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Foreign Policy, 29 marzo 2010,

Lo scorso 5 marzo le forze speciali russe hanno ucciso nella Repubblica autonoma dell'Inguscezia, Said Buryatsky, una delle icone dello jihadismo caucasico anti-Mosca. La rilevanza del personaggio nel micro-cosmo estremista è stata subito confermata dalle centinaia di messaggi che hanno inondato i siti web del Jihad globale, dall'Azerbaijan all'Afghanistan, dal Kyrgyzstan al Kazakhstan, dalla Germania alla Turchia. Oggi alcuni osservatori interpretano le stragi sulla metropolitana di Mosca e l'attentato a Kizlyar (nella Repubblica del Daghestan al confine con la Cecenia) come una risposta dei ribelli caucasici alla sua eliminazione. Paul Quinn-Judge, esperto dell'International Crisis Group per l'Asia centrale, avvalora questa ipotesi.
In particolare, il clamoroso attacco moscovita, che ha lambito la sede dei servizi di sicurezza russi, suona come un'ennesima conferma del fatto che la questione cecena non è ancora chiusa. L'aggressiva politica putiniana contro l'indipendentismo caucasico ha sì (apparentemente) pacificato Grozhny, ma anche contributo a rafforzare l'insediamento del fondamentalismo islamico nella periferia dell'ex impero sovietico.
La storia di Buryatsky è emblematica. Nato con il nome di Alexander Tikhomirov nel 1982 in Siberia occidentale, la sua vicenda evidenzia il drammatico salto di qualità della guerriglia di matrice islamista nel Caucaso. Putin sogna e dichiara da anni di voler eliminare completamente la minaccia, ma probabilmente si illude, come testimoniano le 38 vittime di Mosca.  Questo dovrebbe far riflettere il Cremlino sulle conseguenze della sua ingiusta e repressiva politica caucasica e sulla durezza con cui le truppe inviate da Mosca hanno brutalizzato la popolazione civile (soprattutto in Cecenia). Non è un caso che siano donne le autrici del blitz al teatro Dubrovka del 2002 e delle stragi moscovite di questi giorni. Si tratta presumibilmente di vedove o sorelle di guerriglieri e terroristi uccisi. O ancora, vittime dirette di violenze e stupri da parte di soldati russi o diseredate obbligate a immolarsi per la causa dai loro stessi uomini.
La vita e la morte di Buryatsky dimostrano come il fondamentalismo si sia ormai tramutato in una malattia endemica e infettiva nell'intero Caucaso del nord. E' curioso che un individuo con un alto livello di istruzione e di integrazione sociale (come Buryatsky) abbia deciso di convertirsi alla lotta armata in nome di un'ideologia farneticante. Benché portavoce di una mentalità pre-moderna e retriva, egli ha utilizzato con perizia e abilità la tecnologia informatica per diffondere il suo messaggio.
Prima dell'avvento di Buryatsky, i ribelli caucasici avevano già una lunga tradizione nell'utilizzo di internet per finalità propagandistiche, ma il giovane siberiano ha operato una vera e propria rivoluzione. Se i suoi predecessori si accontentavano di registrare video amatoriali e di mettere in rete discorsi rozzi e minacciosi verso Mosca (usualmente pronunciati in lingua cecena), Buryatsky, mettendo a frutto la formazione scolastica di alto profilo maturata in Russia e Medio Oriente ed esprimendosi in russo corrente, ha sempre fatto ricorso a un registro comunicativo più raffinato. Il suo target era rappresentato dalla gioventù urbana e alfabetizzata delle aree musulmane dell'ex impero sovietico. In buona parte è riuscito a far breccia nel cuore e nelle menti di molti ragazzi, che hanno avuto accesso alle sue predicazioni grazie al web. Il suo indottrinamento è stato così efficace che diversi giovani kazakhi e kirghisi hanno scelto di spostarsi nel Caucaso del nord per combattere e trovare la morte negli scontri con l'esercito russo.
La leggenda di Buryatsky è stata anche alimentata dalla sua scelta di abbandonare il “comodo” ruolo di profeta e istigatore dei giovani internauti jihadisti per dedicarsi alla lotta armata sul campo. Ora che è morto, la sua immagine è stata ulteriormente idealizzata grazie alle lettere, selettivamente rese pubbliche dai compagni di lotta, dalle quail emergono il suo odio viscerale per la Russia e l'intima aspirazione, ossessione, per il martirio.
Individui come Buryatsky si sono affermati grazie ai cambiamenti epocali avvenuti nella regione caucasica nell'ultimo decennio. La prima guerra cecena (1994-96) era stata combattuta  in nome di  un fiero nazionalismo anti-russo, mentre l'insidioso conflitto dei giorni nostri vede impegnati migliaia di combattenti islamisti capaci di una spietatezza uguale o maggiore a quella dell'esercito russo e pronti a immolarsi anche nel centro di Mosca per la costruzione di uno Stato jihadista nel Caucaso. Il messaggio fondamentalista ha attecchito e non sarà semplice estirparlo. Putin dichiara di voler schiacciare i ribelli e i terroristi, ma i recenti avvenimenti confermano che l'eredità di Buryatsky è già stata raccolta. (a cura di Fabio Lucchini)
 

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