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L'AMERICA DI OBAMA NEL MONDO. ATTO II
Se la solidità del mandato che Barack Obama ha ottenuto dalle urne non è assoluta (il 48% degli americani gli ha votato contro e la Camera dei Rappresentanti è rimasta in mano Repubblicana), il panorama internazionale che si presenta al rieletto presidente Usa non appare poi così fosco. Questo è ciò che emerge dall'analisi dei diversi teatri geopolitici proposta da George Friedman, direttore del think tank statunitense Stratfor.

La struttura del sistema internazionale
Al momento, il sistema internazionale è costruito su tre pilastri: gli Usa, l'Europa e la Cina. Friedman sottolinea come almeno due dei tre pilastri in questione stiano fronteggiando una crisi esistenziale, mentre il terzo, gli Stati Uniti, appare relativamente solido. L'Europa è intrappolata in una cronica stagnazione economica che le attuali politiche di austerità non sembrano in grado di risolvere. La Cina, dipendente dalle esportazioni per sostenere la sua economia, patisce il fatto che molti dei suoi prodotti stiano perdendo competitività sul mercato internazionale a causa dei crescenti costi del lavoro e dei terreni. Di conseguenza, le tensioni interne al Partito Comunista Cinese sul da farsi si acuiscono pericolosamente.

Gli Usa, in lentissima ripresa dal crollo del 2007-08, non stanno vivendo una crisi politico-economica paragonabile, poiché anche il ventilato precipizio fiscale di fine anno (il cosiddetto fiscal cliff), sebbene insidioso, appare una problematica di ben più facile risoluzione rispetto agli squilibri strutturali euro-cinesi.

Noi riteniamo, sentenzia Friedman, che le crisi di Bruxelles e Pechino siano insolubili. Ciò non significa che Europa e Cina siano destinate a sprofondare in un buco nero, ma che esse dovranno rivedere i propri obiettivi e i propri comportamenti. Nel Vecchio Continente è presumibile che tornino presto a prosperare, incontrollati, gli interessi nazionali, sebbene in un contesto di sostanziale benessere generale. La Cina continuerà a essere una grande potenza, ma il suo ruolo di motore dell'economia globale si ridimensionerà, determinando delle crisi istituzionali interne.

Poiché il potere non è assoluto ma relativo, ciò significa che gli Stati Uniti non vedranno minacciata la propria leadership globale, non per meriti propri quanto piuttosto per le carenze altrui.  A Washington ci si dovrebbe pertanto porre una domanda essenziale: Gli Stati Uniti hanno la forza per preservare l'unità dell'Europa e sostenere l'alto tasso di crescita dell'economia cinese?  La risposta è no. All'America non resta che osservare da una posizione di forza. Relativa.

Il dossier Iran
In seguito all'invasione irachena del 2003, quando gli Usa distrussero l'equilibrio di potere tra Iran e Iraq a vantaggio del primo, Teheran è diventata una potenza emergente. La Primavera araba e le difficoltà del regime amico di Bashar al Assad hanno indotto gli iraniani a intervenire a sostegno del governo di Damsco, ma il risultato è stata la libanizzazione della Siria. Il collasso della sua posizione e del suo prestigio in Siria ha inferto un colpo durissimo all'Iran, che è passato dall'essere una potenza regionale con un programma nucleare avviato ad essere un paese con un'influenza in declino e con problemi economici (in seguito alle sanzioni internazionali). Una circostanza che nei prossimi mesi favorirà Stati Uniti e Israele.

Russia e questione energetica
Mosca rimane un fattore geopolitico solido, ma non privo di debolezze. Una in particolare, ossia la dipendenza di gran parte del suo potere dalle esportazioni energetiche e il fatto che non sia chiaro per quanto tempo ancora la Russia riuscirà a brandire quest'arma nei confronti dei vicini europei. In particolare, gli sviluppi delle nuove tecnologie potrebbero consentire presto all'Europa di trovare nuove fonti di approvvigionamento, ridimensionando così il peso politico e finanziario del Cremlino rispetto al Vecchio Continente.

Dal canto loro, gli Usa prevedono un netto miglioramento della propria situazione energetica e immaginano, nel volgere di pochi anni, di poter coprire tutti i bisogni energetici nazionali contando unicamente su fonti interne all'Emisfero Occidentale. Se un simile scenario si realizzasse, il Golfo Persico perderebbe di interesse per Washington e ciò implicherebbe un minor impegno politico-militare americano in quell'insidioso quadrante strategico.

In conclusione, l'amministrazione Usa che è in procinto di insediarsi dovrà gestire un contesto internazionale nel quale le altre potenze si trovano ad affrontare problemi più insidiosi di quelli americani e in cui gli sviluppi tecnologici nel settore energetico - e il settore energetico è l'essenza della geopolitica sin dai tempi della rivoluzione industriale - favorisco gli interessi Usa. Quali le implicazioni per il secondo mandato di Obama? L'America, più libera da minacce e da vincoli rispetto al recente passato, può avere un buon margine di manovra per esercitare una leadership efficace nei teatri geopolitici sensibili, a partire dal Medio Oriente. (A cura di Fabio Lucchini)

 

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