di Rino Formica
Dopo la debacle della sinistra, Silvio Berlusconi può essere considerato "il sistema", l'architrave, il punto d'equilibrio che se cade crolla anche la seconda repubblica che i suoi stessi oppositori di oggi hanno voluto ieri?
Berlusconi non è "il sistema", ma una parte organica di un sistema malato e deformato, nato agli inizi degli anni '90. La nuova frontiera del "nuovismo" fu il bipolarismo con sbocco bipartitico. Gli ostacoli apparvero subito insormontabili: la rigidità della Carta Costituzionale, le grandi culture ideologiche del ‘900, il tessuto diffuso e compatto del sistema dei partiti, trama dello Stato (come disse Togliatti), e una irrisolta questione sociale associata ad una riesplosa questione territoriale. Per cambiare il sistema ci voleva una rivoluzione culturale e popolare, altro che un presuntuoso manipolo di giudici, più rancorosi che colti. Insomma, per cambiare il sistema occorreva innanzitutto cambiare la Carta Costituzionale. Cosa mancò? La maturazione culturale di popolo. Il revisionismo costituzionale. Le rinnovate energie dei partiti, giunti esauriti e devastati allo storico appuntamento con il crollo degli Imperi cresciuti nel rigore della guerra fredda. Fu così che la soluzione della grande crisi di sistema fu affidata ai nani della società civile, ai rancorosi tra gli esclusi dal potere, ai trasformisti di tutte le stagioni. Questi, con mosse astute e furtive, pensarono al mutamento istituzionale, mediante complessi e pericolosi marchingegni di leggi elettorali maggioritarie, studiate in modo da trasformare il "piccolo nel grande", "la parte nel tutto", "l'inesistente nel reale". Tutto filò liscio, finchè due carneadi, Turigliatto e Bocchino, ruppero il giocattolo dell'inganno e rivelarono al popolo che il "bipolarismo" era un'illusione ottica e che il "bipartitismo" era la Fata Morgana.
Il PCI "proporzionalista" si sarebbe mai trovato a volere il "bipolarismo per legge", come ha imposto il PDS-DS, per tentare di assicurarsi con voti che non ha la leadership dello Stato?
Il Pci dopo il crollo dell'Unione sovietica e la fine del campo comunista internazionale non poteva fare altro che mimetizzarsi e mescolarsi con tutti. Non era Stalin che aveva detto "Quando non hai la maggioranza ti devi accontentare dell'unanimità"? Il Pci dovette mettersi prima al seguito di Segni, cercò Dini e Bossi, e poi ancora Ciampi e Prodi, ed ora cerca Casini e Fini. E domani quando non troverà altro, finalmente scomparirà senza onoranze funebri. Il Pci rifiutando il revisionismo socialista si è scavato la fossa con il bipolarismo grigio, costruito su una "corsa a destra" per dimostrare chi era il più bravo a smantellare lo stato sociale, a valorizzare il principio di autorità, ad esaltare solo gli aspetti ludici della partecipazione, ed evitare ogni conflitto tra idee e programmi alternativi.
In un ultimo colloquio con la Critica, Baget Bozzo prevedeva l'inevitabile nascita delle correnti nel PdL, avendo scelto Berlusconi il "partito di massa". Così non è stato, finora, e le correnti sono ritenute una cosa infettiva. I socialisti del PdL dovrebbero farne una loro?
Nella tradizione virtuosa delle forze politiche italiane, le Correnti interne ai partiti furono strumenti di trasparenza ideale, e di alta scuola formativa di nuove generazioni, quando seppero assolvere al compito di dare energie di pensiero e di azione per conseguire meglio il fine visionario della propria parte politica. Ma che senso hanno oggi le correnti nei partiti del "fare senza pensare", del capo assoluto senza una lunga catena democratica di comando? Che senso ha avere delle correnti nei partiti che operano in uno Stato in cui la politica è ancella dell'economia? Baget Bozzo era un intellettuale fine e di vasta cultura, che per vezzo amava oscurarsi con folgorazioni provvidenziali: forse era un espediente raffinato per sfuggire ai Vescovi. I socialisti che sono nell' area del PdL , che sia organizzato o meno in correnti, ritengo inutile si organizzino in una corrente, perché è un partito che è stato concepito e strutturato intorno al principio del capo carismatico senza successione. Ma sono un seme ricco di Storia, di tradizione e di cultura. E gli effetti della semina si vedranno dopo che sarà avvenuta l'implosione. Il proporzionale, le preferenze, il pluralismo politico: tutto questo viene considerato un ritorno ad un passato di innefficienza, corruzione, esclusione degli elettori dalla scelta dei governi. Nella crisi d'agosto le schermaglie di partito si sono intrecciate con questioni di fondo del sistema. La polemica tra costituzione formale e costituzione materiale, cioè sulla sostanza e la forma della sovranità democratica, ha messo a un certo punto tutti contro tutti. Sulla questione dell'eventuale voto anticipato che ha appassionato la nomenclatura nei giorni di agosto, (mentre sulle spiagge si parlava di cucina e di vendite immobiliari) ho una mia interpretazione che cercherò di approfondire in seguito. Ma in ogni caso il Presidente della Repubblica ha capito bene qual è il nodo della crisi italiana: la legge elettorale. Non perché ha trasformato maggioranze relative in maggioranze assolute, ma perché ha identificato una "Costituzione materiale" antagonista e negatrice della Costituzione formale. In sostanza la Costituzione materiale non sta nei limiti dei dettati da una lettura aggiornata della norma scritta: cioè per "costituzione materiale" fino ad oggi si è sempre inteso un aggiornamento, una specificazione, un'interpretazione. Ma la "costituzione materiale" che si è andata costruendo dopo le ultime leggi elettorali, impone delle regole che distruggono le Istituzioni bilanciate nell'organicità della Costituzione. Le disastrose leggi elettorali hanno stravolto la Legge delle leggi, nel punto più delicato e nel settore essenziale dell'equilibrio democratico che è costituito dai cosiddetti "quorum di garanzia". Le leggi elettorali maggioritarie che imperversano nel nostro Paese dal '93 ad oggi, hanno inciso neri meccanismi di garanzia democratica. e potrebbero sfregiare la Carta costituzionale in maniera irreparabile. Per ora provo ad indicare i danni più visibili. Ad esempio, l'articolo 138, posto a tutela di una Carta rigida e in pericolo perché richiede due maggioranze (una maggioranza semplice con una verifica nel referendum e una qualificata per non convocare il referendum) attraverso lo spostamento causato dalla attuale legge maggioritaria, una maggioranza relativa può divenire maggioranza assoluta e pur non rappresentando la maggioranza degli elettori potrebbe riuscire ad evitare lo sbarramento referendario per le modifiche costituzionali. Secondo esempio: da diciassette anni non occorre più la maggioranza assoluta e qualificata della rappresentanza del voto popolare per eleggere il Presidente della Repubblica, i Presidenti delle Camere, i Giudici Costituzionali, i componenti del Consiglio superiore della Magistratura, e per modificare i regolamenti della Camera. Insomma non c'è più corrispondenza tra maggioranza parlamentare e maggioranza del voto popolare. E beh, questo è uno stravolgimento dell'equilibrio della Costituzione. A cascata sono prive del "quorum qualificato" le nomine di pertinenza del Presidente della Repubblica e dei Presidenti delle Camere. Non sono in corrispondenza con una maggioranza di voto popolare, anche le loro nomine non rispondono più all'esigenza della rappresentanza maggioritaria, e tali nomine riguardano i Giudici Costituzionali, i Senatori a vita, le Authority e perfino le Commissioni parlamentari di controllo (Rai, servizi di sicurezza e inchieste parlamentari). Cioè allo stato attuale abbiamo maggioranze parlamentari che non sono maggioranze di voto popolare. Il Presidente della Repubblica, con civilissimo garbo e con preoccupata sensibilità democratica, ha posto alle forze politiche il dilemma: "o cambiate la Costituzione, o vi obbligherò a rispettarla". E' finita la stagione delle modifiche costituzionali "di fatto". E allora mi domando: perché Berlusconi e Prodi, che hanno sperimentato con l'azione di Turigliatto e di Bocchino la fine di ogni prospettiva di bipolarismo-bipartitico, non riconoscono dinnanzi al Paese che l'eccesso di semplificazione elettorale sta di fatto distruggendo la democrazia italiana. Non sarà che alcuni sostenitori delle elezioni anticipate sono saltati sul vistoso errore dei finiani per prendere l'ultimo treno della notte di questa seconda repubblica, e delle attuali leggi elettorali, e chiudere la partita nell'ultima fase del settennato presidenziale? Parliamoci chiaro: qui oramai il bipartitismo non c'è più, ma lo si tiene in vita artificialmente perché nessuna delle due forze può riconoscere di aver ciascuna messo in piedi leggi elettorali che in definitiva hanno creato un vulnus nell'equilibrio istituzionale del Paese. De Gasperi ed il centrismo democratico italiano, quando nel 1953 introdusse la cosiddetta la riforma elettorale, poi definita "legge truffa", dava un premio di maggioranza alla coalizione che aveva già la maggioranza assoluta in Parlamento. Lo scopo era quello di dare maggiore stabilità ai governi, non di dare la maggioranza in Parlamento a chi la maggioranza del voto popolare non ce l'ha. Quella legge non modificava strutturalmente l'assetto equilibrato della Costituzione. Viceversa oggi vige la norma che la maggioranza relativa può diventare maggioranza assoluta anche vasta, perché con l'ultima legge elettorale si può ipotizzare anche il caso in cui con solo un terzo dei voti popolari, si può avere la maggioranza parlamentare. Saltano in aria tutti i "quorum di garanzia" sui quali è fondata una Costituzione rigida come è la Costituzione italiana.
Che probabili sbocchi avrà questa situazione?
Dall'attuale situazione di crisi continua si esce affrontando il tema con grande coraggio. Una cosa è una giusta semplificazione in basso, per ridurre la frantumazione elettorale, ma altra cosa è modificare surrettiziamente l'equilibrio costituzionale attraverso la manipolazione della rappresentanza elettorale. Anche con il proporzionale si può fare il maggioritario, con un premio in seggi alla coalizione che raggiunge la maggioranza assoluta e con uno sbarramento del 2-4 per cento per evitare una frantumazione di liste elettorali. Questo è coerente con l'orientamento costituzionale che oggi abbiamo. Quando nell'ottobre del '47 si stava votando la parte finale della Costituzione, Giolitti, a nome del gruppo comunista, presentò un emendamento per "costituzionalizzare" il sistema elettorale proporzionale. Gli si obiettò che si sarebbe tolto ai Parlamenti successivi un potere che tradizionalmente era riconosciuto ad essi in materia di legge elettorale. Ma l'emendamento fu trasformato in un ordine del giorno che fu votato da tutti. Cioè noi abbiamo un "ordine del giorno Giolitti" che indicava nel sistema elettorale proporzionale i sistema naturale dell'impianto costituzionale. Il significato dell'intervento di Napolitano durante la crisi d'agosto è questo: se così non si vuole proseguire, allora si convochi il popolo per eleggere con il sistema proporzionale un'Assemblea costituente che cambi la Costituzione. Altrimenti la si rispetti. Naturalmente mi rendo conto che tutti e due i partiti maggiori hanno puntato su questo modello di legge elettorale, che doveva stravolgere gli equilibri costituzionali, per esprimere un dominio della propria forza sulle istituzioni del Paese. Ma alla fine l'operazione non è riuscita. Ora è da qui che bisogna partire. Quando vedo che la critica principale mossa al sistema elettorale è quella sulla mostruosità della lista bloccata e sulla mancanza delle preferenza, penso che ci si concentri su un aspetto minore. Il dibattito politico nazionale dovrebbe svolgersi su un altro tema maggiore: l'attuale legge elettorale incide sui meccanismi di equilibrio costituzionale? Sì. E allora se è "sì", o si cambia la legge elettorale e si torna al proporzionale, o si cambia la Costituzione. Ma non possono convivere un sistema di formazione della rappresentanza che sia in antagonismo con gli equilibri generali dello Stato, così come la Costituzione li disegna. Non si può introdurre surrettiziamente una trasformazione della democrazia parlamentare come è quella della Costituzione italiana, in un "presidenzialismo di fatto" perché gli elettori hanno trovato il nome del Presidente sulla scheda. Si tratta di un espediente formale che è alla radice di squilibri politici. Al Presidente del Consiglio, se è eletto direttamente dal popolo, poi devi dare i poteri. Quando Berlusconi dice: "Io non ho alcun potere", dice il vero. Ma il suo potere non può nascere da un atto artificiale come l'iscrizione del suo nome sulla scheda. Può nascere solo da una modifica dell'impianto costituzionale. Dopo le elezioni del '94 tutti i partiti presentarono delle proposte di modifica costituzionale dell'art. 138. Tutti. Poi si sciolsero le Camere e non si potè approvare più nulla. Ma tutti i partiti svolsero questa tesi delle modifiche dei "quorum di garanzia". Ma dal 96 in poi non se ne parlò più perché tutti i maggiori partiti pensavano di poter utilizzare la legge per "modificare di fatto", e nella vanificazione dei "quorum" di poter avere un potere costituente che non può avere una maggioranza relativa, cioè una minoranza dell'elettorato. Questa è l'origine della "Costituzione di fatto". La questione che pone Napolitano è quindi una questione giusta. E il sistema politico della seconda repubblica è giunto all' ultimo miglio del suo travaglio.
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