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Spiegel, dicembre 2010,

Chi è Xi Jinping? Si va diffondendo la convinzione che questo sarà il nome del prossimo presidente cinese. Si tratta di un funzionario di lungo corso dell'apparato comunista che una fonte della diplomazia statunitense descrive come un personaggio integerrimo, ma non propriamente democratico. Lo riferisce Andreas Lorenz, corrispondente per la versione internazionale della rivista tedesca Spiegel. Lo scorso 18 ottobre, il Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese ha nominato il 57enne Xi Jinping alla vice-presidenza della potente Commissione Militare Centrale. Un passo deciso verso la successione di Hu Jintao, sia al vertice del Partito che alla presidenza del Paese. In sostanza, nel 2012 è probabile che questo capace burocrate diventi uno degli uomini più potenti al mondo, se non, in prospettiva, il più potente.

In Cina, Xi Jinping è meno conosciuto della moglie, Peng Liyuan, una notissima cantante, ma ciò non significa che egli non sia ben introdotto nei gangli vitali del sistema politico nazionale. Figlio dell'ex vice-premier Xi Zhongxun, egli appartiene alla casta informale dei "principi", ossia i figli degli alti funzionari del Partito che ne scalano la gerarchia interna grazie alla protezione e all'appoggio dei genitori. Ciononostante, la carriera di Xi è stata tutt'altro che lineare, la sua strada non certo in discesa. Insieme al padre, è stato vittima della Rivoluzione Culturale maoista, che nel 1966 venne scatenata dal Grande Timoniere per rinnovare violentemente la classe dirigente del Partito. Il padre di Xi finì in prigione, mentre il giovane rampollo dovette rassegnarsi a lavorare nelle campagne a fini rieducativi.

Nei primi anni settanta, Xi e altri "principi" fecero ritorno a Pechino. A questo punto, riferisce la fonte di Lorenz all'interno dell'ambasciata Usa, egli prese la decisione che avrebbe dato la svolta decisiva alla sua vita, scegliendo di diventare "il più rosso tra i rossi". Mentre il padre ancora languiva nelle carceri, Xi si iscrisse al Partito Comunista, amareggiando i suoi amici, ormai filo-occidentali, che percepirono come un tradimento il suo avvicinamento a un universo che li aveva emarginati e perseguitati sino a pochi anni prima. Dedito allo studio di Marx, Xi conseguì un dottorato e subito dopo lasciò l'università per intraprendere la carriera militare. Un ambiente dove, grazie alle connessioni paterne, riuscì a fare rapidamente strada e a dare sostanza alle sue ambizioni personali.

Ormai inserito nella vita del Partito, ma memore delle persecuzioni patite in passato dalle Guardie Rosse maoiste, Xi ha saputo in questi anni muoversi con circospezione e abilità. In primo luogo, ha preso la saggia decisione di allontanarsi da Pechino per consolidare la sua posizione in provincia, temendo di scontrarsi troppo presto con le potenti cricche di potere della capitale. Una scelta di basso profilo che ha pagato, evitando che egli si "bruciasse" troppo presto in un ambiente difficile e iper-competitivo.

Nel 2007 è stato posto a capo del Partito a Shangai, in un momento in cui l'apparato era particolarmente screditato da una serie di episodi di malversazione e corruzione, Serviva un personaggio nuovo e affidabile per rilanciare l'immagine infangata del Partito Unico. La cosiddetta "cricca di Shangai", capeggiata dall'ancora influente ex leader Jiang Zemin, ha così deciso di affidare il delicato ruolo a Xi, che ha fatto così bene da essere riportato a Pechino dopo solo sette mesi e nominato vice-presidente della Repubblica Popolare. La sua paziente strategia ha dunque dato i suoi frutti, come conferma un dispaccio dell'ambasciata Usa di Pechino: "Xi mirava a un ruolo di prestigio nel cuore del potere sin dai suoi inizi politici". Ha dimostrato il suo pragmatismo e il suo realismo, tenendo nascoste le sue carte e giocando l'asso al momento giusto.

Che genere di leader sarà Xi Jinping? Egli non è certo un grande esperto di questioni internazionali, in particolare non sembra considerare una priorità assoluta il rapporto con gli Stati Uniti. Xi ritiene sicuramente di poter dare il maggior contributo negli affari interni del Paese. Conosce molto bene il sistema Cina ed è consapevole di quanto siano sensibili alle sirene della corruzione molti suoi colleghi di Partito. Secondo le informazioni raccolte da Lorenz, il futuro presidente cinese non è granché interessato al denaro, guarda con orrore l'avidità dei nuovi ricchi cinesi e teme che la diffusione del libero mercato possa avere effetti devastanti sugli equilibri sociali. Tuttavia, si è ben guardato dall'esplicitare queste sue convinzioni, che, se troppo sottolineate, avrebbero potuto interrompere la sua scalata politica. Una scalata che, salvo imprevisti, dovrebbe condurlo alla presidenza.

L'ultimo scoglio è rappresentato da Hu Jintao, che gli preferirebbe Li Keqiang. Xi conta tuttavia sull'influente gruppo dei vecchi saggi del Partito, guidato da Jiang Zemin, che dovrebbe imporre la propria volontà. Del resto, se verranno seguiti i medesimi criteri che hanno segnato il passaggio di consegne ai vertici del Partito e del Paese tra Jiang e Hu nel biennio 2002/2003, curriculum ed esperienza assegnano a Xi un vantaggio considerevole nella corsa alla leadership. Hu sembra già abbozzare ed è probabile che presto si procederà alla nomina di Xi alla carica di primo ministro.

Non siamo di fronte a un Gorbaciov cinese, lo dimostra il suo disinteresse rispetto ad ogni ipotesi di riforma del sistema in senso democratico. Xi Jinping ritiene piuttosto che soltanto una piccola élite abbia le carte in regola per mantenere la stabilità sociale della Cina e condurla ai traguardi politici ed economici che essa si attende dal futuro. Egli è infatti convinto che i "principi", la classe privilegiata a cui in fondo appartiene, siano i legittimi eredi della Rivoluzione maoista ed abbiano il diritto/dovere di governare la Cina. (A cura di Fabio Lucchini)

 

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