Richard Clarke, aprile 2010,
Eravamo immersi nel rosso e nel grigio di un inverno a Washington. Su un lato della strada non lontano da Dupont Circle, in un edificio brownstone pieno di chitarre elettriche e arredato da un'eclettica collezione di manufatti artistici, ci siamo riuniti per ricordare l'uomo che ci aveva insegnato come analizzare i problemi della guerra e della difesa. Quella notte di febbraio del 2009 due dozzine di suoi ex allievi, ormai per lo più sulla cinquantina, alzarono i calici in memoria del professor William W. Kaufmann, scomparso poche settimane prima all'età di novant'anni. Bill, come tutti lo chiamavano, aveva insegnato analisi della difesa e politica delle armi nucleari strategiche per decenni al MIT, poi ad Harvard e alla Brookings Institution. Generazioni di "esperti" civili e militari hanno guadagnato quel titolo passando attraverso i suoi corsi. Bill è stato anche consulente per sei segretari della Difesa, in prima fila nell'E Ring del Pentagono. Ha fatto la spola tra Boston e Washington ogni settimana per decenni. Alle sue spalle, alcuni di noi chiamavano il professor Kaufmann "Yoda", in parte per una vaga somiglianza fisica e stilistica al personaggio di Star Wars, ma soprattutto perché lo consideravamo come il nostro maestro Jedi, l'uomo che aveva capito il funzionamento della Forza e che tentava di insegnarcelo. Come analista e consulente, Bill era nel ristretto novero dei civili che avevano creato il quadro strategico della dottrina della guerra nucleare tra la fine degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta. Costoro hanno indotto gli Stati Uniti della Guerra Fredda ad abbandonare una strategia nucleare che avrebbe potuto condurre il Paese alla guerra atomica e alla distruzione di centinaia di città in Europa e in Asia. Bill ei suoi colleghi hanno probabilmente evitato una guerra nucleare globale e hanno reso praticabile il controllo delle armi strategiche. La nostra conversazione di quella notte, agevolata dai Martini che solevamo condividere con Bill, guardava al futuro. Che cosa potevamo fare per onorare la memoria di William W. Kaufmann e degli altri strateghi della seconda metà del ventesimo secolo? Qualcuno suggeriva di continuarne il lavoro, applicando quello che Bill ci aveva insegnato al quadro strategico dei nostri giorni. Un altro al tavolo suggeriva che il mondo è molto diverso dagli anni cinquanta; oggi le strategie nucleari sono decisamente più avanzate. Ma viviamo un tempo così diverso? Nel primo decennio del XXI secolo, noi americani abbiamo sviluppato e dispiegato sistematicamente un nuovo tipo di arma, fondata sulle nostre nuove tecnologie, e lo abbiamo fatto senza una strategia ben definita. Abbiamo creato un nuovo comando militare per condurre un nuovo tipo di guerra ad alta tecnologia, senza dibattito pubblico, discussione mediatica, supervisione del Congresso, analisi accademica o alcuna forma di dialogo internazionale. Forse, allora, viviamo un momento con alcune sorprendenti analogie rispetto agli anni cinquanta. Forse, allora, abbiamo bisogno di stimolare una discussione e una rigorosa analisi in merito a questo nuovo tipo di arma, questo nuovo tipo di guerra. Sto parlando del cyber-spazio e della cyber-guerra. Il 1 ottobre 2009, un generale si fece carico del nuovo Cyber Command degli Stati Uniti, un'organizzazione militare con il compito di utilizzare le tecnologie dell'informazione e di Internet come arma. Strutture simili esistono in Russia, Cina e in una ventina di altre nazioni. Questi organismi militari e di intelligence stanno preparando il campo di battaglia cibernetico con logic bombs e altre trappole informatiche, mentre piazzano esplosivi virtuali in altri paesi in tempo di pace. Data la natura unica della guerra cibernetica, non mancano forti incentivi ad agire per primi. I bersagli più probabili sono di natura civile. La velocità con cui migliaia di obiettivi possono essere colpiti quasi ovunque nel mondo evidenzia la prospettiva di crisi estremamente volatili. La forza che ha impedito la guerra nucleare, la deterrenza, non funziona bene nella guerra cibernetica. L'intero fenomeno della cyber-guerra è avvolto in una tale segretezza da far apparire in confronto la Guerra Fredda come un periodo di apertura e trasparenza. Il più grande mistero sulla guerra cyber rimanda al fatto che mentre gli Stati Uniti si preparano per un conflitto cibernetico di natura offensiva, essi insistono nelle politiche che rendono impossibile difendere la nazione in modo efficace dagli attacchi informatici. La nazione che ha inventato la nuova tecnologia e le tattiche per usarla potrebbe anche non uscire vincitrice da una guerra cibernetica, soprattutto se il suo apparato militare rimarrà impantanato nelle vie del passato, sopraffatto dall'inerzia, troppo sicuro delle armi che ha imparato ad amare e a considerare prioritarie. Gli inventori dei nuovi armamenti potrebbero essere perdenti alla lunga, se non impareranno a difendersi contro l'arma che hanno svelato al resto del mondo. Così, anche se il colonnello americano Billy Mitchell è stato il primo a intuire che piccoli aeromobili avessero la potenzialità per affondare navi da battaglia più possenti, è stata la marina imperiale giapponese che ha sfruttato a pieno la scoperta nel tentativo di sconfiggere gli americani nel Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale. E' stata la Gran Bretagna che per prima ha sviluppato il carro armato e un colonnello francese, Charles De Gaulle, a mettere a punto tattiche di attacco rapido con ammassamento di tank, supportati dalla forza aerea e dall'artiglieria. Ancora, è stata la Germania degli anni trenta a far proprie e perfezionare le tattiche di De Gaulle, in seguito declinate nella guerra lampo (ancora nel 1990, e nuovamente nel 2003, l'esercito statunitense ha guerreggiato con una versione aggiornata del blitzkrieg - il movimento rapido di unità di tank pesanti, sostenute dalla forza aerea). Riscaldato dal cameratismo dei miei colleghi ex-allievi e dai Martini, ho lasciato l'edificio e vagato in quella fredda notte, meditando sull'ironia della Storia e impegnandomi con la mia coscienza, e con Bill, ad aprire una approfondita e ampia discussione pubblica sulla cyber-guerra prima che il nostro paese incappi in un simile conflitto. Questo libro rappresenta la prima fase di quell'impegno. Sapevo che avrei avuto bisogno di un collega più giovane che si unisse a me per cercare di comprendere le implicazioni militari e tecnologiche della cyber-guerra. Diverse generazioni pensano in modo diverso al cyber-spazio. Cadendo il mio sessantesimo compleanno nel 2010, ho visto il cyber-spazio crescere a poco a poco intorno a me. Mi sono dedicato al suo studio dopo aver vissuto una carriera legata alle armi nucleari, in un mondo bipolare. Sono diventato il primo special advisor del presidente per la sicurezza informatica nel 2001, ma le mie opinioni sulla cyber-guerra sono condizionate dalla mia esperienza in tema di strategia nucleare e spionaggio. Rob Knake aveva trent'anni quando ha scritto questo libro insieme a me. Per la sua generazione, internet e il cyber-spazio sono naturali come l'aria e l'acqua. La carriera di Rob si è concentrata sulla sicurezza interna e le minacce transnazionali del XXI secolo. Abbiamo lavorato insieme alla Harvard's Kennedy School of Government, presso la Good Harbor Consulting e alla campagna Obama for America. Nel 2009, Rob ha vinto il prestigioso International Affairs Fellowship presso il Council on Foreign Relations, con l'incarico di studiare la cyber-guerra. Abbiamo deciso di usare la prima persona singolare nel testo poiché in esso discuterò la mia esperienza personale di governo a Washington, anche con le tecnologie dell'informazione, ma la ricerca e lo sviluppo del lavoro sono frutto interamente della collaborazione con Rob. Abbiamo vagato da Washington al resto del paese alla ricerca di risposte alle tante domande che circondano la guerra cibernetica. Molte persone ci hanno aiutato in questa ricerca, alcuni di loro desiderano mantenere l'anonimato a causa dei loro ruoli passati o presenti. Dopo lunghe ore passate a discutere, abbiamo trovato una sintesi delle nostre opinioni, concordando sul fatto che la guerra cibernetica non rappresenta una nuova forma di conflitto, pulito e senza vittime, che noi, in quanto esperti di strategia, dovremmo abbracciare. Tantomeno siamo di fronte a una sorta di arma segreta da nascondere agli occhi dell'opinione pubblica. Infatti, è proprio il pubblico, la popolazione civile degli Stati Uniti e ogni impresa di proprietà pubblica e di interesse nazionale a correre i maggiori rischi nel caso di un attacco informatico su larga scala. Anche se può sembrare che l'America sia in grado di primeggiare in una cyber-guerra, la realtà è ben diversa: nessun paese avrebbe altrettanto da perdere. Né dobbiamo credere che questo nuovo tipo di guerra sia un gioco o una proiezione nefasta della nostra immaginazione. Lungi dal rappresentare una alternativa alla guerra convenzionale, una guerra cibernetica può costituire il prologo a scontri più tradizionali, con esplosivi, proiettili e missili. Se potessimo mettere questo genio nella lampada dovremmo farlo, ma non si può. Di conseguenza, è necessario impegnarsi in una complessa serie di compiti: capire cos'è la guerra cibernetica, imparare i "come" e i "perché" del suo funzionamento, analizzarne i rischi per prepararsi a gestirla e a controllarla. Questo libro è un primo tentativo per riuscirci. Non si tratta di un'opera tecnica, non vuole essere una guida di ingegneria elettronica che dettagli il funzionamento delle armi informatiche. Né è progettato per essere un testo per gli ambienti di Washington e pertanto impastato di gergo politico-legale. Infine, non si tratta di un documento militare o scritto per essere immediatamente traducibile in "pentagonese". Di conseguenza, alcuni esperti potranno trovarlo semplicistico quando tratta argomenti a loro noti e opaco quando vaglia materie che si estendono al di là delle loro competenze. Nel complesso, abbiamo cercato di trovare un equilibrio e di scrivere in uno stile informale che sarà chiaro e speriamo divertente. Ovviamente, non mancano riferimenti al mondo delle istituzioni, ai progressi tecnologici e alle questioni militari e di intelligence. Per evitare che l'inevitabile ricorso al gergo e agli acronimi risulti oscuro, è previsto un glossario. Gli alti funzionari della sicurezza nazionale di cui sono stato allievo per decenni mi hanno sempre raccomandato di non sollevare mai un problema senza suggerire contestualmente una soluzione. Questo libro rivela certamente qualche problema, ma si discute anche delle possibili soluzioni nella consapevolezza che sino a quando i sistemi di difesa dagli attacchi informatici diverranno realtà (e servirà del tempo), si correranno nuovi e seri rischi non solo per l'ordine interno, l'economica nazionale e il benessere individuale dei cittadini degli Stati Uniti ma anche per la pace e la stabilità internazionale. (Traduzione a cura di Fabio Lucchini)
Tratto da: Cyber War. The next threat to national security and what to do about it, Richard Clarke and Robert Knake, 2010 Richard Clarke ha lavorato per il Dipartimento di Stato durante la presidenza di Ronald Reagan. Nel 1992, George Bush l'ha incaricato di presiedere il Counter-terrorism Security Group e l'ha incluso nel Consiglio per la Sicurezza Nazionale. Nel 1998, Bill Clinton ha promosso Clarke a coordinatore nazionale per la sicurezza, la protezione delle infrastrutture e il contro-terrorismo. Durante l'amministrazione di George W. Bush ha acquisito il ruolo di di consigliere speciale del presidente in tema di cyber-sicurezza, prima di lasciare nel 2003
|