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Stratfor, 16 marzo 2010,

Peter Zeihan, analista di Stratfor, discute del ruolo egemonico della Germania in Europa, nel momento in cui gli sviluppi della crisi greca sembrano fornire a Berlino lo spunto per riaffermare e consolidare la propria primazia economica nel Vecchio continente.  Il think tank statunitense ribadisce in proposito una vecchia convinzione maturata nei propri ambienti. L'Euro, la moneta unica, non sembra lo strumento idoneo ad assolvere il compito per cui è stato introdotto, ossia favorire l'equilibrata crescita dei paesi europei. E' assurdo che paesi diversi come Germania e Spagna abbiano la stessa valuta e debbano seguire politiche economiche simili. I tedeschi gradiscono alti tassi di interesse in modo da attrarre gli investimenti di capitali, gli spagnoli necessitano di una valuta debole che agevoli le esportazioni. Le possibilità di crescita di Madrid, che non può contare sulla competitività dell'economia di Berlino, dipendono largamente dall'accesso a buon mercato al credito.

Il fatto che molti dei paesi europei meno ricchi abbiano avuto facile accesso ai capitali ha finito per accrescere il loro debito, determinando una serie di squilibri nell'Eurozona. Con la crisi del biennio 2008-2009 in Europa centrale i nodi sono venuti al pettine. Infatti, in quella circostanza i paesi occidentali si sono mostrati piuttosto riluttanti a sostenere i nuovi Stati membri dell'Ue. Ciononostante, le passate convinzioni manifestate da Stratfor, secondo cui la debolezza strutturale dei nuovi membri dell'Unione avrebbe finito con l'indebolire fatalmente la moneta unica e la stessa Ue, paiono oggi meno solide per stessa ammissione di Zeihan. Comincia a farsi strada una domanda: e se la Germania stesse manipolando l'Euro per rimodellare l'Unione europea secondo i propri interessi?

L'aspetto cruciale dell'attuale crisi in Europa risiede nel fatto che la maggioranza degli stati membri dell'Ue, in particolar modo in paesi mediterranei (Grecia, Portogallo, Spagna e Italia), si siano spesi troppo poco per tenere sotto controllo i loro budget e per contenere il debito. Si sono ingrassati e impigriti grazie al comodo accesso al credito garantito dall'Euro. Ne sono diventati dipendenti e non hanno trovato di meglio che finanziare i loro programmi sociali con l'espansione del debito pubblico. Le conseguenze sono gravi e potrebbero rapidamente diventare drammatiche. In Grecia, ad esempio, dove il debito governativo supera ormai il Pil annuale, è probabile che si verifichi presto una situazione di insolvenza, ma qualcuno teme persino una rivoluzione sociale.

Una situazione in piena evoluzione, ulteriormente movimentata da una recente intervista (13 marzo) concessa a Stratfor dal ministro delle Finanza tedesco  Wolfgang Schauble. Essenzialmente, egli ha sostenuto che se la Grecia, o altri paesi dell'Eurozona, non fossero in grado di riassestare le proprie finanze, dovrebbero essere espulsi dall'Eurozona. Al di là della praticabilità giuridica di una simile mossa, l'affermazione è veramente rilevante, poiché pronunciata non dal rappresentante di un governo qualunque ma dal ministro delle Finanze del paese decisivo per gli equilibri economici continentali.

Come nota Marko Papic, Stratfor Eurasia Analyst, questa affermazione è perfettamente coerente con le ultime prese di posizione della Germania, che sta riaffermando la sua autorevolezza nell'Eurozona e difendendo il suo status di grande e forte economia d'esportazione ai danni di paesi più deboli come la Grecia e la Spagna.

Tutti segnali che indicano chiaramente come la Germania sia pronta a contemplare, anche pubblicamente, un profondo ripensamento dell'architettura europea al fine di promuovere i propri interessi. Al di là del fatto che il progetto si concretizzi, l'intenzione esiste ed è stata manifestata. Una circostanza che cambierà la natura del rapporto tra Berlino e le altre capitali europee.

Dando un'occhiata agli effetti prodotti dall'introduzione dell'Euro comprendiamo le ragioni dell'assertività con cui Schauble ha posto il problema, prosegue Zeihan. Essere parte della stessa area valutaria significa essere "chiusi" nello stesso mercato. Un attore deve competere con chiunque altro e per qualsiasi cosa in un mercato, che in questo caso è l'Europa. Ciò fa sì che gli slovacchi possano accedere ai mutui allo stesso tasso di interesse goduto dagli olandesi, ma anche che gli efficienti lavoratori irlandesi si trovino a competere con quelli spagnoli (meno efficienti) o ancora che gli impareggiabili tedeschi se la vedano direttamente con gli ultra-inefficienti greci.

Del resto, dall'avvento dell'Euro in poi i partner continentali della Germania sono diventati via via meno competitivi rispetto a Berlino e le conseguenze di tutto ciò appaiono piuttosto evidenti: dato che la moneta unica sta svuotando la base economica degli altri paesi europei (soprattutto quelli mediterranei), è chiaro come la Germania stia ottenendo sommessamente ciò che non è riuscita a conquistare con la forza in un millennio di lotte intra-europee, ossia l'egemonia sul continente. Essenzialmente, gli europei stanno prendendo in prestito liquidi (dalla Germania) per importare beni (sempre dalla Germania) perché i loro lavoratori non possono competere in quanto a efficienza e costi (soprattutto a causa della Germania). E questo non si limita all'Eurozona, ma interessa anche gli Stati in vario modo ad essa collegati.

E così anche il think tank americano deve fare ammenda. Gli analisti di Stratfor continuano a ritenere che l'Euro non sia una soluzione efficace nel lungo periodo, ma non credono più che esso rappresenti una camicia di forza per i tedeschi, ma piuttosto un trampolino di lancio. Uno degli obbiettivi alla base della creazione della Ue, è cioè il contenimento della Germania, sembra esser stato sorpassato dagli eventi. Berlino non solo ha trovato una propria voce, ma è intenzionata a perseguire con forza il proprio interesse nazionale. La circostanza che in Germania si stia formando un consenso contro il salvataggio a ogni costo della Grecia e a favore di un ripensamento nel senso del rigore delle regole dell'Eurozona ne è la conferma più lampante. (a cura di Fabio Lucchini)

 

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