza di questo messaggio sta sicuramente nell'idea di fare in modo che la spesa pubblica sia privilegiata nel campo degli investimenti pubblici e non nella spesa corrente, perchè il finanziamento della domanda deve servire a generare sviluppo economico nelle imprese. Per questo l'aspetto fondamentale della politica tributaria è che essa serva per consentire la programmazione economica”.
Ma un simile disegno, una simile possibilità di programmare nel lungo termine, a garanzia degli investimenti delle aziende, necessita di due fattori: la stabilità monetaria e rifuggire dal deficit di bilancio. Ma non è tutto: il ciclo torna a chiudersi al punto di partenza, ovvero nel momento della formazione del tributo, e qui entra in ballo “il modulo”, che non è solo un pezzo di carta, ma modula, in relazione al senso di giustizia tributaria, il rapporto tra Stato e cittadino attraverso un uso adeguato delle procedure con cui questo rapporto deve svolgersi per una migliore integrazione tra “capacità contributiva” e “produttività fiscale”.
“Ezio Vanoni muore in Senato mentre sostiene un bilancio che gli consente di avere la stabilità monetaria. Questo è il suo ultimo discorso: “la stabilità monetaria è la base dello sviluppo economico e anche dell'ascesa delle classi sociali”. In questo discorso non c'è niente di keynesiano: la spesa della difesa americana creava offerta e tecnologia perchè era una domanda costante. In questo senso il ruolo della domanda c'è, ed è un elemento in più e diverso rispetto alle teorie “offeristiche” o “produttivistiche dell'imposta” come quella di Einaudi che guarda solo al lato dell'offerta”.
L'inflazione è invece il nemico della programmazione. Alla stabilità monetaria corrisponde il bilancio pubblico in pari o in attivo. Sicuramente non in deficit, anche se viene giustificato “per le generazioni future”. “Vanoni vedeva il processo di accumulazione pubblico come aggiuntivo a quello privato” perchè preferiva lasciare alle generazioni future non un deficit, ma una crescita.
Il modulo. Vanoni diventa famoso per un modulo. “Egli partiva dall'ipotesi che niente è perfetto, ma che ci sono cose possibili e che gli schemi astratti non hanno senso, neppure dal punto di vista teorico, come spesso gli economisti ignorano, dilettandosi a fare modelli econometrici”.
A Vanoni interessavano gli aspetti organizzativi e operativi, cioè più le procedure che i contenuti specifici. “Le procedure contano di più del contenuto - dice Forte - nel senso che è difficile stabilire il contenuto senza la procedura. I tributi non esistono se non li vedo scritti su un modulo. Anch'io penso che i tributi sono moduli. L'insegnamento di Vanoni è che le imposte, tutto sommato, comprese quelle progressive, hanno dei limiti nell'agire umano. Noi non possiamo indurre la gente a pagarle, anche se magari in astratto è giusto, perchè la giustizia risiede nella gente concreta. E se prima di tutto non sente che quelle imposte non restituiscono spesa pubblica, non le paga; e se si trova vessata non le paga perchè non gli piacciono”.
Vanoni non credeva nell'imposta patrimoniale, perchè (come sosteneva Griziotti) le imposte patrimoniali sono un mezzo per pagare i tributi sul reddito e quindi il patrimonio non può essere visto. “Non è la teoria del doppio d'imposta di Einaudi per cui il patrimonio è l'equivalente e il tributo sul reddito è una doppia tassazione. La teoria di Griziotti e Vanoni (basata sull'idea che alla base del tributo c'è una causa) circoscrive molto il peso dei tributi e della stessa progressività, perchè si preoccupa molto dell'effetto di pressioni tributarie eccessive, di imposte che siano troppo progressive verso l'alto”.
Dunque il modulo: “Vanoni ha fatto la sua riforma basata sulla dichiarazione dei redditi”. Con un modulo. “E sul principio fondamentale: - Vi chiedo di pagare, ma vi riduco le aliquote perchè sono convinto che riducendo le aliquote aumenterà il gettito - Infatti avendo lui ridotto le aliquote sull'imposta di ricchezza mobile, e in modo enorme perchè erano imposte che erano diventate, a causa dell'inflazione, estremamente elevate, e avendole ridotte soprattutto nella categoria C1 (che era la categoria delle piccole imprese e degli artigiani), l'imposta sul reddito rimase più o meno di eguale gettito, mentre l'ICE, cioè l'imposta sulle entrate, era enormemente cresciuta. Ciò a dire che le imprese non evadevano più l'ICE perchè erano tassate in modo ragionevole sul reddito. Quindi la riforma permetteva di recuperare il gettito, non sul singolo contributo, ma nel sistema complessivo. Con l'imposta sugli scambi, riducendo l'aliquota sul reddito, l'imprenditore pagava perchè non era vessato, avrebbe dichiarato il fatturato e, dichiarando il fatturato, si modernizzava il sistema fiscale. Le dichiarazioni dei redditi diventavano più sincere, conveniva avere una contabilità e tenere una contabilità rendeva i controlli più facili e il rapporto fisco- contribuente più certo e leale”.

Vanoni introdusse uno schema procedurale. L' imposta personale unica sul reddito, invece, venne introdotta “con una catastrofe” da Bruno Visentin: “Partecipai a quella decisione con una relazione di minoranza - ricorda Forte - Volevo l'anagrafe tributaria, ma almeno con le aliquote più basse”.


L'ideologia
Vanoni contribuisce alla stesura del cosiddetto codice di Camaldoli, di cui scrive la parte economica, per una circostanza storica strana.Il Codice di Camaldoli fu un'idea di Sergio Paronetto nel corso del settimo congresso dei laureati dell'Azione Cattolica nel gennaio 1943: si trattava di scrivere un “testo di cultura sociale” che avrebbe dovuto essere discusso nel successivo luglio in un convegno da tenersi a Camaldoli, nel cenobio dei Padri camaldolesi.
Paronetto - ricorda Forte nel suo libro - era anch'egli di Morbegno, capo dei giovani dell'Azione Cattolica e segretario dell'IRI, teneva le fila nella clandestinità tra i cattolici e De Gasperi, in Vaticano. Nell'attività di Paronetto, morto giovanissimo, Vanoni è introdotto da Saraceno, di Morbegno anche lui e imparentato con Vanoni di cui sposò la sorella. Saraceno era suo compagno di scuola sin dalle elementari, cattolico, e professore all'Università Cattolica di Milano. E' per questo strano destino che il giovane dirigente del partito socialista riformista, Ezio Vanoni, si trova a finire nel consesso in cui si decide la nascita della Democrazia Cristiana. E' la fine del '42 e nella casa di Paronetto, Vanoni si incontra con De Gasperi, Saraceno, Andreotti: il nuovo partito nascerà sulle basi del vecchio Partito Popolare, ma assumerà un nuovo nome con il termine “democrazia” in primo piano e l'aggettivo “cristiana” per indicare una via alternativa sia alle dottrine del comunismo e del socialismo comunisteggiante di allora, sia al liberismo, sulla base della dottrina sociale della Chiesa.
Il capitolo “L'attività economica pubblica” del Codice è opera sua.
Il Convegno di Camaldoli era previsto per il luglio. In effetti si tenne a Camaldoli dal 18 al 23 luglio, ma la caduta del fascismo del 25 luglio con la destituzione di Mussolini, impedisce che la riunione si concluda con il testo finale redatto dal folto gruppo di intellettuali e politici cattolici: la stesura del testo viene affidata ai tre economisti di Morbegno assieme a Capograssi che si riuniscono sempre in luoghi diversi. Anche Vanoni era ricercato dai tedeschi“.
Per questo fatto curioso della storia, - dice Francesco Forte - la teoria economica di Vanoni, presente nel Codice, è in realtà un dono di Vanoni alla DC. Essa in realtà deriva da un pensiero che ha elaborato nella scuola di Pavia, al Collegio Ghisleri che, per quanto possa essere classificata volendone cercare le radici ideologiche, si potrebbe definire, onestamente, come liberalsocialista. In realtà nella DC Vanoni è finito come un esule socialista, essendo stato da giovane dirigente dei giovani socialisti riformisti. Il suo pensiero deriva direttamente da Giovanni Montemartini che era a Pavia un economista neoclassico, lui stesso leader socialista, economista ”marginalista”, quindi un socialista non-marxista. Aveva scritto una teoria delle municipalizzazioni ed altri testi teorici, con uno sforzo di elaborazione intellettuale che cercava di mettere assieme - soprattutto con i suoi articoli per la Critica Sociale su cui scriveva anche Einaudi - sviluppi di idee che si potevano chiamare di “socialismo riformista”, sulla base delle teorie economiche neoclassiche di allora e non sulla base della cosiddetta “scuola storica”, dunque nell'ambito dei socialisti non-marxisti cosiddetti «socialisti della cattedra»”.
Visti quindi simili antenati, siamo andati a cercare nell'araldica, ovvero nella collezione di Critica Sociale, dove, oltre a trovare un'enorme mole di articoli di Giovanni Montemartini (e un suo ricordo scritto di pugno da Turati), c'è una quasi altrettanto numerosa mole di scritti firmati da Benvenuto Griziotti. Tra questi ne troviamo uno dedicato a Rifare l'Italia!, il celebre discorso parlamentare di Turati, svolto “a titolo personale” nel giugno del 1920, il primo manifesto di “programmazione economica”.
Critica Sociale, numero 8 del16-30 aprile 1921 (pag 127). Titolo: “Prospettive economiche per rifare l'Italia”. Scrive Griziotti: “Filippo Turati, con il suo forte discorso alla Camera del giugno scorso e pubblicato col titolo suggestivo e appropriato di Rifare l'Italia!...è insorto contro la demagogia, e ha cercato di dare la coscienza al Parlamento, al Partito socialista, e al Paese, che la politica è essenzialmente una tecnica, e una tecnica è essenzialmente anche il socialismo; tali, almeno, l'una e l'altro dovrebbero essere - e dovrebbero chiamare la scienza al proprio servizio - nell'interpretare l'epoca in cui si vive, nello sforzo di adeguare le condizioni politiche della vita sociale alle necessità materialistiche del momento storico”.
Questo il maestro di Ezio Vanoni. Ed infine di Francesco Forte.
 

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