Stratfor, 25 maggio 2010,L'Europa sta cercando di minimizzare gli effetti della crisi greca e l'attenzione dei governi e dei media è concentrata sulle questioni economiche e finanziarie, ma considerare secondari gli aspetti geostrategici è sbagliato.
George Friedman, analista di
Stratfor, nota che alcuni sviluppi in atto, sebbene sottovalutati, rischiano di incidere sugli assetti futuri del Vecchio Continente. Un intreccio di dinamiche strategiche e di considerazioni economiche potrebbe infatti alterare gli equilibri di forza e dare luogo a inattese riconfigurazioni delle alleanze.
Il governo polacco ha recentemente annunciato il dispiegamento sul proprio territorio nazionale di una batteria di missili Patriot statunitensi. Una sorta di risarcimento che l'amministrazione Obama ha concesso a Varsavia dopo la retromarcia sul sistema anti-missilistico in Europa orientale, sfumato in seguito alle pressioni russe. I Patriot consentiranno ai polacchi di difendersi efficacemente da attacchi condotti con missili a corto raggio e da incursioni aeree. L'unico paese al momento in grado di condurre attacchi del genere è la Russia, che non sembra tuttavia intenzionata a inscenare una nuova levata di scudi nei confronti di Washington.
Le priorità di Mosca in questo momento sono altre: approfondire la collaborazione economica con l'Occidente ed estendere nuovamente la sua sfera d'influenza nell'ex impero sovietico. Sul secondo fronte, il momento è quanto mai propizio. Con l'Europa impegnata a risolvere i suoi guai finanziari e gli Stati Uniti distratti dai problemi interni e dalle turbolenze mediorientali, le resistenze e le contromosse occidentali sono ridotte al minimo. In particolare, il fatto che l'Europa sia perennemente in crisi non può dispiacere ai russi per due ordini di motivi: da un lato, e qui l'argomento non è nuovo, il fatto di fronteggiare una Ue indebolita consente al Cremlino di tutelare al meglio i propri interessi strategici e economici; dall'altro, e qui sta l'aspetto più interessante dell'analisi di Friedman, dal caos europeo sta emergendo una Germania intenzionata a modificare il proprio ruolo e, forse, le proprie tradizionali fedeltà internazionali.
La crisi esistenziale dell'Ue è sotto gli occhi di tutti. Storicamente, l'Unione è stata efficace sino a quando l'economia continentale si è mantenuta prospera. Aldilà delle annose polemiche sulla sua inconsistenza politica, i problemi si sono aggravati in seguito alla crisi finanziaria del 2008. Come è emerso in tutta evidenza dal dissesto finanziario dell'economie dell'est di due anni fa e dal tracollo ellenico di quest'anno, i paesi più ricchi non amano spendere i soldi dei loro contribuenti per assistere le economie più deboli. Se decidono di farlo, pretendono di controllare come quei soldi vengono utilizzati dai paesi debitori, che a loro volta non gradiscono interferenze esterne. E così il conflitto tra i paesi ricchi (Germania) e quelli in difficoltà (Grecia e, si teme, molti altri) è destinato ad acuirsi.
L'euro e la Ue probabilmente sopravvivranno al trauma determinato dal collasso greco, ma saranno in grado di resistere alla crisi future che non tarderanno ad arrivare? L'Unione sembra scontare un suo difetto costitutivo, che risale a quasi sessantenni fa. Solitamente, per costruire un superstato sono necessari due precondizioni: o una guerra per determinare a chi spetti il comando o l'unanimità per prendere decisioni condivise. Nel 1957, fortunatamente (considerando che l'Europa era reduce da due conflitti spaventosi), si optò per la seconda strada, ma i limiti di quell'opzione stanno venendo inesorabilmente a galla. Allo stato attuale delle cose, nemmeno il più ottimista fra gli europeisti può immaginare un'ulteriore avanzata nel processo di integrazione. Anzi, sembra più probabile che l'Ue si trasformi in un'alleanza di convenienza, i cui contenuti, principalmente economici, saranno continuamente rinegoziati tra gli Stati membri.
E allora, parallelamente al tramonto del sogno europeista concepito per contenere “l'inevitabile” egemonia tedesca sull'Europa, riemerge un problema latente dal 1871 a oggi: il peso della Germania. Il biennio di crisi globale non ha fatto altro che confermare il ruolo preminente della Germania, un ruolo che negli ultimi decenni è stato confinato all'ambito economico. Tuttavia, posto che le dinamiche economiche assumono di giorno in giorno una natura prettamente politica e che le due sfere tendono vieppiù a intrecciarsi, è impossibile sottovalutare la recente, vigorosa, virata di Berlino. La Germania, infatti, in linea con i propri interessi, sta tentando di riformulare la natura stessa dell'Unione Europea e dell'Eurozona. Per la prima volta dopo decenni i tedeschi stanno cercando di riacquistare la supremazia politica, e non solo economica, in Europa.
Nel perseguire questo ambizioso disegno, il governo Merkel deve tener presenta alcuni limiti strutturali: la Germania ha potere ma non è onnipotente, nulla può essere deciso in Europa senza il suo assenso ma ciò non significa che essa possa autonomamente disporre della volontà dei suoi partner continentali. Ciò considerato, se la pericolante architettura europea si indebolisse ulteriormente, o addirittura crollasse, quali rimarrebbero le opzioni percorribili per la Germania? L'alternativa storica all'Europa è sempre stata la Russia e nel futuro tedesco potrebbe esserci nuovamente il Cremlino.
Un'evenienza oggi impensabile, poiché, dopo il cancellierato filo-russo di Gerhard Schroeder, a Berlino governa un esecutivo nominalmente atlantista. Tuttavia, come insegna il filone realista della teoria delle Relazioni Internazionali, la politica degli Stati è condizionata in maniera rilevante dalle costrizioni esercitate dal sistema internazionale di riferimento. Il sistema globale del ventunesimo secolo è caratterizzato da una potenza declinante (gli Usa), da una mai pienamente assurta al ruolo che le spetterebbe (l'Ue) e da una miriade di attori emergenti (Cina su tutti) pronti a raccogliere a livello politico i frutti della loro crescita economica. In questo contesto, tendenzialmente multipolare, la Germania sta valutando l'opportunità di abbandonare la tradizionale fedeltà all'Occidente e di convertirsi al realismo spinto.
D'altronde esistono delle potenziali sinergie tra le due economie. La Germania importa massicciamente risorse energetiche dalla Russia, che a sua volta necessita di tecnologie e capitali per dare consistenza alle sue velleità da grande potenza. Ancora, la Germania ha bisogno di forza lavoro, mentre la Russia denuncia un surplus in tal senso. I tedeschi non desiderano l'arrivo di nuovi migranti da est e potrebbero risolvere i loro problemi delocalizzando la produzione nel territorio della Federazione, aiutando il Cremlino a contrastare il flagello della disoccupazione. Allargando il discorso al dominio della grande strategia, l'innegabile compatibilità economica sembra il presupposto per fondare una solida partnership tra Mosca e Berlino sulle macerie del progetto europeista.
Un'eventualità che non a tutti risulterebbe gradita. Evidentemente, non agli Stati Uniti e non ai paesi dell'Europa dell'est, Polonia in primis. Siamo alla vigilia di un riposizionamento e di un riallineamento nel cuore del Vecchio Continente? Dopo il conflitto tra “vecchia” (Francia e Germania) e “nuova” (i paesi dell'est e di più recente adesione all'Ue) Europa descritto dal segretario alla Difesa Usa, Donald Rumsfeld, ai tempi della spaccatura atlantica del 2003/04, la convergenza strategica tra Germania e Russia finirebbe per dar luogo a una divisione ancora più lacerante del mondo occidentale. Sorprende che a mettere in moto una simile dinamica potrebbe essere la disciplinata e rigorosa Germania, stanca di fungere da bastione economico dell'Europa e desiderosa, dopo sessant'anni, di tornare a giocare un ruolo politico di primo piano sulla scena internazionale.