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Stratfor, 8 aprile 2010,

Il 2009 ci ha consegnato un'Europa afflitta dalla crisi economica e da un nuovo senso di divisione, evidenziato dalle dinamiche interne dell'Ue. I primi mesi del 2010 hanno visto emergere la crisi greca  come un'insidiosa prova di tenuta per una struttura che appare in questo frangente né stabile né coesa.

La crisi innescata dal debito greco continuerà, ma non si intravvedono disastri all'orizzonte. Il bailout, il piano di salvataggio concordato dall'Ue lo scorso 25 marzo, ha posto dure condizioni ad Atene, secondo i voleri espressi dalla Germania. In altre parole, è un salva-vita pensato per essere rifiutato dal paziente. La Grecia potrebbe sopravvivere fino alla fine dell'anno senza bisogno di ricorrere al bailout, ma nel lungo periodo Atene, a causa del suo declino demografico e della sua economia patologicamente non competitiva, rischia di sprofondare in un disastro tale da debordare nel campo sociale e politico interno del paese. La Grecia ne avrà un assaggio nei prossimi mesi, che saranno presumibilmente caratterizzati da scioperi e violente proteste, soprattutto in quella pentola a pressione che è Atene.

Aldilà dei destini della Grecia, il modo in cui l'Europa ha gestito la crisi ateniese non potrà che avere pesanti conseguenze sulla coesione politica dell'Ue.

Nell'ottobre 2009 gli elettori irlandesi hanno approvato il Trattato di Lisbona dopo un iniziale rifiuto. Il voto ha largamente tradotto le preoccupazioni diffuse in Irlanda (e confermate dalle sensazioni prevalenti in Europa in quel momento)  sul fatto che un secondo rifiuto a una Ue più forte ed efficiente, che il Trattato si proponeva di creare, avrebbe significato l'uscita del paese dell'Unione e dall'Eurozona.

Ora come ora, i sentimenti non potrebbero essere più diversi nel continente. I paesi scandinavi che sembravano propensi a unirsi all'Unione (Norvegia e Islanda) o all'Eurozona (Danimarca e Svezia) sono felici di esserne rimasti fuori. I paesi del Club Med (Portogallo, Grecia, Spagna e Italia) si stanno lamentando del trattamento ricevuto dalla Germania, mentre Berlino è stanca di giocare il ruolo di traino degli stessi membri del Club Med e non sembra più disposta a tollerare le inefficienze economiche dell'Europa meridionale. I nuovi membri dell'Est europeo e dell'Europa centrale (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, paesi baltici, Romania e Bulgaria) si stanno domandando per quale motivo nessuno si curi dell'assertiva rinascita russa alle porte del continente e temono che la crisi greca abbia tra le sue conseguenze l'inasprimento dei criteri per la membership dell'Eurozona, determinando così il rinvio dell'ingresso di diversi paesi appartenenti proprio a quell'area.

Gli strascichi della crisi greca hanno logorato il sentimento comunitario al punto da rendere l'Unione meno coesa di quanto fosse prima della risicata approvazione del Trattato di Lisbona. Gli Stati membri periferici stanno realizzando che Lisbona non renderà l'Europa più unita; fornirà piuttosto a Germania e Francia gli strumenti per accrescere il proprio controllo sulle istituzioni comunitarie. Ancora, il ruolo di Berlino nell'imporre stringenti condizioni ad Atene per accedere al piano di salvataggio ha sorpreso molti in Europa, che ancora si domandano dove sia finita la Germania acquiescente e comprensiva degli scorsi decenni.

Si prospettano quindi tempi agitati. In primo luogo, è preventivabile che le strade delle capitali del continente verranno attraversate da un'ondata di angoscia sociale quando i sindacati scenderanno in piazza per protestare contro i previsti tagli budgetari statali e i piani d'implementazione delle misure di austerità; Francia, Germania e Regno Unito sono già stati interessati da simili moti di protesta. Le elezioni in Repubblica Ceca (maggio), Ungheria (l'11 aprile scorso, ndt), Slovacchia (giugno) e Regno Unito (maggio) potrebbero rappresentare occasioni di instabilità e malcontento.

Protezionismo e nazionalismo sono destinati ad aumentare in una situazione di crescita economica stagnante e ciò renderà difficile la cooperazione tra i governi. A complicare il quadro una serie di criticità che i principali leader devono affrontare: la cancelliera tedesca Angela Merkel è in calo di popolarità a causa della crisi e delle spaccature interne alla sua coalizione di governo, il presidente francese Nicolas Sarkozy è stato appena sconfitto nelle elezioni regionali e sta fronteggiando l'insidiosa sfida lanciata dai sindacati alla sua proposta riforma pensionistica, il Regno Unito vivrà un'impasse politica dovuta a una dura sfida elettorale per la guida del paese e anche il premier spagnolo José Luis Rodriguez Zapatero hai suoi problemi, dovuti alla perdita di consensi in seguito all'esplosione della disoccupazione, che ha raggiunto in Spagna il 20%.

Le ombre greche e il loro effetto deleterio sulla compattezza dell'Ue finiranno presumibilmente per incidere negativamente su talune questioni politiche che dovranno essere discusse nel secondo trimestre del 2010. Sul tavolo, la Politica Comune Agricola, la proposta franco-tedesca di una tassa di responsabilità per gli istituti di credito, la definizione di un "governo economico" per l'Europa, la nomina di nuovi corpi diplomatici in rappresentanza dell'architettura istituzionale emersa dal Trattato di Lisbona.

Altra priorità per l'Europa sarà la gestione dell'attivismo russo. Prima della crisi economica globale, i paesi dell'Europa centro-orientale non sono riusciti a convincere Francia e Germania a opporsi con decisione all'assertività di Mosca e non ci sono elementi per credere che possano riuscirvi ora. Se l'Europa continuerà a ignorare le preoccupazioni di Polonia, Ungheria, Romania e degli Stati baltici rispetto alla Russia, è probabile che gli interessi economici di questi paesi (legati alla membership Ue) divergeranno in futuro da quelli politici e di sicurezza (legati all'alleanza militare con gli Stati Uniti).

La crisi del debito greco ha paralizzato l'Europa per quattro mesi e Stratfor ritiene che le risultanti non economiche della vicenda avranno ripercussioni molto più pesanti di quelle economiche. La prima di queste sarà la presa d'atto che l'Ue non rappresenta un riparo sicuro né dalle calamità economiche né dalle minacce geostrategiche poste dalla Russia. Molti sono stati a lungo convinti del contrario. In futuro, diversi paesi membri (e non) dell'Unione dovranno cominciare a riflettere su una simile spiacevole realtà e, forse, agiranno di conseguenza.

 

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