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I TREND GLOBALI
Stratfor, luglio 2011,

Fine della guerra afghana, lotte nel Golfo e rapporti Russia-Occidente

L'uccisione di Osama bin Laden e il passaggio del generale David Petraeus alla Cia chiudono un'era. Gli Stati Uniti sembrano ormai pronti a iniziare in posizione di forza un negoziato per il ritiro delle proprie truppe dall'Afghanistan. Questo, secondo l'interpretazione di Stratfor, sarà l'evento caratterizzante dei mesi a venire. Da parte americana, il progressivo ritiro delle truppe combattenti si accompagnerà a un ridimensionamento degli obiettivi sul campo, limitati al contenimento e all'indebolimento del nucleo centrale di al-Qaeda. Contestualmente, si intensificheranno i contatti negoziali tra Washington, Islamabad e i taliban. Una situazione non priva di insidie, a causa delle diffidenze reciproche tra i tre interlocutori e del tentativo dell'India di far sentire la propria influenza nell'area. Al proposito, sarà interessante valutare l'atteggiamento di Washington, che probabilmente cercherà di rassicurare il Pakistan sul punto. In questa fase, la priorità assoluta è evitare incidenti e garantirsi la collaborazione pachistana durante il processo di ritiro delle truppe dall'Afghanistan.

Nella seconda parte dell'anno, è lecito anche attendersi una progressione nei negoziati riservati tra Stati Uniti e Iran; il governo americano vuole evitare che la Repubblica Islamica, fuori controllo, accresca la sua influenza nell'incerto scenario iracheno. Da parte sua, Teheran, consapevole di avere un ruolo importante in Iraq, tenterà di espandere il proprio raggio d'azione in Afghanistan per convincere gli americani ad accettare un negoziato complessivo sulle questioni del Grande Medio Oriente. Del resto, l'atteggiamento degli iraniani sembra ultimamente improntato a una maggiore cautela. Sempre interessato agli sviluppi interni del Bahrain, l'Iran ha la forza per destabilizzare i suoi vicini arabi del Golfo Persico mediante il sostegno ai moti insurrezionali dei gruppi sciiti. Tuttavia, è presumibile che Teheran non calchi la mano nei prossimi mesi nel tentativo di ricostruire un minimo di rapporto con l'Arabia Saudita, preoccupata dalle tensioni che scuotono Yemen e Bahrain.

Nessuna novità nell'opaco atteggiamento dell'Orso russo. Il Cremlino continuerà nella politica del doppio binario verso gli Stati Uniti: cooperazione in Afghanistan, competizione in Europa. Particolarmente significativi i progressi sull'asse Mosca-Berlino, che dovrebbero trovare suggello nella prossima operatività del gasdotto Nord Stream e nella conclusione di significativi accordi commerciali. Le manovre russe coinvolgeranno anche la Francia, pronta a collaborare sul versante energetico e militare.

Economia globale

La "grande recessione" è finita? Negli ultimi mesi, il ritmo della ripresa ha rallentato
. Stratfor non prevede una ricaduta recessiva, ma teme che l'indebolimento generalizzato in atto esponga l'economica globale ai contraccolpi negativi di particolari situazioni regionali, quali, ad esempio, la persistente crisi del'Eurozona, il terremoto giapponese, l'aumento dell'inflazione in Cina e gli squilibri che affliggono l'economia Usa. La situazione europea preoccupa. La locomotiva tedesca riuscirà comunque a minimizzare i costi politici interni del tentativo di salvataggio dei membri Ue pericolanti, imponendo dolorose misure di austerità ai paesi in crisi  senza tuttavia portarli al punto di collassare. La Banca Centrale Europea (Bce) conserverà la flessibilità necessaria per evitare, almeno nel breve periodo, i paventati crolli di Grecia e Portogallo. Meno rassicuranti le previsioni di Stratfor per quanto riguarda il nostro Paese. Il think tank statunitense ritiene infatti che gli Stati prossimi a "soccombere alla crisi" potrebbero essere (in ordine decrescente di probabilità) Belgio, Spagna e Italia. Dobbiamo aspettarci un'estate e un inizio di autunno carichi di proteste e malcontento, ma non tali da indurre i governi europei ad abbandonare le misure di austerità adottate.

Gli scenari regionali

Il regime siriano dovrebbe resistere all'ondata di proteste che lo sta investendo, ma il flusso di rifugiati verso la Turchia generato dalla crisi potrebbe accrescere pericolosamente le tensioni di confine tra Ankara e Damasco
. Sotto questo profilo, il rapido evolvere delle situazioni interne di Stati rilevanti come Siria e Iraq potrebbe indurre la Turchia a una maggiore assunzione di responsabilità nel quadro regionale, rivestendo il ruolo di naturale contraltare all'influenza iraniana. Israele sembra essersene accorto e infatti proseguirà nel tentativo di rabberciare il suo rapporto con i turchi. L'Egitto dovrà invece prepararsi a settimane turbolente in previsione delle elezioni che il regime militare provvisorio ha promesso per il mese di settembre. I militari utilizzeranno l'estate per valutare e sfruttare le differenze che stanno emergendo tra le forze dell'opposizione con l'obiettivo di fondo di impedire l'ascesa politica dei Fratelli Musulmani. L'Egitto cercherà anche di riacquistare un ruolo nell'agone israelo-palestinese, collaborando con la Turchia all'allontanamento di Hamas dall'insidioso asse Damasco-Teheran.

In Libia le armi non verranno deposte presto, ma progrediranno anche i colloqui per un accomodamento tra le due anime (Est e Ovest) del Paese
. Rimanendo incerto il futuro di Muhammar Gheddafi e di conseguenza la qualità dei rapporti commerciali di molti paesi occidentali (tra cui l'Italia) col futuro governo di Tripoli, è plausibile che la Russia intensifichi la sua presenza nei negoziati con l'obiettivo di sfruttare la crisi libica per irrompere nel settore energetico nordafricano.

Sul fronte interno, il premier Vladimir Putin continuerà nella graduale opera di rafforzamento della sua posizione, aprendo nuovi interrogativi su quale ruolo politico assumerà dopo le elezioni presidenziali del prossimo anno. Il sempre più solido legame Mosca-Berlino preoccupa nel frattempo la Polonia, prossima ad assumere per sei mesi la presidenza della Ue. Varsavia sembra intenzionata a sfruttare l'occasione per mettere sul tappeto temi scottanti: in primo luogo, la definizione della portata del Fondo di Coesione europeo a vantaggio dei paesi membri più poveri (la cui entità Germania, Francia e Gran Bretagna vorrebbero limitare); in secondo luogo, la proposta di concludere un Accordo di Associazione tra l'Unione e l'Ucraina (malvisto dalla Russia); infine, l'impegno a discutere di un complessivo sistema europeo di difesa che veda la piena partecipazione della Germania.

Cambiando quadrante geopolitico, Stratfor guarda con preoccupazione alle difficoltà della Cina, costretta a lottare simultaneamente con una pesante inflazione e con una crescita che sta rallentando rispetto ai ritmi impressionanti del passato. Le performance del governo cinese nel gestire questa situazione anomala inciderà sui prossimi sviluppi in Asia orientale. I segnali d'allarme non mancano: restrizione del credito in alcuni settori produttivi, rallentamento dell'export, involuzione del surplus commerciale e fallimento di diverse aziende manifatturiere. Tuttavia, non è facile prevedere con certezza una flessione significativa dell'economia cinese, perché i principali mercati di riferimento delle esportazioni nazionali (Stati Uniti e Ue) garantiscono ancora un'adeguata ricettività, il governo centrale di Pechino è sempre in grado di sostenere i settori in difficoltà e il sistema bancario mantiene una certa efficienza.

Due questioni terranno banco nel mondo latinoamericano nelle settimane a venire. Le declinanti condizioni di salute del presidente venezuelano, Hugo Chavez, che potrebbero scatenare una complessa guerra di successione interna ed esterna all'esecutivo di Caracas, vengono seguite con attenzione perché potrebbero incidere sugli equilibri geo-economici regionali. Il Venezuela, oltre a essere con Cuba il più irriducibile avversario dell'egemonia statunitense sul continente americano, è l'ottavo produttore e sesto esportatore mondiale di petrolio. Tuttavia, a prescindere dallo stato di salute di Chavez e della crescente difficoltà nel mantenere a livelli accettabili la produzione nazionale di petrolio, un cambiamento politico radicale appare poco plausibile nel breve periodo. Rimarrà a livelli impressionanti la scia di violenze causata in Messico dalla guerra tra i cartelli del narcotraffico e tra questi e il governo centrale. Uno scontro ormai endemico, che ha provocato decine di migliaia di vittime in pochi anni e che si svilupperà nei prossimi mesi nella quasi totalità del Paese, da nord a sud.

Una situazione di violenza diffusa rappresenterà la quotidianità anche nel nord della Nigeria
, dove le truppe governative fronteggiano, sinora senza risultati particolarmente lusinghieri, il gruppo islamista Boko Haram. Per concludere, sempre dall'Africa sub-sahariana, Stratfor fa il punto della situazione all'indomani della proclamazione d'indipendenza del Sudan del Sud con capitale Juba (9 luglio).  All'euforia di questi giorni seguirà un'estate di tensioni in assenza di un meccanismo formale di condivisione della cruciale risorsa petrolifera (e delle relative infrastrutture) tra il nuovo Stato e il governo del Sudan del Nord. Senza dimenticare i dissidi rispetto alle regioni contese di Abyei e Kordofan. La maggiore speranza di evitare un nuovo conflitto è legata agli interessi economici di un attore esterno, la Cina, e alla sua abilità nel patrocinare un accordo tra Khartoum e Juba che consenta uno sfruttamento condiviso e pacifico del greggio sudanese.  (A cura di Fabio Lucchini)



 

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