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Geneva Summit for Human Rights, Tolerance and Democracy 2010,

Tra pochi giorni, l'8 e il 9 di marzo, sotto la presidenza di Lech Walesa e Vaclav Havel, si terrà in Svizzera la seconda edizione del Geneva Summit for Human Rights, Tolerance and Democracy, evento organizzato da una coalizione internazionale di organizzazioni non governative (tra le altre, UN Watch, Ibuka e Freedom House) impegnate nella difesa dei diritti umani. Tra gli oratori previsti, spiccano Rebiya Kadeer, difensore della comunità uighura cinese e candidato al Premio Nobel per la Pace, Nestor Rodriguez Lobaina, dissidente cubano, Bo Kyi, oppositore del regime militare birmano e vincitore nel 2008 dello Human Rights Watch Award, Donghyuk Shin, sopravvissuto ai campi di prigionia nord-coreani e Phuntsok Nyidron, la monaca tibetana che ha scontato quindici anni di carcere per aver registrato delle canzoni libertarie. Sul versante istituzionale, interverranno Massouda Jalal, ex ministra afghana per gli affari femminili e prima candidata donna alla presidenza di quale paese, l'italiano Matteo Mecacci, relatore dell'Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) in tema di Democrazia e Diritti Umani e Jan Pronk, che è stato rappresentante speciale in Sudan di Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni Unite dal 1997 al 2007.
La collocazione dell'importante riunione ginevrina è strategica, poiché avrà luogo in coincidenza con la sessione annuale del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. Il Geneva Summit si propone di costituire un punto di riferimento per gli attivisti di tutto il mondo, sotto il profilo del sostegno politico, della formazione e della motivazione. In effetti, l'obbiettivo principale della sessione del 2010 è dare voce alle vittime degli abusi dei più settari regimi reazionari e fornire efficaci strumenti di reazione a quanti si ribellano alla tirannia.
Le due giornate di incontri sono articolate in oltre venti presentazioni qualificate e workshop operativi, mirati a informare l'opinione pubblica internazionale, a sostenere lo sforzo del dissenso nel Terzo Millennio, a promuovere azioni concrete a favore delle libertà d'espressione (anche via internet) e a richiedere una pronta riforma del Consiglio Onu per i Diritti Umani, considerato inerte e inadeguato.
La situazione dei diritti umani del mondo è in progressivo deterioramento. In Iran, il contestato risultato elettorale dello scorso giugno ha dato l'abbrivio a una ondata repressiva senza precedenti, orchestrata dal governo di Teheran e attuata violentemente dalle forze di sicurezza e paramilitari. In Corea del Nord, il regime di Kim-Jong-Il continua a negare le più elementari libertà a una popolazione ormai allo stremo. In Sudan, il governo di Omar al-Bashir elimina migliaia di innocenti contando sull'impunità più assoluta, facendosi tra l'altro beffe della sentenza della Corte Penale Internazionale dell'Aja (poi annullata per questioni procedurali) che il 4 marzo 2009 aveva condannato il presidente sudanese per crimini di guerra e contro l'umanità legati al conflitto nel Darfur. E gli esempi potrebbero continuare.
A fronte di un quadro del genere, l'organismo dell'Onu preposto alla protezione dei diritti fondamentali, il citato Consiglio basato a Ginevra, sta venendo meno alla sua missione istitutiva a causa della marcata politicizzazione che ne caratterizza le dinamiche interne. Infatti, all'interno dell'organismo esiste un blocco di paesi che impedisce ogni azione decisa contro i governi amici accusati di violazioni e atrocità. Elemento che tra l'altro dovrebbe far riflettere sui criteri di ammissione al Consiglio. Basti pensare che l'Iran ha presentato la richiesta di accedere come membro a partire dal prossimo mese di giugno. Una provocazione. Un palese atto di sfida, suscettibile di svilire ulteriormente le velleità di chi crede ancora che la comunità internazionale abbia l'obbligo morale di mobilitarsi a difesa della dignità dell'uomo.
E' possibile tuttavia contestare l'esistente. La vetrina internazionale che il Geneva Summit offre, mira proprio a mettere in luce le più eclatanti situazioni di abuso, consentendo agli attivisti e ai perseguitati di raccontare le proprie vicende personali e collettive e di prefigurare opportunità di cambiamento per i popoli ancora soggetti all'oppressione. Dalle storie di successo di coloro che sono riusciti a liberarsi dalla cappa autoritaria possono nascere suggestioni utili per chi ancora lotta e intravede pluralismo, giustizia e libertà come prospettive lontane.
 

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