Segnato da una lunga guerra civile, durata dal 1976 al 1992, negli ultimi vent’anni il Mozambico sta cercando di liberarsi dalle piaghe storiche della fame e della corruzione. Dopo gli accordi di pace tra le fazioni in lotta (conclusi nel ‘92 a Roma grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio), i progressi sul terreno dello sviluppo economico e della stabilità non son mancati, ma la strada è ancora lunga per questa ex colonia portoghese situata nel sud-est africano e affacciata sull’Oceano Indiano. Lo conferma Ilario Verri, padre dehoniano che gestisce il Centro Polivalente Leão Dehon nella città di Gurué, 1300 chilometri a nord della capitale Maputo. Lo incontriamo durante un breve soggiorno che si concede a Borgo di Terzo, comune della Val Cavallina di cui è originario. La nostra conversazione tocca vari argomenti, a partire dalla povertà e dal ruolo del Centro.
“C’é ancora tanta miseria in Mozambico e il nostro obiettivo è alleviarla dando lavoro alla gente del posto. Abbiamo 150 operai e teniamo corsi professionali per elettricisti, meccanici e tecnici dell’agricoltura. Possiamo anche contare su cinque mulini elettrici, una macchina per la pulizia del riso e due macchine per la trasformazione dei semi di girasole in olio. A tutto questo dobbiamo aggiungere una grande e importante falegnameria. Inoltre, siamo attivi nel campo della saldatura e della meccanica, soprattutto nella riparazione e manutenzione dei nostri veicoli. A tal proposito, voglio ringraziare quanti continuano a sostenerci dall’Italia, dal Portogallo, dalla Svizzera e dalla Germania, con l’invio di mezzi e di altre risorse. Il loro aiuto ci ha permesso di rilanciare la nostra attività, in particolar modo dal 1995 in poi. Mi piace anche ricordare l’impegno diretto di coloro i quali, una volta raggiunta la pensione, partono per venire a lavorare nel Centro, aiutando la crescita professionale dei nostri ragazzi e tornando in Italia arricchiti da una nuova esperienza”
Padre Verri non esita a parlare della situazione politica e socio-economica mozambicana. Dall’indipendenza in poi, il Mozambico è governato dal Fronte di Liberazione del Mozambico (Frelimo), il partito che ha guidato la lotta per l’emancipazione dal dominio coloniale conclusa nel 1975. Nonostante la scarsa credibilità dell’opposizione, rappresentata dalla Resistenza nazionale mozambicana (Renamo), opposta al Frelimo durante la guerra civile, il governo è sempre meno popolare. “La gente mal sopporta la crescente corruzione e i metodi intimidatori utilizzati dal Frelimo in occasione delle scadenze elettorali. Metodi che non hanno impedito l’affermazione a livello locale del Movimento democratico del Mozambico (Mdm). Qualcosa si muove insomma, c’è voglia di cambiamento. Spero soltanto che la lotta politica non si trasformi in violenza, ma in una crescita della democrazia: questo paese non ha bisogno di una nuova guerra civile.”
Non sono soltanto le tensioni interne a preoccupare il missionario italiano, che guarda con perplessità all’attivismo economico delle potenze asiatiche in Africa. “Cinesi e indiani sono molti interessati al Mozambico e noi, che lavoriamo per lo sviluppo locale, temiamo che tutto ciò porti a una sorta di neo-colonialismo e alla sottrazione di risorse e territori, senza alcun beneficio per la gente del posto. Sotto questo profilo, ci inquieta l’atteggiamento del governo di Maputo. Faccio l’esempio del taglio e della commercializzazione del legname: il nostro centro per ottenere le licenze deve passare attraverso lunghe trafile burocratiche, mentre i cinesi non incontrano ostacoli di sorta. Il problema riguarda in particolare i terreni agricoli, necessari alla sussistenza delle famiglie, che gli investitori stranieri vogliono trasformare in piantagioni (eucalipto, soia) per finalità commerciali. Qui ci sono grandi potenzialità; pensate che il Mozambico conta su una superficie grande quasi tre volte l’Italia e ha ben 3000 chilometri di coste. Tuttavia, si tratta di risorse che devono essere sfruttate coscienziosamente e non certo dando il via libera allo sfruttamento indiscriminato del territorio da parte delle multinazionali e delle potenze straniere. Non mi stancherò di ripeterlo.”
Chiediamo se questo impegno gli abbia causato dei problemi. “Nel febbraio dello scorso anno, 18 persone ben organizzate e armate di machete ci hanno attaccato in piena notte, arrecando gravi danni al Centro e ferendo diverse persone, tra cui il sottoscritto. Certo, gli assalitori hanno sottratto denaro e beni, ma ho il dubbio che dietro a questa azione vi sia dell’altro. I nostri rapporti con le autorità locali non sono sempre idilliaci e già in passato il governo ha minacciato di espellermi dal paese, costringendomi a scrivere all’Ambasciata italiana e alla Nunziatura apostolica per chiedere tutela. Evidentemente, alcune mie prese di posizione contro la corruzione e gli abusi del partito di governo non sono state gradite. Ma le intimidazioni non mi preoccupano, perché ritengo che faccia parte del mio compito denunciare le storture e difendere gli interessi della mia comunità. Del resto, nemmeno risparmio critiche alla Chiesa locale. E’ significativo il fatto che Benedetto XVI nel Concistoro del febbraio 2012 non abbia nominato alcun cardinale africano. Spero che in futuro vi sia più convinzione e saldezza nei seminaristi che si avvicinano alla vita religiosa. E’ l’unica via per consolidare una Chiesa africana che sia punto di riferimento genuino e credibile per le nuove generazioni.”
Il futuro del Centro? “Siamo davvero grati a quanti ci hanno sostenuto e ancora per fortuna ci sostengono, ma nei prossimi anni vorremmo raggiungere la totale autonomia e farcela con le nostre sole forze. Con me lavorano delle persone affidabili, in particolare due religiosi mozambicani, che hanno le capacità per portare avanti quanto è stato realizzato sin qui, che non deve assolutamente andare perso. Nonostante le difficoltà, vogliamo andare avanti, perché siamo convinti che investire sulle comunità locali, formando professionalmente e culturalmente le persone, sia la strada maestra per aiutare l’Africa a liberarsi dalla povertà e a costruirsi il futuro che merita.” (A cura di Fabio Lucchini)