Critica Sociale, maggio 2011,L'eliminazione di Osama bin Laden ha un'innegabile valenza simbolica e come tale è stata accolta negli Stati Uniti e nel mondo. E' altrettanto evidente che la scomparsa del leader storico del qaedismo non segnerà la fine dell'uso dello strumento terroristico per perseguire finalità eversive. Anzi, ora si teme da più parti una dura risposta del network jihadista a danno di obiettivi sensibili, all'interno e all'esterno del mondo occidentale. Motivo per cui le manifestazioni di giubilo presto lasceranno spazio alla consapevolezza che il terrorismo seguiterà a rappresentare una minaccia immanente sulle nostre società. Un rischio con cui sarà bene imparare a convivere. Sotto questo profilo, la fine dello sceicco del terrore cambia poco.
Davvero eclatanti sono invece le modalità dell'uccisione di bin Laden. Come evidenzia tra gli altri il noto scrittore indo-britannico
Salman Rushdie, risulta difficile immaginare che i servizi pakistani non fossero al corrente della presenza del ricercato numero uno al mondo in una lussuosa e fortificata abitazione a due passi dall'accademia militare di Abbottabad. Altrettanto curiosa la circostanza che l'amministrazione Obama abbia avvertito i pakistani dell'accaduto solo a missione ultimata.
Un segnale di scarsa fiducia verso un paese, formalmente alleato degli Usa, che nel suo impegno anti-terroristico dal 2001 a oggi mai ha convinto sino in fondo.
Il dossier Pakistan riemerge ciclicamente, allorquando torna alla ribalta l'ambiguità della sua classe dirigente, l'inquinamento dei suoi servizi segreti (l'ormai famigerata Isi) e la presa che l'islamismo estremista continua a esercitare su larghi settori della popolazione. Una storia, quella del secondo Stato a maggioranza musulmana al mondo (dopo l'Indonesia), sin dagli inizi turbolenta. Dopo la scissione dall'India nel 1947, alla fine del dominio coloniale britannico, il Pakistan ha vissuto con insofferenza la rivalità con gli ex fratelli indù. Diversi i conflitti per il controllo della regione contesa del Kashmir, complicati gli intrecci di alleanze durante la Guerra Fredda. Con un'unica costante: l'accesa, tesa e irriducibile rivalità. A cavallo degli anni duemila, l'inasprirsi dei rapporti tra il governo pakistano e il nuovo esecutivo di New Delhi, capeggiato dai nazionalisti indù, ha portato il Subcontinente sull'orlo del conflitto nucleare. In seguito a un attentato contro il parlamento indiano (2001) e alle accuse a Islamabad di non aver saputo/voluto contenere i gruppi terroristici anti-indiani, ebbero luogo pericolosi movimenti di truppe lungo i confini.
Con il riluttante allineamento del Pakistan alla
war on terror voluta dagli Usa dopo l'11 settembre 2001 e con il ritorno al potere in India del moderato e progressista Partito del Congresso la situazione è parsa rasserenarsi, anche in virtù dell'allontanamento del presidente pakistano Pervez Musharraf dopo l'assassinio della sua rivale Benazir Bhutto nel 2007.
Ad ogni modo, sotto la brace spenta hanno covato per un decennio le ceneri della sfiducia verso l'effettivo impegno della leadership pakistana a fianco della coalizione a guida Usa in Afghanistan. D'altro canto, dopo i gravissimi attacchi terroristici di Mumbai nel 2008 il breve disgelo tra Pakistan e India sembra essersi arrestato.
Da ultimo, il clamoroso blitz che ha condotto all'eliminazione di bin Laden ha di nuovo messo in rilievo le enormi connivenze e complicità che rendono il Pakistan, se non terreno di conquista, quanto meno santuario per molte formazioni jihadiste. Così, nei circoli diplomatici e tra gli osservatori riemergono gli interrogativi più inquietanti: L'attuale classe dirigente pakistana è affidabile? E' plausibile che il Pakistan si trasformi in uno Stato fallito? Quali conseguenze nel caso l'arsenale nucleare di Islamabad finisca nelle mani sbagliate?
La fine di bin Laden ha riempito di entusiasmo buona parte dei governi e delle pubbliche opinioni occidentali, ma le problematiche che hanno consentito allo jihadismo internazionale di affermarsi agli inizi degli anni duemila e di rimanere tuttora una minaccia concreta non sono state affatto rimosse. Organizzazioni e gruppuscoli continueranno a rappresentare una minaccia diffusa dall'Asia all'Africa, dal Medio Oriente all'America e all'Europa. Intatte rimangono infatti le contraddizioni che permettono al fanatismo di prosperare, così come numerosi sono gli Stati deboli e corrotti che consentono alle organizzazioni criminali più svariate di infiltrarsi. In questo panorama in continua evoluzione, lo scenario pakistano emerge per la sua inquietante complessità, suscettibile di irradiare instabilità in tutta l'area e di modificare pesantemente gli equilibri globali. (Fabio Lucchini)