Critica Sociale, giugno 2012,
La vittoria di Francois Hollande nelle presidenziali francesi, l'avanzata del Labour nel voto locale britannico, la sconfitta della Cancelliera tedesca nella importante consultazione del Reno-Westfalia e, se vogliamo, l'apparente affermazione del Partito Democratico nel ciclo di amministrative appena svolto in Italia, segnano un'inversione di tendenza a lungo attesa dalle forze della sinistra europea. Dopo un decennio dominato dal centro-destra in quasi tutto il Continente e dopo il recente crollo del baluardo laburista in Gran Bretagna e del socialismo zapaterista in Spagna, la sinistra riformista torna al governo in un grande paese europeo. Lo fa nel momento più drammatico, segnato dal persistere della crisi economica globale e dall'approfondirsi dei suoi effetti sul tessuto produttivo e sociale. In effetti, non può essere sottovalutato il fatto che sia stato l'aggravarsi della crisi economica continentale il principale fattore di debolezza dei governi conservatori al potere in Germania e Gran Bretagna e, fino a ieri, in Francia e Italia.
Gli studiosi del think tank progressista britannico Policy Network, che propone periodicamente un report online per fare il punto sullo "stato della sinistra" nel mondo, non trascurano la realtà dei fatti e non si abbandonano a trionfalismi di sorta. Gli autori ricordano che solo nell'ultimo anno ben dieci governi europei sono stati spazzati via dalle contraddizioni politiche e sociali dovute alla crisi globale, escludendo così qualsiasi connotazione ideologica del voto che nelle ultime settimane ha frantumato l'asse conservatore "Merkozy". D'altro canto, è innegabile che il centro-destra europeo stia perdendo contatto con il suo elettorato di riferimento. Sia con i ceti medi, tradizionale riserva elettorale del conservatorismo, che temono l'impoverimento e puniscono nelle urne coloro che dovrebbero tutelarne gli interessi, sia le classi popolari, strappate in precedenza alla sinistra, che ora si rivolgono alle estreme e ai partiti anti-sistema (come in Grecia).
Viviamo una fase caratterizzata da confusione ideologica e da una crescente apatia nei confronti della politica. Se vogliono resistere all'ondata contestataria e populista che si è manifestata nelle recenti elezioni greche, i maggiori partiti politici, socialdemocratici e conservatori che siano, devono giocare la carta della competenza e dell'affidabilità e al contempo proporre una credibile via d'uscita dalla crisi. Solo un'offerta politica che delinei praticabili prospettive di cambiamento e sviluppo riuscirà a invertire l'attuale trend nefasto. Nulla di tutto questo si intravede, al punto che gli analisti di Policy Network, in conclusione, interpretano i recenti risultati elettorali non come una rinascita del progressismo, quanto piuttosto come una conferma dell'incipiente crisi delle forze politiche tradizionali, screditate e ripetutamente sfiduciate dall'opinione pubblica.
Emblematici al riguardo due casi extra-europei. Negli Stati Uniti, Barack Obama, dopo aver suscitato grandi speranze frustrate da una ripresa economica troppo lenta, dovrà guadagnarsi una rielezione non scontata contro il pur poco accattivante Mitt Romney. In Australia, nonostante un surplus di bilancio (moneta rara di questi tempi tra i paesi occidentali), la premier laburista Julia Gillard deve fronteggiare un'opposizione che manovra con buona efficacia la leva del populismo. Insomma, la gestione del potere in tempo di crisi si rivela ostica per tutti. Il pendolo non oscilla a sinistra, ma muove verso l'instabilità. (Fabio Lucchini)