Gordon Brown, Fabian Society, 26 aprile 2010,
A pochi giorni dal voto la Fabian Society pubblica un saggio breve scritto dal primo ministro Gordon Brown, Why the Right is Wrong (Perché la Destra sbaglia). Dalla globalizzazione alla libertà personale, dalla gestione degli effetti della crisi economica alla riforma costituzionale, Brown delinea le differenza tra le ricette del New Labour e le proposte del nuovo conservatorismo di David Cameron che, in ultima analisi, non sembra avere le credenziali per governare le complessità che caratterizzano la società britannica contemporanea. Di seguito proponiamo alcuni brani del primo capitolo del pamphlet fabiano, La Battaglia delle Idee e il collasso del Neo-liberismo.
"La politica, nel suo intimo, è una battaglia delle idee, di idee basate su valori...Sono convinto che stiamo vivendo una fase ricca di promesse per i progressisti...in un mondo che sta uscendo dalla più grave crisi finanziaria dai tempi delle Depressione degli anni trenta soltanto le politiche progressiste sono in grado di fornire risposte convincenti ed eque ai bisogni sociali. Soprattutto a fronte del clamoroso fallimento delle politiche neo-liberiste che si sono dimostrate incapaci di sostenere gli individui di fronte alle sfide del ventunesimo secolo. Anzi, l'insistenza anacronistica sul laissez-faire economico ha finito per gettare nella disperazione quanti, troppi, sono stati abbandonati a sé stessi. Eppure la destra britannica insiste nella sua retorica ciecamente anti-statalista, con tutto ciò che questo implica a livello interno e internazionale, nonostante l'esperienza degli ultimi due anni abbia dimostrato come uno Stato presente, in grado di apportare le opportune correzione economiche, di offrire sostegno ai più vulnerabili e di aiutare i singoli a sviluppare a pieno le proprie capacità, sia fondamentale per consentire un equilibrato progresso socio-economico.
La destra di Cameron ripropone le suggestione del neo-liberismo e dello Stato minimo e si abbevera alla fonte di economisti, pur prestigiosi, come Friedrich von Hayek e Milton Friedman. Quante analogie con i Tory dei tardi anni settanta, guidati da Margaret Thatcher e convinti che lo Stato dovesse tenersi a debita distanza dagli affari economici. Le conseguenze le stiamo ancora pagando.
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Nonostante il rinnovamento cosmetico (che ha fatto parlare alcuni commentatori di Red Torysm, un conservatorismo più attento alle tematiche sociali), molti esponenti della destra britannica mantengono un'ostilità di fondo e ideologica nei confronti dello Stato. Ciò li induce a ritenere automaticamente ad escludere il più possibile ogni intervento governativo, poiché il mercato sarebbe in grado da sé di regolarsi e di correggere eventuali malfunzionamenti. Seguendo questa interpretazione, alcuni esponenti liberisti radicali sono giunti a sostenere che la crisi globale sia stata causata da un eccesso di regolazione dei mercati finanziari! In realtà, come noto, il dissesto globale dal quale fatichiamo a riprenderci ha dimostrato che la particolare versione del laissez-faire proposta dai più ferventi sostenitori del neoliberismo semplicemente non funziona.
Ancora più incredibile mi pare l'utilizzo che i nuovi liberisti fanno dell'eredità di Adam Smith. Personalmente, mi ha sempre affascinato il lavoro del grande economista scozzese del settecento e la sua insistenza sul ruolo vitale che i mercati e i commerci sono suscettibili di giocare, generando prosperità, stimolando l'innovazione e la creatività e migliorando le condizioni materiali di tutti. E' importante puntualizzare come Smith non ritenesse affatto, come ci si vuol far credere, che l'interesse privato determinasse sempre un beneficio per il pubblico; né che l'interesse privato fosse l'unico motore per la produzione dei beni pubblici. Non si può ridurre a questo la lezione del protagonista dell'Illuminismo scozzese, a me particolarmente caro (Brown è nato a Glasgow, in Scozia) e che considero un vero progressista.
Come Smith ben sapeva, e come rese evidente alle successive generazioni di studiosi, non è possibile fare affidamento unicamente sull'interesse privato per conseguire l'interesse generale o comunque obbiettivi sociali più ampi. La crisi ha rinfrescato la sua lezione, ribadendo che in circostanze simili all'attuale è fondamentale l'intervento dello Stato, in realtà degli Stati, per garantire che il vantaggio della collettività venga anteposto al privilegio di pochi. Beninteso, nessuno dubita della centralità del mercato nell'assicurare il successo e la sostenibilità delle economie e delle società contemporanee. I mercati sono nel pubblico interesse, ma non possono genericamente essere equiparati al pubblico interesse.
Il filosofo politico Michael Sandel ha tracciato in maniera illuminata i confini morali che i mercati non dovrebbero varcare. Esistono dei limiti dettati dall'etica e dai principi che dovrebbero essere sempre ben presenti a coloro che operano nel sistema finanziario e commerciale. Il Labour apprezza le virtù dei mercati, ma rimane consapevole dei loro limiti ed è questo io ritengo essere la perenne attualità della filosofia politica che ci ispira
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Specularmente, considero gravissimo il deficit che i Tory mostrano quando si tratta di analizzare la situazione attuale e di proporre una visione alternativa. Tutto si riduca a due leit motiv: il diniego e il pessimismo. Molti politici e commentatori del campo conservatore persistono, come se gli ultimi due anni fossero trascorsi invano, ha mostrare scetticismo nei confronti del governo e dei poteri pubblici. Secondo la loro analisi, avremmo dovuto lasciare che "la recessione facesse il suo corso" e per questo motivo essi si sono opposti alle misure che abbiamo preso per intervenire. Misure che si stanno rivelando efficaci. E che dire poi del reiterato tentativo di presentare la Gran Bretagna come una paese "broken", sfasciato? Una seria analisi del nostro paese dimostra come tutti i problemi sociali che giustificherebbero secondo la destra il suddetto attributo (criminalità, divorzi, gravidanze premature, ecc.) stiano in realtà conoscendo un contrazione e non una crescita. E allora l'insistere su un simile disfattismo non sembra avere altra giustificazione che l'occultamento delle proprie carenze programmatiche e valoriali. E' la condizione da bancarotta culturale della destra in Gran Bretagna.
Un vuoto programmatico al quale una sinistra che vuole essere genuinamente riformatrice deve opporre un solido progetto alternativo di società. Una società che accetti di collaborare con un governo inteso come facilitatore, in grado di permettere alla persone di realizzarsi a pieno e dove il successo e il benessere non siano semplicemente misurati utilizzando come sola unità di misura la ricchezza materiale (seppur importante, non lo nego). Quel che più conta, in conclusione, è che credo che questa mia concezione sia largamente maggioritaria nel paese, soprattutto in considerazione del riconoscimento del fallimento del Neo-liberismo, che si è alla lunga rivelato ingiusto e ha mancato la sua grande e fascinosa promessa: assicurare a tutti la prosperità."
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(A cura di Fabio Lucchini)