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The New York Review of Books, novembre 2010,

Mentre la tensione tra le due Coree arriva allo scontro militare, l’Asia nel suo complesso è percorsa dalle rivalità messe in moto dalla rapida crescita dei maggiori attori continentali, Cina in primis. L’Asia sta per entrare in una nuova guerra fredda? E’ la domanda che si pone Pankaj Mishra in un contributo per la New York Review of Books. Dopo decenni di “crescita pacifica”, la Cina ha recentemente cambiato tono, accusando gli Stati Uniti di sottovalutare il dollaro e assumendo una postura aggressiva nei confronti dei paesi vicini. Il fatto che Barack Obama stia proseguendo nella marcia di avvicinamento all’India, inaugurata da George W. Bush, suggerisce al noto editorialista Thomas Friedman che l’amministrazione Usa sia tentata di riproporre nei confronti di Pechino la politica del containment ispirata (nel lontano 1947) dal diplomatico George Kennan in funzione anti-sovietica.  
Una linea di condotta caldeggiata da molti esponenti politici, giornalisti e strateghi statunitensi, che paiono quasi eccitati dalla prospettiva di un confronto aspro, su larga scala e in grado di risvegliare le suggestioni intellettuali ed emotive che la guerra al terrorismo o al cosiddetto islamo-fascismo non sembrano più accendere nell’immaginario collettivo. Due autorevoli commentatori americani, Robert D. Kaplan e Charles Krauthammer, sottolineano l’importanza dell’India nel grande gioco diplomatico che si potrebbe mettere in moto: secondo questa chiave di lettura, l’emergente potenza dovrebbe diventare il punto di riferimento della diplomazia americana in Asia in funzione prettamente anti-cinese.
Se questo era uno degli obiettivi della recente visita indiana del presidente americano, la delusione è stata completa. Nelle parole di Vinod Mehta, direttore del gruppo Outlook, che pubblica l’omonima (e rilevante) rivista indiana in lingua inglese: “Il gran discutere degli americani sul ruolo indiano nel contenimento della Cina non interessa a New Delhi…Dopo la visita ufficiale di Obama, e dopo quelle dei presidenti che verranno dopo di lui, all’India toccherà comunque vivere e operare a stretto contatto con la Cina. Noi indiani dobbiamo trovare il modo di convivere con Pechino che meglio si attagli alle nostre esigenze, non vederci imposto il ruolo di pedina in un improbabile grande gioco strategico.”
Il commento di Mehta evidenzia la determinazione indiana a proseguire nella graduale assunzione di responsabilità e rispettabilità sulla scena internazionale. Inoltre, i sentimenti dell’opinione pubblica nei confronti dell’America non sono certo univocamente favorevoli; realtà e fermenti che i decisori politici a New Delhi non possono ignorare. Ad esempio, una recrudescenza di anti-americanismo si è manifestata nel Subcontinente l’estate scorsa, mentre Obama ringhiava contro la Bp in seguito al disastro petrolifero del New Mexico, pretendendo 20 miliardi di dollari di risarcimento dalla compagnia britannica. In India, molti ricordano invece la pressoché totale immunità toccata all’azienda Usa, Union Carbide, responsabile di uno dei peggiori disastri industriali che la storia ricordi, costato la vita a 15.000 persone nella città indiana di Bhopal: anno 1984.
Gli auspici di Obama a favore dell’assegnazione di un seggio permanente all’India nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non cambieranno equilibri stabiliti dalla geografia e dagli interessi, sostiene Mishra. La semplicistica logica del “con noi o contro di noi”, che alcuni analisti e politici Usa sciorinano forse rimpiangendo gli accenti più aspri della prima amministrazione Bush, difficilmente farà breccia nella realtà asiatica, dove la differenza tra retorica ufficiale e azioni concrete e sempre stata ragguardevole. Ufficialmente non allineata durante la Guerra Fredda, l’India sfruttò per i propri interessi nazionali lo scontro Usa-Urss  e non vi è ragione di ritenere che si comporti diversamente qualora la rivalità tra Washington (il più stretto alleato militare indiano) e Pechino (il principale partner commerciale di New Delhi) si radicalizzasse.
La situazione non cambia se si allarga la prospettiva. L’Indonesia, con una popolazione a maggioranza islamica e con una vasta minoranza cinese, sembra ancor meno propensa dell’India a comportarsi da agente degli States in Asia. Come la gran parte dei Paesi del Sudest asiatico, l’Indonesia ha beneficiato del dinamismo economico cinese. Secondo l’ambasciatore di Singapore a Washington, Chan Heng Chee, se obbligati a scegliere, i paesi di quell’area si schiererebbero a fianco della Cina.
E’ vero, l’ascesa di Pechino, da prima sommessa e nascosta, ora sta assumendo i tratti dell’assertività e talvolta dell’arroganza. Tuttavia, le contromosse americane dovranno essere messe in atto con notevole prudenza, sia dal punto di vista tattico-strategico che puramente retorico. Se Pechino dovesse sentirsi troppo minacciata in quella che considera la sua sfera d’influenza economica e politica privilegiata, potrebbe reagire con un irrigidimento esterno su temi quali la rivalutazione dello yuan, il nucleare nord-coreano e il dossier Taiwan e con un inasprimento dell’autoritarismo interno. Esattamente il contrario di ciò che servirebbe per puntellare la fiducia tra le potenze che governeranno il mondo di domani.
L’epoca in cui gli Stati Uniti dettavano il corso degli eventi nella macro-regione dell’Asia-Pacifico e dell’Oceano Indiano è giunta al termine e Obama sembra averlo compreso. Durante il suo recente viaggio in Asia, una serie di iniziative che si era proposto di concludere con successo, come un trattato bilaterale di commercio con la Corea del Sud, non sono andate a buon fine. Ne ha preso atto e ha riconosciuto il crescente ruolo di Cina e India a fronte del declino relativo degli Usa. Un’indiretta ammissione di quanto sia complicata una strategia di contenimento di Pechino mediante la collaborazione indiana. Forse, suggerisce Mishra, l’amministrazione Obama dovrebbe preoccuparsi di contenere quei cattivi consiglieri che invitano al conflitto piuttosto che alla cooperazione competitiva con le potenze emergenti. (A cura di Fabio Lucchini)

 

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