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LA SOCIETA' APERTA E IL TERRORE
Critica Sociale, luglio 2011,

Il feroce piano attuato da Anders Behring Breivik era stato in qualche modo preannunciato da un corposo e farneticante manuale apparso in rete poco prima della strage norvegese. Nel testo Breivik auspica una rivoluzione europea che porti nel 2083 l'intero continente a liberarsi del multiculturalismo, dell'Islam e del “marxismo culturale”. L’estremista passa poi in rassegna un lungo e variegato elenco di nemici da combattere: dalla scuola di Francoforte all'Islam, dai media corrotti all’Unione Europea, per arrivare alle Nazione Unite. Nemmeno Benedetto XVI viene risparmiato dagli strali di Breivik. Il tutto in nome della difesa dei più autentici valori cristiani dall’assalto fisico e culturale di coloro che vorrebbero instaurare la tanto temuta Eurabia. Aldilà di accurati dettagli operativi di natura economica e tattico-miliare, l’aspetto più aberrante del volume è la presa d’atto dell’inevitabilità dell’azione violenta, persino con l’utilizzo di armi di distruzione di massa, per scuotere l’intorpidita e disinformata opinione pubblica europea. “Orribile ma necessario”, come ha riferito Breivik alla polizia durante gli interrogatori.

Il duplice attacco terrorista al distretto governativo di Oslo e al campo giovanile del Partito Laburista norvegese nell’isola di Utoya, con il suo carico di 76 vittime, lascia sul terreno inquietanti interrogativi e riapre il dibattito sulla crescita dell’estrema destra in Europa. Il responsabile della mattanza è cresciuto in quell’humus culturale, si è nutrito delle suggestioni del conservatorismo più retrivo e ne ha tratto spunto per mettere in atto i suoi propositi. Ma è davvero possibile stabilire un legame tra quanto avvenuto e i recenti successi elettorali dell’estrema destra in Europa?
Marko Papic, analista di Stratfor, sostiene che da quando i partiti dell’estrema destra sono stati legittimati dal voto democratico e sono diventati un’opzione praticabile per alcuni settori dell’elettorato conservatore di molti paesi europei, le frange estreme, marginalizzate nel dibattito interno, hanno preferito l’eversione alla rispettabilità democratica. Un fenomeno assimilabile al destino di molti movimenti di estrema sinistra nell’Europa degli anni sessanta e settanta.
Coloro che rifiutano la “parlamentarizzazione” delle istanze dell’estrema destra cercano di raggrupparsi in formazioni ancora più radicali per proseguire nella loro attività di lotta. Qualcuno preferisce invece agire individualmente. E’ pertanto plausibile che siano molti i soggetti che, fuoriusciti dal movimenti organizzati a causa del proprio oltranzismo, elaborino in solitudine una propria visione deviata dei rapporti sociali, immaginando, progettando e compiendo atti violenti contro l’ordine politico e culturale che odiano e vorrebbero cambiare.

Particolarmente interessante la reazione dei gruppi dell’estrema destra scandinava agli eventi norvegesi. Jonathan Birdwell sta conducendo per conto del think tank britannico Demos un ricerca comparativa sull’estremismo di destra in Europa (Gran Bretagna, Francia, Germania, Olanda, Ungheria e Danimarca sono i paesi interessati) e ha pertanto una visione privilegiata del fenomeno. Senza dubbio, sostiene,  l’accaduto ha scosso i gruppi della destra estrema danese (attualmente monitorati da Demos), che non possono nascondere una certa affinità ideologico con Breivik. Alcune formazioni, come Vederfolner, composta da poche decine di attivisti fortemente contrari all’immigrazione musulmana in Danimarca, sono rimaste in silenzio, mentre si sono registrate manifestazioni di sostegno all’attentatore negli ambienti nazisti del Fronte Nazionale Danese e dei Nazionalsocialisti Danesi (DNSB). Il commento dell’amministratore del forum di DNSB offre le condoglianze del gruppo e contesta l’inclusione dell’omicida nella galassia dell’estrema desta. Si tratterebbe in realtà di un “fondamentalista cristiano-massone”. L’organizzazione lobbistica Den Danske Forening, la più antica e grande dell’estrema destra danese, pubblica un laconico commento sulla homepage del proprio sito web: “I musulmani bruciano i cristiani”. In sostanza, la responsabilità dell’accaduto sarebbe di quei politici che hanno consentito all’immigrazione di raggiungere livelli tali da spingere Breivik all’insano gesto.  La più netta condanna è giunta dal neo-nato Partito dei Danesi, il cui giovane leader, Daniel Carlsen, dalle passate tendenze naziste ma oggi più incline a definirsi un “moderno nazionalista”, ha definito Breivik come un pazzo. Come è evidente dalle disparate reazioni, l’universo estremista scandinavo non ha ancora perfezionato una coerente impostazione ideologica e appare vieppiù diviso tra tanti gruppuscoli che faticano a coordinarsi. Ciò non deve peraltro indurre a sottovalutare le minacce che da questo ambiente subculturale possono emergere.

La rivista tedesca Spiegel si è concentrata sulle reazioni dei media nazionali alla tragedia norvegese. Lo spunto di riflessione condiviso da molte testate riguarda le conseguenze degli attentati sul sistema norvegese, universalmente riconosciuto come una delle massime espressioni della società aperta occidentale. Un editoriale del quotidiano Die Tageszeitung ricorda quanto sia difficile prevedere le mosse di un singolo attentatore. Breivik aveva disseminato messaggi d’odio nel web, ma nessuno avrebbe pensato che potesse arrivare a tanto. Pertanto, se è necessario un perfezionamento del monitoraggio e dell’analisi dei siti estremisti (non solo islamisti), è d’altro canto fondamentale non cadere nella trappola di militarizzare le nostre strade e lasciare che le più oscure paure prendano il sopravvento e condizionino in senso repressivo le scelte politiche.
Un concetto ripreso dalla versione tedesca del Financial Times. Purtroppo l’acceso vocabolario xenofobo di Breivik è condiviso da tanti in Europa, anche all’interno del normale confronto democratico.  Circostanza che rende assai complicato predisporre interventi legislativi e investigativi in grado di individuare i gruppi e i soggetti realmente pericolosi. Non sembrano esserci alternative: anche in futuro le società  occidentali dovranno pagare un prezzo per la loro apertura alle differenze.

Le variabili economico-sociali hanno un peso. L’impopolarità delle tradzionali forze politiche europee, in seguito al declino economico che costringe a continui tagli della spesa ed evoca lo spettro del declino degli standard di vita e delle opportunità occupazionali, ha infatti da tempo aperto la strada a una violenta retorica anti-migratoria. Nelle difficoltà, scagliarsi contro i diversi ha sempre pagato politicamente. Gli stessi esponenti dell’estrema destra se ne sono accorti e, non a caso, stanno guadagnando consensi in questa fase storica. L’evoluzione ideologica è interessante: dai legami con il neo-nazismo e l’anti-semitismo si è passati all’attacco frontale al multiculturalismo. Sarebbe semplicistico collegare automaticamente tutto ciò ai crimini di Breivik, sostiene Matthew Goodwin, studioso del think tank britannico Chatham House. Altrettanto sbagliato sarebbe confinare la minaccia alla Scandinavia; siamo di fronte a un fenomeno quanto meno paneuropeo . Il nuovo estremismo europeo (per quanto frammentato) tenta di costruire un network internazionale per rinforzare il proprio appeal su determinati settori della pubblica opinione continentale.
Contrastare la proliferazione di idee riecheggianti le convinzioni di Breivik non sarà facile perchè non mancano gli individui e i gruppi potenzialmente disponibili a imitarlo. Motivo per cui non possiamo archiviare dolorosamente quanto successo addebitandolo all’azione di un soggetto isolato e irrazionale. Piuttosto, conclude Godwin, è necessario spingere il più possible ai margini della vita pubblica quelle posizioni di comodo che individuano nelle pur evidenti criticità del multiculturalismo l’origine di tutti i mali delle società europee. Perseguire nell’ambiguità finirà per alimentare l’odio e favorire la crescita di un nemico imprevedibile e distruttivo nel cuore stesso dell’Europa. (A cura di Fabio Lucchini)

 
 

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