Critica Sociale, ottobre 2012
Oliver Schmolke e
Cilia Ebert-Libeskind, due funzionari della Spd, si fanno portavoce di una convinzione sempre più diffusa tra i riformisti tedeschi, ossia la necessità di colmare il gap tra la socialdemocrazia e i nuovi movimenti sociali, che trovano massima espressione in formazioni quali il Partito dei Pirati e
Occupy. L'occasione per formalizzare le loro opinioni, quasi in forma di appello agli altri partiti progressisti europei, è stato un articolo pubblicato da
Policy Network.
Nel pezzo i due autori hanno voluto registrare quanto emerso da un dibattito organizzato dalla Spd e che ha visto la partecipazione dell'antropologo David Graeber, considerato uno dei leader intellettuali del movimento
Occupy e autore del libro "Debito. I primi 5000 anni".
L'esito del confronto pubblico ha evidenziato, con una certa sorpresa dei socialdemocratici tedeschi, che la più significativa differenza tra i partiti europei di centro-sinistra e i nuovi movimenti sociali non sta tanto nella struttura organizzativa , nei valori propugnati o nelle politiche perseguite, quanto piuttosto nella cultura politica. Mentre infuriano discussioni pubbliche sugli squilibri globali, la crisi finanziaria e il cambiamento climatico, si sta formando una nuova maggioranza morale nelle società occidentali, il cui riferimento primario è la domanda di giustizia. Niente di più simile ai principi di fondo socialdemocratici e riformisti verrebbe da dire, eppure i tradizionali partiti europei di centro-sinistra non sono in grado di intercettare questa esigenza, di rappresentarla e di tradurla in politiche.
Stiamo assistendo (inerti?) al consolidamento di una nuova cultura politica, proseguono Schmolke e Ebert-Libeskind, che ricorda nello spirito i moti studenteschi degli anni sessanta e i campi pacifisti degli ottanta. Davanti a tutto questo la politica ufficiale stenta e non riesce a stabilire un canale di comunicazione. A dire il vero, l'incomunicabilità corre su un doppio binario: da una parte si evocano realismo e sobrietà, dall'altra si è stanchi di ascoltare formule datate che paiono prive di prospettiva e idealità.
Preso coscienza dello stallo, i due autori lanciano il loro appello, rivolto al loro partito ma indubbiamente indirizzato all'intera famiglia del socialismo europeo: "I tempi sono maturi per un cambiamento sociale al quale le strutture politiche storiche della sinistra riformista possono contribuire aprendo la loro cultura del dibattito e della scelta politica a nuove reti e alleanze...bisogna trasformare le nostre abitudini (per impegnarsi) in una esperienza rivitalizzante che dimostri che la socialdemocrazia è ancora viva."
In conclusione, se i partiti riformisti vogliono guidare il cambiamento e non rimanere spettatori, o peggio esserne travolti, devono cambiare le proprie pratiche e abbandonare le vecchie liturgie, utili forse a conquistare il consenso di sempre più scarne sacche elettorali garantite, ma del tutto inadeguate a dialogare con quei settori impegnati delle nuove generazioni che stanno riscoprendo la politica. A modo loro. Uno degli strumenti privilegiati di questo sforzo innovativo è senza dubbio l'utilizzo efficace e selettivo dei social media. Sinora gli esponenti della politica tradizionale hanno utilizzato facebook e twitter semplicemente per diffondere informazioni, senza comprendere che la vera utilità dei social media sta nella possibilità di interagire col proprio elettorato di riferimento (soprattutto quello potenziale), esponendosi alle critiche, avanzando proposte e dimostrando responsabilità e trasparenza. Questi sono gli imperativi della politica 2.0 e la sinistra riformista dovrà imparare a venire a patti con essi se vorrà intercettare il consenso necessario a tornare maggioritaria nelle inquiete società europee. (A cura di Fabio Lucchini)