Freedom House, febbraio 2011,
La rivista
Foreign Policy stila un breve elenco dei regimi che potrebbero subire pesanti contraccolpi dagli smottamenti in atto nel Nordafrica arabo. Il noto periodico statunitense propone le analisi di
Freedom House, organizzazione indipendente basata a Washington e attiva nella promozione della democrazia e dei diritti umani. Il giro d'orizzonte trascura i moti algerini e iraniani, prendendo piuttosto in considerazione gli effetti che i rivolgimenti di Tunisi e del Cairo potrebbero avere sulla stabilità delle storiche roccaforti dell'autoritarismo: da Pyongyang a Tripoli, da Harare a L'Avana, per arrivare a Minsk.
Kim Jong Il
Talvolta chiamato il "Regno Eremita", la Corea del Nord è governata dal 1994 dallo spietato e retrogrado Kim Jong Il, subentrato al padre dopo quarantasei anni di governo. Kim detiene una miriade di titoli, soprattutto la presidenza della Commissione Nazionale della Difesa, mentre la presidenza dello Stato nordcoreano è perennemente attribuita alla personalità del padre, Kim Il Sung. Una leadership familiare che si perpetua quindi da sessantatre anni, costringendo i nordcoreani a vivere nella più spaventosa dittatura politica dei nostri tempi, caratterizzata da un controllo paranoico sulla vita di cittadini inermi e affamati. Per interdire ogni contatto con l'esterno, le autorità impediscono che i nordcoreani ricevano notizie dai media stranieri e monitorano assiduamente le chiamate internazionali. Nel frattempo, l'alienata popolazione viene bombardata da un'obsoleta e insistente propaganda orchestrata dall'Agenzia Centrale Coreana.
Il clima rimanda a una condizione di Guerra Fredda permanente. Un allucinante sistema di campi di lavoro e di strutture penitenziarie rappresenta la più persuasiva forma di controllo del dissenso. Considerando la natura chiusa e riservata del regime e la quasi totale impermeabilità della soggiogata società coreana, è pressoché impossibile stabilire con esattezza il numero dei detenuti nei gulag voluti da Pyongyang (alcune stime suggeriscono 150.000 persone).
Ormai debilitato, Kim Jong Il sembra aver deciso di passare presto il timone al figlio, Kim Jong Un. Una prospettiva non certo incoraggiante per il popolo nordcoreano, rassegnato, almeno per il futuro prevedibile, a un destino caratterizzato dalla miseria e dalla sofferenza. (In questo caso, l'ipotesi avanzata da Freedom House, che prefigura un prossimo crollo del regime, andrebbe forse derubricata a semplice auspicio, ndr).
Muammar Gheddafi
Quarantadue anni fa, un giovane capitano dell'esercito libico guidava un golpe militare contro Re Idris. Oggi, sessantottenne, Gheddafi può vantarsi di esser sopravvissuto a sette presidenti americani (Nixon, Ford, Carter, Reagan, Bush padre, Clinton e Bush figlio): il primo di questi, Richard Nixon, ne riconobbe subito la natura stravagante. Nella lunga galleria di spietati e immarcescibili dittatori che hanno retto lo Stato libico, Gheddafi fa storia a sé.
Se il leader libico è conosciuto nel mondo per le sue uscite spiazzanti e persino divertenti, in patria il suo stile di governo lascia poco spazio all'ironia e al folklore. Sebbene il potere sia formalmente nelle mani dei comitati popolari e del Congresso Generale del Popolo, organo eletto indirettamente, nella pratica queste strutture vengono manipolate per garantire la continuità del dominio del Colonnello, che in realtà non detiene alcun titolo ufficiale. E' illegale per qualsiasi gruppo politico dissentire dai principi cardine della Rivoluzione del 1969, formalizzati nel Libro Verde, pubblicato da Gheddafi nei primi anni del suo regime - il volume si risolve in un bizzarro miscuglio di nazionalismo arabo, socialismo e islamismo politico.
Dopo decadi di bizzoso e repressivo esercizio del potere, le istituzioni libiche sono ormai incapaci di soddisfare il benché minimo requisito di rappresentanza ed efficienza, mentre circa cinquecento individui rimangono attualmente detenuti per reati politici. Piagata dalla corruzione e priva persino dei rudimenti di un funzionate Stato moderno, la "Grande Jamāhīriyya Araba di Libia Popolare e Socialista" (questo il nome completo) appare impreparata ad affrontare i rapidi mutamenti del mondo contemporaneo. Come dimostrano le proteste delle ultime settimane, alcuni settori della popolazione libica sembrano averne preso coscienza...
Robert Mugabe
Un tempo Mugabe era il beniamino dell'Occidente tra i leader africani. Dopo aver sconfitto il governo razzista della Rhodesia e creato lo Stato "nero" dello Zimbabwe, Mugabe veniva confuso dai più ottimisti per un nuovo Mandela. Tuttavia, sin dai primi giorni, ha distinto il proprio stile di governo per l'uso disinvolto della violenza. Negli anni ottanta se l'è presa con le forze tribali che avevano sostenuto altri leader della resistenza nera; così 30.000 membri della minoranza Ndebele sono stati trucidati.
Negli ultimi anni, l'azione di Mugabe si è fatta ancor più spregiudicata. Oggi, l'obbiettivo della sua stretta repressiva è diventato il principale gruppo di opposizione, il Movimento per il Cambiamento Democratico. Gli sgherri di Mugabe hanno regolarmente perseguitato e persino tentato di eliminare i leader politici rivali e i loro stessi potenziali elettori. Molti in Zimbabwe hanno sperimentato negli anni la determinazione del presidente; nel 2005, una campagna denominata "Ripulire dalla spazzatura", si è concretizzata nella distruzione delle povere abitazioni dei quartieri degradati di Harare. Egualmente devastante è stato lo smantellamento dell'intera economia nazionale, in precedenza celebrata come uno dei presunti miracoli economici africani. La crescita del Pil è stata negativa tra il 2001 e il 2008 e, alla fine del periodo considerato, l'inflazione ha raggiunto livelli percentuali a cinque zeri!
Gli ultimi mesi hanno registrato un'ulteriore recrudescenza degli omicidi politici, forse perché Mugabe ha sempre più da temere: il Movimento per il Cambiamento Democratico è stato il partito di maggioranza nelle ultime elezioni e il malcontento della popolazione nei confronti del sanguinoso governo del presidente cresce di giorno in giorno. Vi è insomma la sensazione che l'instabile regime di Harare potrebbe avere finalmente i giorni contati.
I fratelli Castro
Nel 1959, l'epopea rivoluzionaria di Fidel Castro rovesciava il dittatore Fulgencio Batista e dava inizio alla trasformazione dell'isola di Cuba in uno Stato comunista. Tristi gli esiti. Afflitto da problemi di salute, il leader maximo ha ceduto la presidenza al fratello Raul nel 2008.
Ciononostante, la Isla Grande rimane governata da un partito unico che combatte duramente l'espressione di ogni diritto politico e di libertà civile. L'associazione politica è ad esempio vietata, a meno che non venga incanalata nelle strutture del Partito Comunista. Il dissenso viene punito con persecuzioni e lunghe incarcerazioni. La libertà di movimento, incluso il diritto di lasciare l'Isola e di scegliere la propria residenza, sottoposta a severe restrizioni. Il governo mantiene un serrato controllo sui media, incluso l'accesso a internet e ai contenuti delle pagine web. La libertà accademica non esiste e ogni riunione non autorizzata che superi le tre persone è sottoposta a sanzioni, dal pagamento di una multa all'imprigionamento.
Anni di stagnazione economica stanno indebolendo la capacità dello Stato di erogare i servizi pubblici che costituivano un tempo l'unica e forte legittimazione del regime comunista. Il governo di Raul Castro non ha inaugurato alcun reale processo di riforma: sono state abbozzate piccole riforme e concessi marginali gesti di clemenza, inclusa la timida apertura economica verso l'esterno e il rilascio di alcune dozzine di prigionieri politici nel 2010. Ciò non toglie che il futuro di Cuba rimane ancorato a una leadership anziana che considera il pluralismo politico alla stregua di un anatema. Quanto durerà ancora la lenta agonia del sistema?
Aleksandr Lukashenko
Il cosiddetto "Ultimo dittatore d'Europa" in sedici anni di governo ha devastato politicamente ed economicamente la Bielorussia. Nell'anima, Lukashenko rimane un uomo della Russia Brezneviana: basti pensare che la sua polizia segreta si fregia ancora dell'acronimo Kgb...
Il presidente bielorusso ha utilizzato ogni mezzo per imbrigliare e marginalizzare le forze di opposizione. Il suo regime ha innalzato una soffocante cortina mediatica, volta a presentare ai cittadini bielorussi una realtà parallela e distorta.
Nonostante la sua ferocia, la posizione di questo dinosauro della politica è tutt'altro che salda. Lukashenko ha ufficialmente ottenuto l'80% dei consensi alle ultime elezioni presidenziali di dicembre, ma la consultazione è stata condannata come fraudolenta a livello internazionale. Migliaia di oppositori hanno manifestato per le strade di Minsk e le forze di sicurezza hanno, come da copione, represso il dissenso e arrestato centinaia di persone. Tra i detenuti un buon numero di candidati dell'opposizione, minacciati anche di pene detentive superiori ai dieci anni. Il presidente ha glissato: "Non ci sarà una vacua democrazia in questo paese".
Le dittature spesso cadono quando la gente riconosce che la libertà e la prosperità prevalgono tra i loro vicini. Ai confini bielorussi, Polonia, Lituania e Lettonia - tutti ex Stati comunisti oggi membri dell'Unione Europea - godono di grandi spazi di libertà e di economie più fiorenti di quella di Minsk. Circondato da esempi di felice democratizzazione e incapace di eliminare definitivamente l'opposizione interna, nei prossimi mesi Lukashenko rischia di vivere lunghe nottate insonni. (Traduzione a cura di Fabio Lucchini)