di Fabrizio Cicchitto, Critica Sociale, n.8 2009,
Il Presidente del Gruppo parlamentare del PdL alla Camera, Fabrizio Cicchitto, riassume le questioni che attendono la ripresa dell'attività politica autunnale. Tra gli impegni urgenti finisce in agenda il tema della definizione delle nuove regole statutarie, con un “equilibrio ponderato tra eletti e iscritti negli organismi dirigenti”, sedi collettive di dibattito “fino al voto”
Tra la vittoria elettorale e la formazione del governo Berlusconi l'anno scorso, e le elezioni europee e provinciali di quest'anno, la lista del Popolo delle Libertà è diventata un partito vero e proprio. Sull'altro versante la vicenda del PD è risultata essere più travagliata e i nodi giungono al pettine al congresso di ottobre. Entrambi gli avvenimenti hanno cambiato il quadro politico riorganizzandolo in modo del tutto nuovo. Che ruolo e che fisionomia avrà il PdL?
“Siamo di fronte ad un punto di svolta, nel senso che ci sono due aspetti in questa questione. Da un lato resta salda la leadership di Berlusconi, e questo lo dico non a scopo ripetitivo, ma perchè guardandomi intorno non vedo chi possa riuscire a mettere insieme i vari pezzi e spezzoni del centro-destra, dalla Lega alle varie componenti del Pdl e così via.
Nel sistema attuale l'importanza della leadership è fisiologica. Basti guardare, per controprova, alla sinistra che non ha leadership: sta patendo enormemente, al di là delle sue difficoltà e dei suoi difetti politici di fondo. Ha cercato più volte di darsela, ma prima non ha funzionato quella di Prodi, poi non ha funzionato quella di Veltroni.
Nella politica moderna, e non solo in Italia, ma anche a livello europeo, direi a livello occidentale, la leadership è un elemento fondamentale della vita politica. Questo punto dunque è fermo: Berlusconi guida il centro destra, malgrado tutto quello che è successo in questi mesi, dall'ennesimo attacco che gli hanno sferrato, alle stesse possibilità di contestazione a cui si è esposto. Insomma è una leadership sull'opinione pubblica ed è una leadership federatrice rispetto alle varie componenti del centro-destra. Questo è chiaro.
Però oggi c'è un altro capitolo, diciamo così, che si apre con l'aver costituito un nuovo partito come il Pdl, un partito di massa. Un partito deve avere una sua vita propria, non contrapposta alla leadership, ma con un suo funzionamento fisiologico sulla base delle regole statutarie concordate.
Berlusconi passa alla storia per due ragioni. In primo luogo ha impedito la realizzazione di un Colpo di Stato del '92 -'94, condotto in forme “geniali”, assolutamente inedite e atipiche rispetto alla versione classica che conosciamo, quella dei carri armati e dei coprifuoco. Non è stato un golpe militare, ma giudiziario, condotto con gli avvisi di garanzia, e mediatico con le gogne pubbliche di quello che scrivevano i giornali, con le carcerazioni come mezzo di tortura per ottenere “confessioni” spesso concesse per poter uscire da quell'inferno.
Berlusconi, come una variabile imprevedibile del gioco, ha impedito che tutto questo si concludesse in una morsa che avrebbe stretto l'Italia in un regime autoritario.
In secondo luogo in questi anni è riuscito ad aggregare uno schieramento di centro destra, prima da un punto di vista elettorale, poi con l'alleanza di tre partiti (Forza Italia, AN e Lega) e adesso con la costituzione di un nuovo partito.
Ora questo nuovo partito è in una situazione di evoluzione, perchè ha superato la prova del fuoco fondamentale delle elezioni, ma per fare un partito non basta presentarsi alle elezioni.
Abbiamo visto che il PdL ha delle potenzialità elettorali ulteriori, perchè alle amministrative, in molte situazioni - dove non si è impegnato direttamente Berlusconi - è andato oltre il 40 per cento e dunque è un partito che può essere irrobustito.
Questo vuol dire che va organizzato un partito con un Ufficio di presidenza, una Direzione nazionale, dei coordinatori regionali, provinciali, e così via in modo che si metta in moto un meccanismo che dia vita a sedi collettive e collegiali di discussione e di confronto in cui si possa andare anche al voto.
Bisogna cioè passare da un partito come lo è finora, come un' ossatura, un'impalcatura che sorregge il consenso, ad un partito costruito anche come “struttura”, come sede di dibattito e specialmente con una capacità di essere presente nella società, nelle molteplici pieghe di una società ricca, complessa, diversificata qual è quella italiana al Nord, al Centro e al Sud.
E qui si apre il problema degli iscritti e degli organismi. Sappiamo tutti che gli iscritti hanno “due facce”, una faccia di “consenso”, ma anche quella di chi organizza i pacchetti delle tessere. Quindi sorgerà la necessità di un meccanismo di filtro tra consenso e tessere.
Potrebbe essere un meccanismo congressuale in cui si combinano insieme, ponderandoli, il voto e il ruolo degli eletti che devono avere un loro peso, con il voto degli iscritti per costruire dei momenti collettivi e collegiali di discussione, a partire dall'Ufficio di presidenza che ha una composizione autorevole, alla Direzione, dove siedono più di cento persone, all'elezione dei coordinatori regionali e provinciali, alla costituzione di organismi collettivi che li affianchino.
Insomma un nuovo partito con un'intelaiatura che metta insieme chi viene dalla storia di Forza Italia con chi viene dalla storia di AN. Finora questa combinazione è stata gestita come una operazione di vertice, da un lato, ed elettorale per un altro verso.
Bisognerà invece costruire un partito che sappia misurarsi direttamente con i problemi della società italiana, dalla crisi economica, al Mezzoggiorno, ai temi della bioetica, e così via. Insomma si apre tutto un nuovo filone di lavoro politico per superare la situazione paradossale per cui prima si sono fatte le elezioni e poi si fa il partito come tale. Ora il partito va fatto. E questo sarà un tema che si affiancherà a quelli dell'agenda di governo nell'autunno.
Si torna alla esperienza del partito come strumento di formazione della rappresentanza e di selezione della classe dirigente? Il Pdl contribuisce a rifondare la politica dopo 15 anni di “transizione infinita”, come sosteneva Baget Bozzo?
Non c'è dubbio. Bisogna farne una autentica comunità politica con sedi permanenti di incontro. E' senz'altro espressione di vitalità il fatto che spesso i dibattiti politico-culturali si svolgano per iniziativa di qualche fondazione, ma dovrebbe essere anche il partito in quanto tale a farsi promotore di questi confronti. In sostanza a mio avviso bisogna evitare una sorta di divisione dei ruoli anche perchè, pressato dalle scadenze, il partito rischia di diventare una fabbrica permanente di organigrammi, mentre il cervello della nostra area politica si trasferisce nelle fondazioni o in qualche rivista. Il partito nazionale e locale deve essere anche il centro dell'elaborazione politico-programmatica.
Ma va trovato un meccanismo congressuale, ed uno di questi meccanismi elettivi potrebbe essere quello della combinazione ponderata nella formazione degli organismi tra gli eletti e tra gli iscritti.
A novembre sono vent'anni dal crollo del Muro. E a gennaio dell'anno venturo sono dieci anni dalla morte di Craxi: in pratica egli ha sconfitto il Comunismo, contro cui si è battuto per tutta la vita, ma non ha avuto la possibilità di gestire la sua stessa vittoria avendo passato la maggior parte degli anni successivi all' 89 in esilio. E la sinistra si trova al punto in cui è. Osservando la parabola complessiva della sinistra italiana che bilancio storico ne trai?
Qui siamo in un paradosso di un Paese anomalo. Ma la cosa deriva, secondo me, da un dato di fondo, e cioè che la sinistra è stata incapace dopo il crollo del Comunismo di trasformarsi in una formazione riformista e socialdemocratica. Ha sofferto i socialisti e ha contribuito in modo determinante a eliminare il Psi con la gestione politica del golpe di Mani pulite. Il finanziamento irregolare della politica riguardava tutti i grandi gruppi industriali, da un lato, e la DC, il PSI e il PCI, dall'altro. Però abbiamo visto che mentre alcuni grandi gruppi venivano addirittura azzerati, (vedi quello di Gardini) altri sono stati colpiti, altri ancora (vedi la Fiat e De Benedetti) sono stati salvati. E altrettanto è avvenuto nei confronti dei partiti.
Quindi c'è stata una gestione assolutamente irregolare dell'inchiesta su Tangentopoli. C' era un sistema che metteva insieme le grandi imprese e tutti i grandi partiti, mentre Mani pulite ha salvato alcune grandi imprese, ha salvato alcuni partiti o spezzoni di partiti e ne ha distrutto altri. Se non è golpismo questo, non so cosa sia un golpe in una situazione, diciamo così, di Stato democratico.
Dopodichè il Pds avrebbe dovuto beneficiare di tutto questo, ma c'era una tale violenza nella società che la discesa in campo di Berlusconi è stata una variabile non prevista che ha impedito la presa del potere ha chi aveva organizzato questa operazione.
E' anche emersa la costituzionale incapacità degli ex comunisti di diventare riformisti e socialdemocratici. Pur di non fare quel passo, hanno pagato un prezzo durissimo per la distruzione di Craxi e del PSI: primo, hanno azzerato un potenziale alleato per lo schieramento di sinistra e, secondo, non gli è riuscita neanche l'operazione, che avevano in mente, di eliminare il gruppo dirigente socialista per prenderne poi l'elettorato. Alla sciocchezza dello slogan “il posto dei socialisti è a sinistra” ci hanno creduto solo Boselli e Villetti (che a loro volta abbiamo visto come sono stati trattati e distrutti). Ogni forma di ingresso di socialisti nei DS (o l'operazione Sdi) ha riguardato solo una parte dell'ex gruppo dirigente. Il grosso dell'elettorato e degli iscritti al PSI, invece, ha seguito lo slogan “mai con i carnefici”, e quindi ha votato in massa per Forza Italia togliendo alla sinistra un elettorato del 7/8 per cento quantitativo, ma anche togliendole uno stimolo politico culturale verso il riformismo che avrebbe potuto essere decisivo.
Infatti noi tutti abbiamo visto che al crollo del Comunismo, avendo distrutto la componente vera del socialismo italiano che era il riformismo e Craxi, che cosa ha prevalso? Ha prevalso quello che ha descritto benissimo il senatore Pellegrino nel libro “Guerra civile”: cioè, nel vuoto culturale che si è creato nella sinistra, lo spazio è stato riempito da due componenti, una giustizialista alla Violante e l'altra quella cultura cosiddetta “liberal” (ma anch'essa giustizialista) di Repubblica e di Scalfari-De Benedetti. Il cervello della sinistra è cioè diventata Magistratura democratica, con alcune Procure, Violante e il gruppo editoriale “L'Espresso-Repubblica”. Tutte realtà che nulla avevano a che fare con il riformismo e la socialdemocrazia, ma che hanno preso per mano il PDS, che hanno pensato di risolvere il vuoto del riformismo socialista (e dei suoi elettori) con la sinistra democristiana quale alleato degli ex comunisti (non per caso salvata da Tangentopoli, pur avendo lo stesso modo di gestione politica che aveva il centrodestra democristiano).
Ma tutto questo non ha risolto loro nessun problema.
In che senso?
Nel senso che le due componenti (l'ex Pci e l'ex sinistra Dc) si sono assommate tra loro e così bene assortite nel nuovo partito che vanno a un congresso con due candidature che li spacca verticalmente, Franceschini per la sinistra democristiana e Bersani che rappresenta gli ex PCI.
E nel senso, aggiungo, che in tutti questi anni non hanno sfondato nè nell'elettorato socialista, nè nell'elettorato di centro, dove ha invece sfondato Forza Italia e il PDL.
Quindi la sinistra si trova in una situazione di sofferenza estrema. Per giunta, avendo appaltato il suo pensiero politico, per un verso ai giustizialisti e per l'altro a Scalfari-De Benedetti, ha finito per perdere anche la sua anima popolare.
Ex comunisti e sinistra DC hanno dato vita ad un partito che è una subalterna espressione di un triangolo di potere élitario, costituito da poteri forti - magistratura - media. La controprova di questo è data in modo esemplare dalla vicenda di D'Alema che ha dovuto smontare l'alleanza che lo aveva portato alla Presidenza del Consiglio, costretto da un “potere superiore” ad eleggere Ciampi.
Il quale, da Governatore della Banca d'Italia, ha portato il Paese alla catastrofe, non avendo capito nulla della vicenda della svalutazione della lira nel 92, ma associato al gruppo di potere imperniato su Espresso-Repubblica, è stato portato al Quirinale. Così l'Italia, per altri anni ancora dopo Scalfaro, ha continuato ad essere governata da Gifuni (longevo segretario generale della Presidenza della Repubblica, ndr) e da altri signori. Su questo potere “superiore” - istituzionale, bancario, finanziario, editoriale, poliziesco, italiano e internazionale - prima o poi bisognerà “accendere un faro” perchè esso è così forte che se ne parla molto poco.
Tuttavia l'operazione “L'Espresso-Ciampi-Magistratura democratica” è stata un'operazione di potere fortissima al vertice, ma debolissima alla base e il PDS-DS ha perso il suo legame con lo stesso elettorato tradizionale e popolare della sinistra.
Così siamo arrivati alla situazione paradossale di oggi, in cui nelle borgate di Roma si è votato per Alemanno, mentre la classe operaia del Nord ha votato Forza Italia e la Lega di Bossi.
Con il Pd stanno alcuni banchieri, alcuni grandi industriali, un pezzo di borghesia radical-chic, un'area di insegnanti, di dipendenti pubblici, di pensionati e di lavoratori dipendenti: la società è sempre più complessa e il centro-sinistra è sempre più ridotto. Ma anche per questo il PdL deve avere una più intensa vita associata per radicare in se stesso il consenso ottenuto per via mediatica ed elettorale di un blocco sociale assai vasto.
C'è stata una vera e propria deviazione della sinistra italiana verso il giustizialismo e verso la sua organica sottomissione ad alcuni poteri forti che gli ha fatto saltare la sua realtà di base.
Oltre a D'Alema costretto a votare Ciampi anzichè uno dei propri alleati post-democristiani, abbiamo visto per giunta come sono stati trattati quando hanno cercato di mettersi a giocare con la grande finanza: le intercettazioni telefoniche, le paginate sui giornali, le minacce giudiziarie sul caso BNL-Unipol. In poche parole gli hanno detto che avrebbero fatto la fine di Craxi se non si fossero levati di torno e se non la smettevano di intervenire su quel livello.
Oggi vivono una mancata realizzazione dei propri progetti e la loro crisi è destinata ad accentuarsi, in una situazione nella quale sono capaci soltanto in una cosa: cavalcare l'anti-berlusconismo senza esprimere altri valori politici e culturali. E tutto questo in fine ha portato all'alleanza con Di Pietro che stanno ingrassando elettoralmente e che esprime ulteriormente il deterioramento della qualità politica della sinistra.
Il congresso del PD modificherà questa subordinazione? O non possono rompere del tutto col giustizialismo e con Di Pietro?
Veltroni aveva avuto un buona idea, quella di andare da soli: “Smontiamo tutto e ci si confronta partito contro partito”. Ma poi si è dovuto alleare con Di Pietro che altro non è che il ritorno del proprio passato, il fantasma della propria origine. Di Pietro chi è? Di Pietro è la forza bruta dell'operazione Mani Pulite e Tangentopoli, la manovalanza di quei centri di potere, del “terzo livello” del golpe del 92-'94. L'averlo ingaggiato (ed è stato emblematico che si siano alleati con Di Pietro mentre hanno dato un calcio a Boselli e Villetti) è stato il coronamento di una involuzione di natura “autoritaria”, ma anche l'espressione di una visione ormai così rozza della vita politica italiana che è difficile che possano diventare maggioritari.
C'è la possibilità che si dividano, quindi?
C'è anche questa possibilità
Nell'ultimo periodo hai insistito molto sulla necessità di ricucire un'alleanza con l'Udc di Casini.
Penso che sia necessario riunire tutto l'elettorato riformista e moderato, e questo significa ristabilire un rapporto anche con l'Udc. E' un rapporto che può riprendere anche in vista delle prossime elezioni regionali dove in molte realtà l'apporto dell'elettorato Udc può essere decisivo. Ma innanzitutto la ragione di una ricomposizione dell'alleanza con l'Udc è la ricomposizione dell'elettorato riformista e moderato.
Nella storia italiana non è la prima volta che il riformismo socialista trova lo spazio per realizzare le proprie idee come “ospite” in campi di differente cultura politica, esiliato dalla sinistra. Ora la tradizione del socialismo riformista vive in un partito del PPE.
Non c'è nel centro-destra una realtà organizzata dei socialisti riformisti, intendo come corrente organizzata.
In tutte le province italiane dove vado, trovo una moltitudine di persone che votavano per il Partito socialista, il grosso dell'elettorato e dei quadri che stavano nel PSI si è spostato stabilmente in Forza Italia e ora nel PdL. Però spontaneamente è emersa una cultura socialista riformista e socialista liberale, insomma un insieme di valori che si richiamano al Liberalsocialismo e che hanno una sempre maggiore influenza nel PDL. Non è per caso che molti ministri dell'attuale governo provengono dalla storia del Psi di Craxi, da Brunetta, a Sacconi, a Tremonti, a Frattini, a Stefania Craxi.
Alla base di questa ripresa della cultura liberalsocialista c'è una lettura revisionista della storia del dopoguerra che non è finalizzata ad una rivalutazione del fascismo, ma è una lettura che smonta tutta la ricostruzione fatta del ruolo del Pci nella politica italiana: una mistificazione del tutto forzata che vorrebbe un PC “italiano” autonomo da Mosca fin dai tempi di Togliatti. In realtà il Pci era legato mani e piedi all'Unione sovietica: anche la “svolta di Salerno” e il fatto che non ci sia stata una seconda guerra civile in Italia non è farina del sacco di Togliatti, ma è una scelta geopolitca di Stalin.
Per tutti gli errori dei gruppi dirigenti socialisti, in primo luogo di Nenni e di Morandi negli anni '40, la potenzialità socialista che c'era nel dopoguerra non si è espressa e noi abbiamo avuto la sventura di avere un partito comunista che, unico in tutta l'Europa occidentale, è stato egemone a sinistra.
Tuttavia abbiamo avuto la fortuna di essere stati liberati dagli anglo-americani e quindi c'è stata risparmiata una “democrazia popolare” che aveva tutte le premesse per essere una vicenda sanguinosa, visto quello che i comunisti sono stati capaci di fare negli anni '46-'47, come oggi ricorda anche Pansa. Per fortuna sono stati bloccati in tempo.
Dunque non hanno nulla da insegnare e oggi attraversano una crisi culturale gravissima. La nuova storiografia post-gramsciana (da Romeo, a Perfetti, ad Aga Rossi, a Zavslaski, a Craveri, a Gianni Donno, allo stesso Lehner) ha smontato la presunta “superiorità culturale” della sinistra comunista e ha messo in evidenza che si tratta di una costruzione del tutto destituita di fondamento per la quale il primo riformista sarebbe stato Palmiro Togliatti: non è affatto vero. Togliatti aveva un legame di ferro con l'Unione sovietica., stendiamo un velo pietoso su ciò che scriveva e diceva negli anni '30. Se andiamo a rivederci i suoi celebrati testi, dalle Domande a Nuovi Argomenti, al Memoriale di Yalta, se andiamo a rileggere gli atti del Comitato centrale del '61 sul XXII Congresso si chiarisce che c'era una cultura organicamente legata allo stalinismo. Una cultura che è entrata in crisi e che Berlinguer, collocandosi in una via di mezzo, ha rimpiazzato con la “questione morale” da cui gli ultimi epigoni hanno coerentemente cavalcato il “giustizialismo”.
L'Italia non è un Paese normale in primo luogo perchè c'è questa forte componente comunista e post-comunista che non ha nulla da insegnare e che ha espresso soltanto disvalori autoritari e reazionari. E che tra l'altro ha sempre criminalizzato l'avversario politico. In questi anni è clamoroso quello che è successo a Berlusconi, ma se andiamo a rivedere quello che hanno detto e scritto contro De Gasperi, contro Fanfani, abbiamo visto che fine ha fatto Moro e come è stata distrutta la Democrazia cristiana, ebbene questa tendenza alla demonizzazione e alla criminalizzazione dell'avversario è un filo rosso, ma tragicamente nero, che percorre tutta la storia italiana e che va da Pci al post-Pci.
C'è stato solo uno spicchio in quella storia che si è opposto a tutto questo (di cui ha fatto parte lo stesso Napolitano), la componente “migliorista”. Ma è sempre stata una componente minoritaria che nel Pci ha avuto una vita assai difficile, tant'è che a Milano non a caso è stata colpita da Mani Pulite (cioè dai pubblici ministeri di Magistratura democratica).
Noi oggi siamo in questa “empasse” proprio perchè c'è stato un passaggio senza soluzione di continuità dal Comunismo al Giustizialismo, in un miscuglio infernale di élites finanziarie, di uso politico della giustizia, di una scorretta gestione dell'informazione fatta in pool dai giornalisti di testate (anche estere) in network tra loro per l' intreccio degli interessi finanziari e speculativi dei loro editori.
Il Liberalsocialismo ha spazio perchè si tratta di una cultura politica che non ha nessun complesso di inferiorità nei confronti dei comunisti, che non ha da farsi perdonare un passato fascista o razzista, che non ha da farsi perdonare complessi di inferiorità che invece hanno avuto e hanno alcuni stessi democristiani, che conosce bene la controparte ex comunista, sia politica che sindacale, e con la quale è capace di misurarsi a viso aperto.
(intervista a cura di S. Carl.)