L'accordo sul clima raggiunto in Messico è modesto, ma comunque significativo. Ha il merito infatti di sviluppare il compromesso politico incarnato da quello che Michael Levi, direttore del Program on Energy Security and Climate Change presso il Council on Foreign Relations, definisce "l'irragionevolmente maligno" accordo di Copenhagen dello scorso anno. Dal punto di vista tecnico, sono stati arricchiti molti dei dettagli appena abbozzati nella capitale danese. Dal punto di vista politico, i principali attori coinvolti hanno messo nero su bianco degli impegni più solidi e definiti rispetto al fumoso testo emerso dai deludenti negoziati di dodici mesi fa.
L'accordo incardina gli impegni degli Stati in tema di riduzione delle emissioni in un processo formale legato alle Nazioni Unite, assegna un importante ruolo di governance alla Banca Mondiale e non richiede nuovi impegni finanziari al governo degli Stati Uniti. Cancun definisce una serie di parametri che consentano alle parti contraenti di valutare in maniera condivisa la trasparenza delle attività poste in essere dai Paesi emergenti (Cina in testa) per tagliare le emissioni inquinanti. Inoltre, vengono compiuti significativi passi avanti rispetto a tematiche invece marginali a Copenhagen, quali la limitazione della deforestazione e l'avanzamento delle tecnologie dal miniore impatto inquinante. Da sottolineare l'abilità dei diplomatici messicani nel valorizzare le voci di tutti i governi partecipanti; un metodo efficace per evitare pretestuose recriminazioni, irrigidimenti e ripensamenti.
Nulla di radicale comunque. Gli accordi di Cancun rimangono deboli e parziali. Non per l'inefficacia o la debolezza dei negoziatori convenuti, ma per la natura stessa del problema del riscaldamento globale, che non si presta a soluzioni rapide e salvifiche. Il vertice messicano dimostra quale sia il contributo che le Nazioni Unite possono dare rispetto alla salvaguardia ambientale del Pianeta: positivo, ma non decisivo. Gli avanzamenti decisivi per ridimensionare le emissioni tossiche potranno realizzarsi soltanto al di fuori del framework dell'Onu, concretizzandosi nelle reciproche concessioni tra le maggiori economie mondiali, quelle mature (Stati Uniti in testa, con un importante ruolo sussidiario dell'Europa) e quelle in ascesa (che attualmente si rifanno al punto di vista della Cina).
Il basso profilo tenuto in Messico sta a dimostrarlo, soprattutto se si considera l'annoso dissidio legato al Protocollo di Kyoto, rimandato al vertice sul clima del prossimo anno. Gli impegni fissati nel 1997 nella città giapponese verranno meno entro la fine del 2012; ciò significa che la prossima conferenza Onu rappresenterà l'ultima occasione per rinnovarli prima della scadenza. La vera sfida per i negoziatori che hanno dato buona prova di sé a Cancun sarà preservare lo spirito di collaborazione tra i Paesi, nonostante le inevitabili dispute che sorgeranno nei prossimi mesi rispetto alla ridiscussione dei parametri di Kyoto.
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