International Crisis Group, giugno 2011,
L'emittente americana
Cnn ha recentemente riportato la decisione del Dipartimento di Stato di includere nella lista delle organizzazioni terroriste straniere un gruppo palestinese, conosciuto come l'Esercito dell'Islam (
Jaysh al-Islam). La formazione è ritenuta responsabile di numerose azioni terroristiche contro i governi di Israele ed Egitto, e ai danni di cittadini statunitensi, britannici e neozelandesi. Il gruppo è guidato da Mumtaz Dughmush ed è attivo soprattutto nella Striscia di Gaza. Nel rapporto
L'Islam radicale a Gaza, prodotto dall'
International Crisis Group, Dughmush viene descritto come un ex membro dei servizi di sicurezza palestinesi già assoldato in passato sia da Hamas che da Fatah per compiere non ben precisate "missioni operative". L'Esercito dell'Islam aderisce all'ideologia salafita dello jihad globale, che integra con il tradizionale modello della resistenza armata palestinese. Il gruppo ha in passato collaborato con Hamas, ma ora sta tentando di sviluppare uno più stretto legame con al-Qaeda.
La rilevanza dell'universo dei gruppi salafiti di Gaza non è legata alla loro forza militare (al momento, quasi irrilevante), quanto piuttosto alla sfida ideologica che lanciano al governo della Striscia, cercando di far proseliti all'interno dell'ala militare di Hamas, destabilizzando l'area con una serie di attacchi militari e criticando l'esecutivo di Ismail Haniyeh per la "moderazione" con cui fronteggia Israele e applica la sharia a Gaza.
Negli ultimi anni, Hamas ha dovuto fronteggiare nuovi antagonisti islamisti. Gruppi di militanti appartenenti allo jihadismo salafita, che sostengono un'interpretazione restrittiva della legge islamica e si considerano non tanto liberatori della Palestina ma parte di un movimento globale di combattenti per la difesa dei musulmani dai non musulmani, categoria ai loro occhi davvero eterogenea poiché comprende anche sciiti e palestinesi non islamisti. Benché deboli, questi gruppi - in quanto responsabili di numerosi lanci di razzi da Gaza contro Israele - costituiscono un serio fattore di destabilizzazione in grado di scatenare una crisi a Gaza, in Israele e in tutta la regione.
Un tempo i rapporti tra Hamas e la galassia salafita locale non erano affatto freddi. Nel 2006, l'Esercito dell'Islam collaborò alla cattura del caporalmaggiore israeliano, Gilad Shalit, tuttora tenuto sotto sequestro. La rottura è avvenuta quando Hamas si è resa conto di quanto fosse difficile controllare e addomesticare i gruppuscoli estremisti di cui si era circondata. Nell'agosto 2009, quando il leader spirituale dei Seguaci dei Soldati di Allah (Jund Ansar Allah), una neonata formazione basata a Rafah, denunciò Hamas e dichiarò la nascita di un Emirato Islamico di Palestina fondato sulla rigida imposizione della sharia, il governo reagì brutalmente attaccando i dissidenti. Due dozzine di morti e un centinaio di feriti furono il bilancio dell'operazione, che condusse alla quasi totale eliminazione dei "soldati di Allah".
Da allora, Hamas ha optato per una politica di contenimento e di attenta vigilanza sulle attività salafite, rispetti alle quali il governo di Gaza non si è mostrato del tutto indifferente. Per rispondere alle accuse di timidezza nell'applicazione di leggi in linea con i costumi religiosi islamici, negli ultimi mesi l'esecutivo ha adottato diverse misure di ispirazione shariatica. D'altro canto, la volontà mostrata dalla dirigenza di Hamas di riavvicinarsi alla comunità internazionale, il malcontento di larghe fette della popolazione di Gaza rispetto agli eccessi filo-religiosi e le pressioni occidentali hanno spinto Haniyeh alla moderazione. Il risultato è stata una politica schizofrenica, densa di proclami e di brusche frenate che ha tolto coerenza all'azione di governo dei Fratelli Musulmani nella Striscia. Nel frattempo, si susseguono atti inquietanti (esplosioni, ferimenti, incendi, saccheggi e purtroppo omicidi - come nel caso Arrigoni), che rischiano di aggravare l'instabilità e la precarietà in cui versano i Territori Palestinesi.
L'isolamento di Gaza ha sinora prodotto il malessere della popolazione, non ha indebolito la posizione di Hamas nei confronti di Fatah e tantomeno è servito a rilanciare il processo di pace con Israele. Non vi sono garanzie che il coinvolgimento politico di Hamas da parte della comunità internazionale induca il movimento islamista a miti consigli e a un maggiore pragmatismo politico. Tuttavia, sarebbe il caso di tentare, suggerisce il citato dossier dell'International Crisis Group. Europei e americani dovrebbero considerare la possibilità che l'alternativa ad Hamas non sia necessariamente Fatah. E' il momento di valutare con attenzione la crescita di quei gruppi che superano Hamas sul piano del radicalismo. Mentre il mondo arabo si risveglia, si impone un ripensamento della linea politica che le maggiori potenze hanno sinora mantenuto nei confronti di Gaza. (A cura di Fabio Lucchini)