Kenneth Minogue, Istituto Bruno Leoni, 21 marzo 2011,
Intervento pronunciato in occasione dell'incontro " L'idealismo politico minaccia la nostra civiltà", organizzato dall'Istituto Bruno Leoni
In giro per il mondo si avverte da tempo un’aria in crisi. La natura della crisi attuale è legata alla trilogia indebitamento, demografia e democrazia. L’indebitamento rimanda al grande debito pubblico che gli Stati europei hanno accumulato negli anni. La demografia al fatto che non ci riproduciamo così come abbiamo fatto nelle precedenti generazioni. Per quanto riguarda la democrazia, il problema è legato ai dubbi sulla capacità dei politici di fare cose senza rubare denaro alle persone. Questo ha creato quello che viene definito un modello sociale non sostenibile, lo Stato assistenziale. In tutte le nostre società abbiamo degli obblighi e questo è pacifico, ma un aspetto è particolarmente inquietante: l’obbligo di spendere denaro che porta a un continuo aumento dell’indebitamento. A un certo punto questo deve terminare, noi tutti dobbiamo trovare la forza di cambiare il nostro modus operandi.
Noto una situazione quasi paradossale: il comunismo sovietico sotto certi aspetti non si differenzia molto dalla società in cui viviamo. Se il comunismo voleva costruire l'uomo nuovo, un po' di quella tentazione è implicita anche nel Welfare State. Il comunismo, con l’argomentazione di migliorare il genere umano, usava il terrore, mentre oggi il controllo dello Stato sulla società allo scopo di renderla migliore può essere fatto senza violenza, usando la persuasione.
Nel tipo di società in cui viviamo le persone perseguono i propri interessi, anche quelli commerciali, e alcuni naturalmente diventano più ricchi di altri. Questo di per sé viene considerato come un problema di tipo sociale. E che cosa si fa per risolvere un problema sociale? Si fa entrare in gioco lo Stato, secondo l’assunto che un problema sociale richiede una soluzione di ordine politico. L’idealismo politico di conseguenza può essere definito come la credenza che il potere possa cambiare la nostra società e, anzi, abbia l’obbligo morale di farlo rendendo il quadro sociale più equo. Come? Mediante una redistribuzione delle risorse disponibili per ogni persona. E’ una forma di ingiustizia.
L’impostazione idealistica origina dal potere crescente della civiltà occidentale e ritengo sia una risposta diretta ai successi tecnologici del genere umano. Come molti sostenevano nel bel mezzo del XX secolo, se abbiamo dominato la natura e possiamo controllare l’atomo questo nostro potere deve essere utilizzato per correggere le contraddizioni sociali e il modo in cui sono organizzate le collettività.
Questa annotazione serve a ricordarci quello che si è verificato nelle centrali nucleari in Giappone e inoltre dà un’idea proprio delle illusioni che la smania di controllo nasconde. L’idealismo politico di conseguenza induce qualcuno a credere di essere in grado di determinare i destini delle società esattamente nello stesso modo in cui si ritiene di riuscire a plasmare la natura. Non così il realismo politico. Il realismo politico, così com’è stato enunciato da molti italiani (da Machiavelli a Pareto) non si aspetta dei grandi cambiamenti nell’ambito della vita umana perché riconosce che gli esseri umani sono imperfetti. In altre parole, i cultori della scuola realista sono scettici rispetto alle migliorie.
I realisti sanno bene che esistono svariate motivazioni che inducono le persone a comportarsi in modo decoroso e prudente. Una è la paura. Thomas Hobbes il celebre filosofo politico britannico del XVII secolo ha detto: “La passione su cui basarsi è la paura, il timore”. Egli riconosceva nei suoi contemporanei un grande rispetto (e un grande timore) per le persone e per l’autorità. Quello che ai tempi di Hobbes era un bastione della società non piace ai nostri contemporanei. L’atteggiamento morale di base della nostra generazione è stato il tentativo di eliminare la paura e la sofferenza. Davanti a questo tentativo, generoso ma complicato, i realisti naturalmente tendono a essere conservatori e diffidano delle buone intenzioni che ispirano i fautori dell’idealismo politico. L’idea di fondo dei realisti che si oppongono all’espansione dello Stato è la seguente: “Noi non possiamo pretendere di sapere con certezza ciò che vogliono le altre persone e che cosa sia buono per loro.”
La democrazia è arrivata nel XIX secolo in Europa, ma a quel tempo la distinzione tra i ricchi e i poveri non veniva utilizzata come pretesto dalla classe emergente (i borghesi) per appropriarsi dei quattrini degli altri. Tuttavia, la democrazia contempla la possibilità che chi non ha le risorse può usare il potere politico per acquisirle. Un umorista ha detto: “La democrazia è il modo per mettere le proprie mani sui soldi altrui”.
Qui scatta un problema di realismo e di realtà. Cioè, se lo Stato distribuisce eccessivamente le ricchezze vengono meno gli incentivi a impegnarsi a fondo nel lavoro e nell’accumulazione di reddito. Questo ha effetti negativi non solo sull’individuo ma sul benessere dell’intera società. Quando lo Stato arriva a pretendere il 50% della ricchezza dei paesi per distribuirlo, inizia il declino e quindi ogni idealista dovrebbe riflettere e ricercare un equilibrio sostenibile.
Spesso si sostiene che il vero segreto del successo nella politica odierna sia parlare come un esponente della sinistra e agire come se si fosse di destra. Un abile politico professionale parla alla sinistra (nel senso che fa delle belle affermazioni su come bisogna dare sostegno ai bisognosi, ai vulnerabili a quelli che non hanno), però d’altro canto tiene ben sotto controllo la struttura degli incentivi nella società e non eccede nelle concessioni al welfarismo Siamo giunti a questo punto! Viviamo in una tale corrosione della democrazia che i politici sono quasi obbligati a imbrogliare la gente. Intendiamoci, i politici in un modo o in un altro imbrogliano sempre, perché ciò che esprimono pubblicamente mai è la verità pura e semplice, ma una verità preconfezionata.
Torniamo all’essenza dell’idealismo politico. Penso sia stato messo in opera per la prima volta nel XIX secolo, laddove sempre più persone si sono interessate al potere dell’uomo sugli elementi, un potere che si riteneva in grado di cambiare la società. La prima grande avventura dell’idealismo politico si è svolta in Europa con la Rivoluzione Francese. Non c’è bisogno di dire e ricordare quanto sgradevole fu; finì con la ghigliottina e l’orrore di cercar di incardinare a forza la gente in una struttura. In realtà tutti i regimi politici hanno una cosa in comune; ognuno di essi ha bisogno di plasmare la gente e di convincerla a vivere e integrarsi nel regime.
Quando la Russia si è affidata al bolscevismo, voleva costruire un individuo nuovo, “l’uomo nuovo”, perché Lenin e soci sapevano bene che gli individualisti che avevano costruito il mondo capitalista non avevano le caratteristiche appropriate per costruire quello socialista. Si aspirava a un cambiamento antropologico. Ogni volta che esiste un progetto di cambiamento, non della politica ma della società, ci deve essere anche un progetto volto a trasformare la natura umana in un modo o in un altro. Questo è il motivo per cui le vicende dell’idealismo politico di solito vanno a finire nel sangue. Ad esempio, i rivoluzionari francesi giacobini miravano all’appoggio delle persone “giuste”, quelle che andavano bene a loro, ma erano altrettanto decisi e sbarazzarsi di quelle “sbagliate”.
Gli idealisti politici nel corso del tempo hanno appreso dall’esperienza che la rivoluzione poteva rappresentare uno strumento utile ai loro fini. Dopo gli esempi francese e russo, nel XX secolo si sono susseguiti molti regimi rivoluzionari, tutti sono finiti nel sangue, nella povertà e nell’orrore puro.
Attenzione, come detto, non tutti gli idealismi politici determinano conseguenze cruente. Ad esempio, esiste l’idealismo politico tecnologico, quello che conosciamo bene in Europa. Qui, i governi, passo dopo passo, lentamente, aumentano le tasse, aumentano la ridistribuzione delle risorse e anche il grado di controllo sull’economia. E’ la deriva che, passando dal socialismo del XX secolo, si avvia verso una sorta di totalitarismo morbido. E’ un po’ la chiave per arrivare all’idealismo politico come lo conosciamo oggi, cioè il progetto di una èlite che si ritiene superiore al resto della società e che vuole orientarla verso ciò che è giusto.
Quindi, riepilogando, vi sono due tipi di idealismo politico. Vi è l’idealismo che si cela dietro lo Stato assistenziale, quindi l’idealismo politico basato sul concetto del Welfare State, e poi c’è l’idealismo dei marxisti e degli storicisti. Costoro ritengono che non siamo noi a dover realizzare l’idealismo politico, ma che si tratti piuttosto di un’idea incapsulata nella Storia, nel corso del tempo, inevitabile e ineludibile. Deve avvenire, proprio come il socialismo derivato dal capitalismo secondo Marx. Potremmo anche aggiungere quel tipo di idealismo politico che viene coltivato da vari filosofi a livello accademico, da coloro i quali hanno investito molte risorse nel cercare di definire il concetto di società equa da un punto di vista sociale.
Specifichiamo ancora cosa sia l’idealismo in politica. L’idealismo politico è soprattutto l’habitat degli idealisti e comporta due elementi: un temperamento ottimista e un’ideologia.
Innanzitutto, un temperamento ottimista orientato alla speranza più che al timore e volto a realizzare le cose belle. La paura e lo scetticismo non vengono considerati particolarmente, mentre la sofferenza viene presa in esame solo come passaggio intermedio. Su tutto domina la speranza che si possa superare il dolore, anzi la cosa più importante nella vita è dare sollievo alla sofferenza. Spesso le sofferenze di cui discorrono i teorici idealisti riguardano classi astratte di persone. Caratteristica peculiare dell’idealismo politico è l’occuparsi sempre di classi astratte di persone: i poveri, i vulnerabili, quelli che soffrono, quelli che patiscono la malnutrizione in altri paesi. Le questioni che riguardano la vita morale concreta così come la viviamo, ossia l’onestà, la prudenza, il coraggio e tutte le altre virtù individuali che appartengono alla sfera etica passano in secondo piano. E’ un nodo che mette in rilievo l’immoralità di chi si rivolge unicamente alle classi astratte di persone con una connotazione sentimentale. Uso la parola sentimentale in modo peggiorativo; è un termine falso, un’emozione fasulla che non corrisponde davvero a ciò che la gente reale pensa e sente.
In secondo luogo, l’idealismo politico comporta anche una ideologia, una dottrina che analizza i grandi mali della società (l’oppressione, la sofferenza, il conflitto, la povertà ) e suggerisce il modo in cui questi mali dovrebbero essere eliminati.
Quindi, abbiamo un temperamento e abbiamo un’ideologia, due componenti di volta in volta presenti in diversa misura nel pensiero degli idealisti. I giovani che escono dalle università molto spesso sono politicamente idealisti perché colgono il concetto, il valore di un principio: l’idea che aiutare gli altri (o le classi astratte degli altri) sia meglio di cercare di far soldi. Questi giovani vogliono anteporre la gente ai soldi, vogliono realizzare qualcosa per la società. Spesso si fanno ingannare dai luoghi comuni dell’idealismo sociale. I più anziani sono meno sprovveduti ed è più difficile che si lascino sedurre dai cliché. Da sempre è così. I giovani tendono molto spesso ad essere le vittime dell’idealismo sociale rispetto agli anziani che li mettono in guardia.
I giovani idealisti crescono, animati da un senso di superiorità rispetto a chi vive del profitto, una mentalità basata sull'attesa che la forma di vita ideale sia all'insegna della redistribuzione delle risorse mondiali attraverso istituzioni come l'Unione Europea e le Nazioni Unite, insomma del governo globale. Coloro che lavorano nelle organizzazioni internazionali certamente sono degli idealisti, ma ignorano che un governo globale è inconcepibile nei termini della democrazia occidentale, poiché non contempla la presenza di un popolo.
In conclusione, se dal punto di vista economico l’idealismo politico è molto pericoloso perché conduce a un modello non sostenibile di aumento del debito pubblico (ed è quindi una follia), vorrei sottolineare che anche dal punto di vista morale presenta, a mio avviso, un grosso problema. Un esempio chiarifica il mio punto di vista su questo aspetto. Cosa accade quando le ragazze restano incinte senza essere sposate? Un tempo, le possibilità, tutte dolorose, erano le seguenti: un matrimonio coatto, un aborto, l'adozione del bimbo. Oggi la maggior parte degli Stati, animati da intenti idealistici, alleviano la sofferenza di queste ragazze madri dando loro un appartamento e un sussidio. Ma quando i bimbi crescono, i problemi si ripropongono puntualmente: i maschi spesso sono fuori controllo e hanno comportamenti violenti, mentre le ragazze spesso riproducono il disagio materno, magari rimanendo anch’esse incinte giovanissime. La conseguenza è il collasso della famiglia, come unità morale e pratica dell'educazione. Con buona pace degli idealisti e delle loro buone intenzioni. Questo esempio per dire che l’idealismo politico non considera le persone come agenti morali. Perché? Perché secondo questa teoria i destini degli esseri umani vengono creati e plasmati solo dalle circostanze sociali e di conseguenza se si vuole cambiare la società bisogna modificare le suddette circostanze e le condizioni. L’idealismo svilisce la razionalità degli esseri umani, perché si appella ampiamente alla situazione, alla contingenza. Viceversa, io sostengo con forza che quando si cerca di risolvere un problema sociale tutto ciò che ne consegue è trasferire il problema sociale in oggetto. Nient’altro. Può apparire paradossale e pessimistico, ma cercare di risolvere i problemi sociali mediante interventi dettati da astratti principi solidaristici finisce per perpetuare e riprodurre i medesimi problemi.
Kenneth Minogue, Professore Emerito di Scienza Politica alla London School of Economics, autore de “La mente liberal”, pubblicato dalla casa editrice Liberilibri