Newsweek, novembre 2010,Dominique Strauss-Kahn è ai vertici della governance mondiale, ma forse vorrebbe stare da tutt’altra parte. Muovendosi tra le perigliose vicende della finanza globale, il direttore del Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ha visto accrescere, quasi inavvertitamente, la sua rilevanza e il suo prestigio politico. Nel 2012 Strauss-Kahn potrebbe pertanto decidere di non ricandidarsi al secondo mandato, per tentare piuttosto quella scalata all’Eliseo che gli venne negata dalla sconfitta alle primarie del 2006 contro Ségolène Royal. Il dilemma è notevole: proseguire nell’ambizioso progetto di traghettare l’economia globale fuori dalle secche della crisi o guidare il Partito Socialista Francese (Psf) verso la riconquista della presidenza detenuta da un quindicennio dai gollisti? Un ex consigliere di Strauss-Kahn suggerisce che il momento migliore per annunciare la candidatura possa essere il prossimo mese di giugno, poche settimane dopo lo svolgimento del summit del G-20 previsto in terra francese.
Quando nel 2007 il neo-eletto presidente francese Nicolas Sarkozy sostenne fortemente l’elezione di Strauss-Kahn al Fmi, l’operazione venne salutata come la brillante iniziativa di un leader machiavellico che, in un colpo solo, otteneva per il suo Paese un riconoscimento internazionale di prestigio a e “parcheggiava” negli alti ranghi della burocrazia multilaterale un avversario potenzialmente ostico. Peraltro, il leader socialista ha dimostrato lungimiranza sin dalle sue prime uscite nel nuovo ruolo e, predicando sin dal 2008 la necessità di misure fiscali e budgetarie su scala globale, ha acquisito nuovo prestigio e visibilità. L’anno seguente egli ha contribuito corposamente agli sforzi per rimettere a regime il sistema, triplicando le risorse stanziate dal Fondo per garantire la stabilizzazione dell’economia mondiale. Così, Strauss Kahn si appresta a entrare nel suo quarto anno di mandato rinfrancato e rinvigorito dal lavoro svolto e dai risultati ottenuti.
Dsk (acronimo di Dominique Strauss-Kahn, ndr), come Sarko, è un outsider della politica francese, sottolineano Christopher Dickey e Tracy McNicoll di Newsweek, ipotizzando la discesa in campo del direttore del Fmi. Entrambi hanno retroterra esistenziali e culturali che si discostano dai tradizionali percorsi dell’élite francese: figlio di un immigrato ungherese il presidente e ebreo vissuta a lungo in Marocco il probabile sfidante, nessuno dei due ha frequentato l’École Nationale d’Administration, trampolino di lancio naturale per l’establishment politico parigino. Sinora, la differenza l’ha fatta il fiuto politico, a tratti cinico, di Sarkozy, che nel 2007 ha saputo presentarsi come l’uomo dinamico del cambiamento in una Francia che appariva ingessata dalla consuetudini del passato e desiderosa di voltar pagina. Sarà in grado il pur competente Strauss-Kahn di condurre una campagna elettorale efficace e di fugare i dubbi che parte dell’elettorato nutre su alcune sue scelte passate?
Il riferimento è all’incauta gestione di alcune vicende personali, che hanno messo persino a rischio la sua permanenza al Fmi, e ai suoi rapporti con determinate correnti all’interno del Psf. I commentatori di Newsweek mettono sotto accusa in particolare il sostegno di Dsk ad alcune “radicali” riforme messe in atto dai socialisti francesi negli anni novanta. In quel periodo, pur ricoprendo con pragmatismo centrista la carica di ministro delle Finanze, Strauss-Kahn sostenne l’introduzione delle 35 ore lavorative settimanali, una misura diventata legge nel 2000 e da allora perpetuo oggetto di vivaci polemiche e progressivamente annacquata.
Strauss-Kahn non si è inoltre mosso con abilità in occasione della sua candidatura alle primarie socialiste del 2006. Cercando il sostegno dell’estrema sinistra del Partito, egli finì per alienarsi anche il centro, che avrebbe dovuto invece essere la sua riserva di caccia privilegiata. Eppure, diversi analisti e colleghi di Partito sostenevano in quei mesi che Strauss-Kahn avesse più chances della Royal di sconfiggere Sarkozy. In effetti, il profilo riformista del direttore del Fmi lo rende tuttora il candidato più idoneo per raccogliere gli umori di prevalente disillusione nei confronti dell’attuale inquilino dell’Eliseo che serpeggiano nell’opinione pubblica transalpina. Sotto questo profilo, l’esperienza accumulata dovrebbe finalmente consentire a Dsk di elaborare con coerenza e compiutezza il suo discorso politico essenzialmente centrista e pertanto suscettibile di allargare la base elettorale della sinistra francese.
Certo, rimane il problema della gestione dei gruppi dell’estrema sinistra francese, il cui supporto potrebbe risultare decisivo in una competizione serrata, e della competizione interna al Psf, impersonificata al momento dalla segretaria del Partito, Martine Aubry. La Aubry, la cui risicata vittoria nelle elezioni per la segreteria contro la Royal ha rischiato di lacerare irrimediabilmente il Psf, potrebbe peraltro decidere di ritirarsi nel caso Strauss-Kahn si facesse avanti. Ma il tempo stringe. Solo una candidatura autorevole e tempestiva eviterà al Psf di ripiombare nelle divisioni, consentendo di presentare all’elettorato un personaggio in grado di unificare l’ampio fronte che in Francia si oppone al Sarkozismo. Strauss-Kahn saprà cogliere l’occasione? (A cura di F.L.)