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Brookings Institution, Giugno 2010,


 

Nonostante i problemi siano ancora molti, il quadro economico globale appare migliore di quanto fosse solo un anno fa, esordisce Eswar Prasad nel suo contributo al paper "Ripresa o ricaduta. Il ruolo del G-20 nell'economia globale", che la Brookings Institution dedica all'appuntamento canadese del G-20. La ripresa è stata sostenuta da consistenti stimoli fiscali e monetari. La sfida per i leader mondiali è disegnare una exit strategy che consenta di allentare le misure eccezionali di stimolo garantendo la sostenibilità a medio termine del sistema finanziario.

Dagli indicatori elaborati dagli studiosi della Brookings, emergono dei trend sicuramente positivi:

1) Rispetto al primo semestre del 2009, l'economia globale ha recuperato terreno, anche se dovrà passare del tempo prima che molti indicatori tornino ai livelli pre-2008. Ad esempio, diversi paesi membri del G-20 registrano livelli di produzione industriale inferiori ai valori raggiunti prima della crisi. Peraltro, il commercio globale è già tornato ai volumi di scambio di ventiquattro mesi or sono;
2) La ripresa si sta rivelando diseguale. I tassi di crescita della produzione industriale e il volume degli scambi sono risaliti, mentre la ripresa in termini di Pil e impiego è stata, nei casi più felici, alquanto modesta;
3) Nel corso del 2009 le performance dei mercati finanziari sono state rilevanti, ma negli ultimi mesi si evidenzia un arretramento causato dagli sbandamenti europei;
4) La business confidence è stata ricostituita nelle economie avanzate come testimonia l'aumento degli investimenti. Meno ottimismo tra i consumatori;
5) Le economie emergenti hanno avvertito in ritardo gli effetti della crisi e hanno iniziato prima la ripresa. Particolarmente robusto il rilancio di Cina e India. Un andamento che prosegue nel 2010 e che lascia presupporre che i paesi emergenti stiano diventando sempre più indipendenti dalle fluttuazioni delle cosiddette economie avanzate.

Ciò detto, la cautela è d'obbligo poiché la situazione si mantiene fluida. Nel breve termine, la scarsa fiducia dei consumatori e i bassi tassi di incremento occupazionale rischiano di danneggiare le prospettive di crescita. Allo stesso modo, le pressioni inflazionarie nei paesi emergenti sono suscettibili di determinare necessarie, ma dolorose, strette monetarie. I mercati finanziari appaiono tutt'altro che stabilizzati: la crisi europea del debito accresce i timori che alcune banche del Vecchio Continente subiscano le conseguenze, in termini di esposizione, della situazione precaria di alcune economie (Grecia, ndr). Nel mondo anglosassone le istituzioni finanziarie limitano la concessione di credito, raffreddando sia la propensione a investire delle imprese sia quella a consumare dei privati.

Nel medio termine, i crescenti livelli di debito nelle economie avanzate mettono a rischio la stabilità macroeconomica e finanziaria. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) stima che nel 2015 il debito pubblico nelle economie avanzate raggiungerà mediamente il 76% del Pil, mentre nei paesi emergenti si fermerà al 39! Le conseguenze sono immaginabili, nota Prasad: gli alti livelli di debito dei paesi avanzati assorbiranno gran parte del risparmio globale, ridurranno le potenzialità di crescita del sistema mondiale e aumenteranno i rischi di spirali inflazionarie.

E' doveroso oltretutto evidenziare un'inquietante similitudine con la congiuntura del biennio 2006-07. Come allora, si registra uno squilibrio nel budget governativo degli Stati Uniti e di altri paesi a economia matura che, abbinato a una modesta propensione al risparmio privato, potrebbe determinare una pericolosa espansione del deficit pubblico in questi paesi. La attuale posizione di forza del dollaro, che sta recuperando terreno su un euro indebolito dai recenti accadimenti, attira capitali negli Stati Uniti e garantisce bassi tassi di interesse. La combinazione di bassi tassi di interesse negli Usa e di modeste prospettive di crescita nelle economie avanzate si riflette in un aumento dell'iniezione di capitali nelle dinamiche economie emergenti, che, da parte loro, investono nelle valuta di riserva americana. Una situazione potenzialmente instabile.

Nonostante stiano crescendo a ritmi notevoli, le economie emergenti non hanno la massa critica sufficiente per veicolare una ripresa effettiva dei consumi globali. Ciò considerato, l'eccessiva dipendenza dall'export di Cina, Germania e Giappone, unita alla fievole ripresa occupazionale in Occidente, è suscettibile di ingenerare future tensioni commerciali.

Quale agenda per i leader dei G-20? Nel recente passato, Stati Uniti ed Europa si sono dimostrati pronti quando si è trattato di mettere in campo aggressivi stimoli fiscali e monetari per salvare le proprie economie dalla catastrofe. Ora si tratta di mostrare la medesima solerzia nell'approntare piani credibili per mantenere i deficit sotto controllo nel medio termine. Una precondizione necessaria; poi sarà possibile occuparsi della tanto agognata ripresa.

Se si desidera raggiungere l'obiettivo di lungo termine di una crescita globale armoniosa e duratura, non è più rimandabile una modifica delle politiche valutarie cinesi e una riforma strutturale del sistema produttivo di Pechino. Un discorso analogo vale per Giappone e Germania, troppo legati all'export quando dovrebbero invece sviluppare il mercato interno per evitare seri squilibri. Si richiede anche un'accelerazione per quanto riguarda la riscrittura delle regole finanziarie internazionali, se non altro per consentire alle istituzioni finanziare (grandi e piccole) di muoversi in un contesto meno incerto e aleatorio.

A due anni dall'inizio di una crisi globale dalla quale non riusciamo a liberarci e che anzi potrebbe aggravarsi nuovamente, conclude Prasad, è responsabilità della grande politica, del G-20, rinvigorire i propositi di collaborazione più volte espressi. E' tempo di costruire una piattaforma di politiche condivise che, impedendo l'approfondirsi degli squilibri che hanno causato il dramma del 2008, consenta alle istituzioni finanziarie (nazionali e internazionali) di riacquisire appieno quelle funzioni di supervisione ed erogazione fondamentali per il rilancio dell'economia globale.


Eswar Prasad, Senior Fellow della Brookings Institution e New Century Chair in International Economics, è Tolani Senior Professor di politica commerciale presso la Cornell University e Research Associate al National Bureau of Economic Research. E' stato a capo della Financial Studies Division and the China Division del Fondo monetario internazionale (Fmi).


-Il summit e la crisi europea

 

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