Arturo Varvelli, Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), 18 gennaio 2010,
Stati Uniti e Gran Bretagna hanno recentemente annunciato un nuovo impegno in Somalia per combattere il terrorismo. Che possibilità reali vi sono?
La Somalia è un paese completamente distrutto, in realtà vi è una totale assenza dello Stato. Non vi è alcuna prospettiva perché mancano le caratteristiche fondamentali su cui è basato il vivere civile. la vita in Somalia oggi è simile alla vita della giungla nella quale regna l'impunità totale e quindi la criminalità. L'Italia aveva promesso lo scorso anno di riaprire una rappresentanza, ma l'ipotesi non si può oggi neppure prendere in considerazione proprio per la mancanza di queste condizioni basilari. È difficile quindi che vi sia a breve un vero impegno di qualsiasi tipo.
Il terrorismo sta quindi trovando terreno fertile proprio per l'anarchia presente nel paese?
Non possiamo avere dati certi perché nessuno è in grado di raccoglierne, ma mi pare di poter dire dalla mia esperienza nel paese che uno dei lavori più frequenti sia quello del "miliziano". In condizioni di povertà estreme quali quelle attuali è una delle poche forme di lavoro che consente il sostentamento non solo personale ma anche familiare e del clan. Ma sempre con maggior frequenza i miliziani vengono chiamati e reclutati da quella che è stata definita "l'internazionale del terrore". La Somalia è stato un paese piuttosto secolarizzato e più legato alla realtà tribale del clan che all'illusione ideologica o alla lealtà religiosa, tuttavia ora l'ideologia islamica comincia a diventare forte e a trasformarsi in proselitismo consapevole.
Che legami vi sono tra la Somalia e lo Yemen?
Vi sono legami forti tra i due paesi. La Somalia è un porto franco di traffici illeciti. Non c'è stato, non ci sono controlli, non c'è dogana. Tutta l'economia somala dipende dalla penisola arabica. Il processo di islamizzazione della società somala aiuta questo legame a rafforzarsi. In Somalia sono avvenuti i primi attentati suicidi, cosa che non era mai avvenuta. Dalla Somalia si riversano in Yemen migliaia di profughi che sono potenzialmente vulnerabili alle sirene del radicalismo islamico e che vanno a irrobustire le fila dei terroristi. Molti pirati che agiscono a largo delle coste del Corno d'Africa dicono di essere yemeniti. Insomma l'interscambio è completo: culturale, umano e di interessi economici.
Massimo Alberizzi è inviato de Il Corriere della Sera