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Stress democratico, populismo ed estremismo: Executive Summary

Anthony Painter, con il contributo di Claudia Chwalisz

Lanciato dodici mesi or sono, il progetto di Policy Network su populismo, estremismo e politica convenzionale (mainstream) ha analizzato il rapporto tra identità politica e movimenti populisti nel contesto dell’Europa contemporanea e si è soffermato su come i partiti – di sinistra e di destra – hanno risposto alla sfida. I ricercatori e i collaboratori che si sono impegnati nell’opera hanno studiato le campagne, le scelte politiche e gli approcci programmatici in grado di resistere e di sconfiggere gli aspetti antagonistici e corrosivi dell’identità politica e del populismo, ma hanno anche considerato attentamente i fallimenti della politica mainstream. Il progetto, di cui presentiamo l’executive summary e l’introduzione, è stato sostenuto da Barrow Cadbury Trust. (Titolo originale del report: Democratic stress, the populist signal, and extremist threat)

 

La crescita del populismo è una delle più significative sfide lanciate alle democrazie occidentali nell’ultimo quarto di secolo. Lo “sfidante” è interno al sistema democratico ma è anche contro la democrazia liberale, e questo dato di fatto pone il sistema sotto stress.

Il populismo è un argomento democratico che tenta di cambiare il modo in cui la democrazia funziona. E’ una minaccia interna alla democrazia, alla cultura e alle norme che consentono alle liberaldemocrazie di funzionare. In altre parole, il populismo non cerca di rimpiazzare la democrazia, ma vuole cambiarla.

Non si tratta di essere “popolare” nel senso in cui il termine viene correntemente (ab)usato dai media o dai politici. Margaret Canovan distingue il lato “redentivo” della democrazia da quello “pragmatico”. Il populismo fa appello al primo, per raggiungere il “volere del popolo”, illimitato e puro. Il populismo è espressivo ed emotivo, e rifiuta i controlli e i bilanciamenti istituzionali della liberaldemocrazia. Invece, la politica, che definiamo per comodità convenzionale (o mainstream), in fondo si concentra sul pragmatismo, sul bilanciamento dei poteri e sul gioco interistituzionale.

La crescita del populismo è il “segnale” del fallimento della politica convenzionale nel comprendere e realizzare bisogni e desideri di cittadini destabilizzati dai cambiamenti sociali, culturali, economici e politici in atto.

Il populismo ha guadagnato terreno nei sistemi democratici presentandosi in forme differenti. Populisti sono il Tea Party negli Stati Uniti, il Partito del Popolo in Danimarca, il PVV nei Paesi Bassi, il Front National in Francia, Fidesz in Ungheria, l’SVP in Svizzera, l’FPÖ in Austria, lo UKIP in Gran Bretagna.

Il populismo, come rappresentazione di un corpus di bisogni e desideri democratici, è assolutamente legittimo. Se bisogni e ansie non vengono espresse nell’ambito del sistema democratico vi è tuttavia il rischio di una più grande minaccia, ossia l’estremismo, che ha casuali e periodici contatti con la democrazia, rappresentando una delle strade che essa può percorrere. Spesso l’estremismo si costituisce in movimento, come pura espressione di una ideologia. Ad esso è associata la politica dell’odio e della tolleranza verso l’uso della violenza.

Il fatto che il populismo sia legittimo non significa che esso sia necessariamente benigno, perché crea semplificazione quando la realtà delle politiche pubbliche necessita di essere valutata attraverso le lenti della complessità per essere compresa. Esso corrode la fiducia e pregiudica la capacità dei partiti di formare coalizioni di governo vincenti e funzionanti. La retorica del populismo radicale può impattare sul welfare delle minoranze e persino, in determinate circostanze, giustificare il pensiero e l’azione estremista. Vi è una ambivalenza di fondo nel populismo. Come due ricercatori accademici del settore hanno espresso, il populismo è “una minaccia e un correttivo per la democrazia (liberale)”.

Indubbiamente, nel corpo sociale vi è una “domanda” populistica reale, ma la possibilità di tradurre questa “domanda” in vero e proprio potere politico dipende dall’esito del gioco tra le forze populiste e la politica mainstream.

Le strategie a disposizione della politica convenzionale per fronteggiare la minaccia populista non mancano e ricadono in tre grandi categorie: “tenere”, “disinnescare” e “adottare”. La prima strategia mira a evitare la minaccia portata dal populismo, la seconda vuole minimizzare l’impatto delle ansie populiste e la terza si muove proprio verso le posizioni populiste. Ad ogni modo, ciascuno di questi approcci è afflitto da limitazioni e carenze. Piuttosto, si raccomandano altre tre strategie, sequenziali e concorrenti: comprendere le tematiche che possono favorire un potenziale sostegno al populismo radicale; lavorare per sviluppare nuove eccellenze di governo, che includano visione nazionale, interventi pubblici mirati a sostegno del lavoro, del welfare e dell’edilizia popolare a livello locale e nazionale, costruire una nuova “democrazia partecipativa”, più vicina a cittadini.

“Democrazia partecipativa” significa soddisfare i bisogni locali, mobilitare i nuovi elettori nei canali tipici della democrazia liberale, sfidare l’odio e l’estremismo, sostenere la crescita della vita comunitaria, sviluppare il capitale sociale nelle comunità. Una tale concezione democratica è una componente cruciale della “nuova eccellenza di governo” che da più parti si invoca. Tutto ciò non si deve realizzare solo attraverso i partiti politici e le loro classiche modalità di funzionamento e azione – che comunque devono cambiare - , ma anche attraverso le organizzazioni dei cittadini, le campagne sul territorio e le autorità locali.

In conclusione, serve una risposta comprensiva da parte della politica convenzionale, che ridia dignità alla rappresentanza politica e alla partecipazione democratica e sociale. I partiti classici hanno ancora la possibilità di agire, ma se non lo fanno presto rischiano che siano altri a raccogliere il testimone: i partiti populisti di destra e forse, in futuro, di sinistra. La democrazia è sotto stress. Sarà in grado la politica mainstream di alleviare questo disagio e di governare con saggezza? E’ una domanda chiave alla quale gli europei, e gli occidentali in genere, dovranno rispondere negli anni a venire. (Traduzione a cura di Fabio Lucchini)

 

Policy Network è un importante think tank internazionale, basato a Londra, che promuove riflessioni strategiche per soluzioni progressiste alle sfide del ventunesimo secolo, incidendo sul dibattito pubblico nel Regno Unito, in Europa e nel mondo. Grazie a un approccio cooperativo, di rete e transnazionale alla ricerca, alla organizzazione di eventi e alla produzione di pubblicazioni, Policy Network ha conquistato la reputazione di piattaforma di qualità per l’analisi, il dibattito e lo scambio culturale rispetto ai cambiamento del quadro politico internazionale.

Anthony Painter è un ricercatore politico e scrittore. Ha condotto il progetto congiunto Policy Network/Barrow Cadbury Trust “Populismo, estremismo e politica mainstream” e svolto lavoro di ricerca con Center for American Progress, Demos, Searchlight Educational Trust e Policy Network in tema di politica economica, opinione pubblica ed estremismo/populismo. E’ autore di due libri:Barack Obama: The Movement for Change and the forthcoming e Left without a future? Social justice after the crash (I.B Tauris). Scrive per Progress e, in passato, per Guardian, New Statesman, Huffington Post, LabourList, Open Democracy, Left Foot Forward, e Labour Uncut. E’ direttore di Hackney UTC e vice-direttore di Hackney Community College. Nel presente progetto è stato supportato dalla ricercatrice di Policy Network, Claudia Chwalisz.

 

 

 
Stress democratico, populismo ed estremismo: Introduzione

Nel corso dell’ultimo quarto di secolo, tra le nuove famiglie politiche europee quella che avuto più successo è stata la destra radicale e populista. Paese dopo paese, i nuovi partiti populisti di destra si sono ritagliati un ruolo importante, intercettando la protesta popolare e ottenendo buoni risultati elettorali. Un’avanzata che non deve essere sopravvalutata. Solo in Svizzera e presumibilmente in Ungheria questi movimenti possono coltivare concrete ambizioni di governo. Ciononostante, in Europa la destra populista radicale è diventata un fattore permanente nella vita politica. L’argomento di questo report è che questo fenomeno – la destra populista come sfidante serio all’interno della liberaldemocrazia – ci dice qualcosa di molto significativo rispetto alla salute della democrazia moderna e richiede una robusta risposta da parte della politica convenzionale.

Puntualizziamo che il populismo non è intrinsecamente un fenomeno di estrema destra sebbene esistano delle specifiche affinità con le priorità culturali di quel mondo. Il più conclamato movimento populista nel mondo di oggi è rappresentato dal ‘chavismo’, che si richiama alla figura del defunto presidente venezuelano, Hugo Chavez. Un movimento nazionalista di sinistra che ha cambiato la natura del processo democratico in Venezuela. Ciò considerato, nelle più consolidate democrazie occidentali si è rivelata più significativa la variante di destra e ciò è dovuto a una serie di cambiamenti strutturali in società occidentali che hanno perso la loro basse classista; una categoria politica imprescindibile del secolo scorso. In un simile contesto, il populismo di sinistra tenderebbe ad aderire maggiormente alle tradizionali dinamiche socioeconomiche della competizione partitica e alle nozione di democrazia che ad essa corrisponde. Ma esso non è la forma prevalente nell’Europa contemporanea. Infatti, il populismo della destra radicale ha reagito alle ansie culturali, sociali e democratiche del tempo in maniera più efficace rispetto al suo contraltare di sinistra. Tutto ciò ha aperto uno spazio politico alla famiglia dei partiti populisti di destra radicale, che si sono così rafforzati.

La crescita della destra radicale populista è un segnale, che arriva nel momento in cui la politica mainstream viene messa sotto stress da questioni attinenti la propria legittimità – ossia la capacità di rispondere ai bisogni e ai desideri politici dei cittadini. Un segnale che riguarda il declino della fiducia nella politica convenzionale, rappresentata da partiti che si trovano a proprio agio nelle pragmatiche, pluralistiche e istituzionalmente vincolate tradizioni della liberaldemocrazia occidentale. Disvelare i fattori di stress in azione significa analizzare in profondità le dinamiche strutturali che sono sorte in seguito al cambiamento economico, sociale e culturale. Se i partiti mainstream si muovono agevolmente sul terreno concettuale della classe sociale, dell’ideologia, della fede o del patriottismo (temi caratteristici dello scenario politico nato grazie al suffragio universale postbellico), oggi essi sembrano in grave imbarazzo. Ora, non viene solo contestato lo spazio del conflitto politico, vengono addirittura messe in dubbio le regole del gioco.

In sostanza, questa discussione riguarda problemi di definizione e la tendenza a utilizzare in maniera intercambiabile una varietà di termini. E’ importante fare chiarezza intorno al significato prima di procedere a un’analisi effettiva. La base del progetto di ricerca che Policy Network presenta è fondata su tre distinti approcci alla politica, che sono consequenziali in termini di risultati concreti e reali: la politica mainstream, il populismo e l’estremismo.  La complicazione immediata riguarda il fatto che gli ultimi due termini vengono spesso confusi, utilizzati in maniera indifferenziata e intercambiabile. Ciò non è d’aiuto. Il populismo è un argomento democratico che cerca di cambiare il modo in cui funziona la democrazia. E’ una minaccia che viene dall’interno, che attacca la cultura e le norme di funzionamento della democrazia liberale. In altre parole, il populismo di destra non cerca di rimpiazzare la democrazia; cerca di cambiarla in una forma populista, diretta ed espressiva che sostituisca la liberaldemocrazia istituzionalmente vincolata. Questa nota basica è essenziale per comprendere la natura della minaccia che il populismo di destra radicale pone e per interrogarsi su come i partiti mainstream possano rispondere.

Le analisi di Paul Taggart, Cas Mudde/Cristóbal Rovira Kaltwasser e Margaret Canovan sono importanti per apprezzare le caratteristiche principali del populismo. Mudde e Kaltwasser lo definiscono in questo modo:

“Una ideologia poco consistente che considera la società in ultima analisi divisa in due gruppi omogenei e antagonisti tra loro, le ‘persone pure’ e ‘l’elite corrotta’, e che sostiene che la politica dovrebbe essere un’espressione della volonté générale (la volontà generale) della gente.” (1)

Taggart sottolinea l’importanza del concetto di ‘heartland’ nella politica populista. (2) Heartland è essenzialmente una nozione ‘idealizzata’ di popolo moralmente puro. L’elasticità di un simile concetto è utile per esemplificare l’estrema elasticità del populismo stesso. Margaret Canovan distingue i lati ‘redentivo’ e ‘pragmatico’ della democrazia. Il primo è espressivo ed emotivo; il secondo riguarda il processo, il gioco e i bilanciamenti istituzionali. Le democrazie occidentali sono pragmatiche: rappresentative e liberali così come democratiche.  I populisti auspicano una politica più redentiva, nella quale la volontà della maggioranza moralmente pura venga realizzata – senza grandi ostacoli. Mentre i populisti cercano di fare della semplicità una virtù morale, la politica convenzionale riconosce la complessità. I due ‘stili’ di politica sono connessi tramite la loro essenza democratica. In effetti, Cas Mudde descrive la destra populistica come una ‘normalità patologica’. (3)

Ad ogni modo, ciò che i movimenti populisti si attendono dalla democrazia può variare a seconda dei contesti di riferimento, così come i loro contenuti devono essere separati dalla forme organizzative che essi possono assumere. Il nazionalismo, il timore nei confronti dell’immigrazione, l’ansietà culturale e il protezionismo economico non sono certo appannaggio esclusivo del populismo. Simili idee, questioni e motivazioni vengono spesso fatte proprie dalla politica mainstream o dalle ali estreme. Ad esempio, il nazionalismo si è espresso in termini paramiliari nei Paesi Baschi, in termini populistici nel Flemish Vlaams Blok nelle Fiandre o in termini più convenzionali nel civismo pluralistico dello Scottish National Party. Se è vero che particolari ansie come quelle che circondano il cambiamento culturale esercitano un’attrazione magnetica sul populismo di destra, esse non devono essere confuse tout court con quello stile politico. Infatti, è l’incapacità della politica mainstream di confrontarsi con una varietà di questioni, di ansie economiche e di preoccupazioni culturali che ha aperto la porta al discorso populista. Il punto è piuttosto evidente: si tratta di un fallimento della politica convenzionale.

Lo sdegno morale che i populisti manifestano nei confronti della politica convenzionale è reciproco. Infatti, la segregazione morale è stata una delle prime risposte della politica manistream al populismo radicale di destra. Non c’è miglior strategia politica che tacciare di illegittimità morale chi ti minaccia…sempre che funzioni. Il problema è che non sta funzionando. Vi è una ‘domanda’ diffusa per partiti che si focalizzino sulla cultura, l’immigrazione, il cambiamento economico, la nazionalità, i percepiti favoritismi giuridico-politici accordati ai gruppi minoritari, l’asserita minaccia islamica ai ‘valori occidentali’, ‘l’attacco della UE alle sovranità nazionali’, le imposizioni dell’Eurozona e, come nel caso del Tea Party negli Stati Uniti, la paura di uno Stato invadente. Il problema che gli attori politici mainstream si trovano a fronteggiare è che, essendo fallita la segregazione morale, essi ora rischiano di sembrare inadeguati a risolvere i problemi che molti cittadini sentono propri e che la destra populista denuncia da tempo. Riconoscere la realtà e l’urgenza di questi problemi non significa accettare gli argomenti populistici, tutt’altro. Il punto è che la strategia della condanna morale è inadeguata e controproducente se adottata dagli attori della politica convenzionale.

La destra populista ha superato la sua età infantile e in alcuni paesi europei ha raggiunto la fase adolescenziale. Inoltre, il populismo ha una funzione importante. I partiti convenzionali possono condannare gli argomenti e gli stili populistici, ma l’alternativa che si profila appare molto peggiore: l’estremismo. Se le democrazie occidentali non riescono a fronteggiare questa sfida con politiche efficaci e pragmatiche, rimangono poche strade democratiche percorribili attraverso cui le ansie della vita quotidiana possano essere espresse. Una delle strategie dell’estremismo è il confronto casuale e periodico con la democrazia, ma si tratta soltanto di una delle vie che esso percorre. Gli estremismi si considerano movimenti, ma anche pure espressioni ideologiche. L’ideologia è trascendente e, pertanto, tutto ciò che serve a proteggerla e a sostenerla (nazionalismo etnico, radicalismo religioso o comunismo rivoluzionario) è legittimato agli occhi degli estremisti. Cortei di strada, persecuzioni, odio, manifesti roboanti, violenza e terrorismo sono solo alcuni degli strumenti utilizzati. Un mix tossico e pericoloso per l’azione politica, che pone una seria minaccia alla sicurezza e al benessere.

Il populismo può essere considerato il fratello brutto della democrazia pluralista, l’estremismo il cugino malvagio del populismo. Sotto certi aspetti, la destra radicale populista e l’estrema destra pescano nello stesso stagno di angoscia e ansietà, come testimoniano le ricerche condotte, ma esse portano avanti le rispettive causa in maniere differenti. Ciò non significa che il populismo sia benigno. Lo stile populista nel trattare questioni controverse è, nei fatti, altamente problematico.

La democrazia nelle società complesse non è un affare semplice. Vi sono compromessi da raggiungere, conflitti da affrontare e interessi da tutelare, e bisogna confrontarsi periodicamente con l’invisibile, l’imprevisto e l’imprevedibile. La democrazia espressiva glissa su queste sfide. La democrazia rappresentativa, sebbene imperfetta, tenta di riconciliare le contraddizioni, mentre il populismo tenta di ignorarle.

Prendiamo ad esempio l’impegno britannico verso un mercato unico europeo. Un mercato del genere richiede regolamentazioni comuni che, per essere raggiunte, necessitano una necessaria devoluzione di sovranità alle istituzioni europee, ma anche che si accetti che i veti nazionali creino ostacoli apparentemente insormontabili. Nel suo ruolo di primo ministro di centro-destra e a prescindere dai suoi peculiari accenti retorici, Margaret Thatcher comprese la necessità del bilanciamento tra interesse nazionale e potere nazionale formale. Il populismo anti-Ue rifiuta una simile complessità. Come nel caso del nazionalismo, l’euroscetticismo non è intrinsecamente populista, poiché, anche se giunge a conclusioni differenti rispetto ai fautori dell’unione politica del Continente, vi sono in esso componenti che comprendono la necessità del compromesso.

Se contenuto e ‘stile’ non sono inestricabilmente collegati, lo ‘stile’ tende a influenzare il contenuto, conducendo a esiti, significativi e sconosciuti, potenzialmente negativi. Il populismo ha delle conseguenze sul benessere economico, sul funzionamento della democrazia, sulle relazioni estere e internazionali, e sui rapporti tra differenti gruppi, culture, regioni e nazionalità. La preoccupazione è sostanziale quanto politica.

L’impatto del populismo radicale di destra sul centro-sinistra e il centro-destra convenzionali varia a seconda dei sistemi politici. Nelle democrazie di stampo maggioritario, esso rappresenta un serio problema per i partiti maggiori, come dimostrato dal fatto che molti elettori del Partito Conservatore britannico stiano passando allo UKIP. Ad ogni modo, allargando lo sguardo a livello europeo, il grande dilemma riguarda il centro-sinistra. E’ chiaro che il travaso di voti dal centro-destra alla destra populista si traduce in seggi parlamentari, che, probabilmente, daranno alle forze populiste la possibilità di coalizzarsi con forze conservatrici più moderate. E’ un processo dal quale le componenti progressiste e riformiste hanno poco da guadagnare poiché “il fatto di perdere voti a vantaggio della destra radicale, e non ad esempio a vantaggio di partiti di sinistra radicale o ecologista, favorisce di per sé le forze conservatrici”. (4)

Vi è poi un altro punto focale. L’accusa principale dei populisti è che le istituzioni liberaldemocratiche e le elite che le occupano sono moralmente corrotte e antagoniste verso gli interessi e le virtù della ‘gente’. Considerando che il centro-sinistra confida nell’azione statale per raggiungere obiettivi collettivi in misura maggiore di quanto faccia il centro-destra, risulta sempre più complicato appellarsi all’azione collettiva se la legittimità delle istituzioni e di coloro che le occupano è costantemente sotto attacco. Ad esempio, il successo della destra populista radicale ha coinciso con la perdita di fiducia nelle tradizionali istituzioni del welfare. Non è certo una novità: anche i partiti di centro-destra mettono in questione quelle istituzioni. Il fatto è che la retorica populista ha una più ampia potenzialità per incidere. La sua tendenza a stigmatizzare particolari comunità, ad accreditare le teorie del complotto a rifiutare il compromesso ha molti tratti comuni con le modalità estremiste dell’azione politica. Sebbene la relazione tra estremismo e populismo sia complessa e spesso sfumata, è difficile concludere che gli elementi della loro retorica possano condurre a relazioni comunitarie armoniose e basate sul mutuo riconoscimento. In realtà, vi sono casi, come il Tea Party negli Stati Uniti, dove l’acceso populismo è stato accompagnato da un crescente estremismo, con l’emergere di veri e propri gruppi paramilitari di destra.

Gli argomenti populisti utilizzati dagli attori politici come dai media creano un senso di crisi e di drammatico conflitto, spesso in una luce non veritiera. Se è vero che può essere salutare far emergere queste pulsioni nello spazio democratico piuttosto che lasciarle esasperare ai suoi margini, è altrettanto vero che una simile operazione non è priva di conseguenze e rischi. La mancanza di un evidente e forte legame tra populismo ed estremismo non significa che esso non esista.

Pertanto, il dibatto su come al politica mainstream debba confrontarsi con il populismo e l’ombra oscura dell’estremismo  non è una questione che interessa solo la politica convenzionale e la sua incapacità, da destra e da sinistra, di adattarsi a quella sfida. La discussione va molto aldilà dei destini dei professionisti della politica, riguarda il futuro di un intero sistema. La crescita del populismo come attore affermato in seno alle democrazie occidentali è un segnale del fallimento della politica mainstream, evidenziato dal declino della fiducia e dell’impegno verso la politica formale e dal crescente sentimento popolare che vede ‘la gente contro le elite’.  La politica  convenzionale dovrà valutare attentamente le prossime mosse; la sua posizione, un tempo dominante, è ora sotto attacco.

Questo report finale del progetto di ricerca di sei mesi ‘Populism, extremism and the mainstream’, curato da Policy Network e Barrow Cadbury Trust, analizza la natura del cambiamento, la relazione fra tre ‘stili’ e prospettive, le possibili risposte strategiche e i casi di studi sulla natura delle significative nuove sfide che le democrazie occidentali si trovano a dover fronteggiare, dentro e fuori il sistema dei partiti.  La conclusione che è parsa più opportuna auspica una rinnovata eccellenza di governo, una vera e propria arte del governare; ciò implica che i partiti conquistino il potere e mantengano le redini di un esecutivo in virtù di azioni efficaci e suscettibili di tradursi in un’agenda politica praticabile e pertanto capace di identificare le priorità e le fonti del disagio collettivo. Componente dell’eccellenza di governo è l’impegno dentro le comunità – un’esigenza riscontrata dai ricercatori durante i mesi di lavoro che hanno condotto al report di Policy Network. Una tematica, quella dell’impegno verso e dentro la comunità di riferimento, che è al centro della nostra domanda di ‘democrazia partecipativa’. In qualità di ricercatori del fenomeno, chiediamo che si prenda coscienza della reale natura dello stress democratico che viviamo, amplificando le minacce al nostro stile di vita e rendendo sempre più plausibile l’affermarsi di alternative alla politica mainstream. Chiediamo maggior determinazione nella ricerca di una risposta.

In assenza di uno sforzo analitico, il fallimento si trasformerà da temporaneo in permanente. Lo stress diventerà crisi conclamata. Le conseguenze potrebbero essere immense, a livello sociale, culturale ed economico. I partiti convenzionali devono dimostrarsi più degni di fiducia di quelli populisti, anche in un ambiente dove il sostegno per le forze politiche consolidate tende a restringersi. In un simile quadro di riferimento, la politica diventa un gioco ancor più complesso, nel quale, al momento, sono ancora i partiti mainstream a menare le danze. Tuttavia, se essi dovessero cadere, vi sono altri attori pronti a prendere il loro posto in nome del populismo di destra e, forse, in futuro di sinistra. La democrazia è sotto stress, la politica tradizionale saprà alleviarlo e governare saggiamente? Una questione centrale per la vita pubblica europea e americana nei prossimi anni. L’incapacità di rispondere adeguatamente avrà un impatto negativo sul benessere individuale e su quello collettivo, del resto già duramente provati dalla crisi globale che attraversa le nostre società. (Traduzione a cura di Fabio Lucchini)

 

(1) Mudde, Cas e Cristóbal Rovira Kaltwasser. 2012. “Populism and (liberal) democracy: a framework for analysis.” In Mudde, Cas e Kaltwasser, Cristóbal Rovira, eds. Populism in Europe and the Americas: threat or corrective for democracy?” Cambridge: Cambridge University Press. P. 8.

(2) Taggart, P. 2000. Populism. Buckingham: Open UniversityPress.

(3) Mudde, Cas. 2008. “The Populist Radial Right: A Pathological Normalcy.” In Malmo University, Willy Brandt Series of Working Papers in International Migration and Ethnic Relations. March 2007. Malmo, SE.

(4) Bale, T. C. Green-Pedersen, A. Krouwel, K. R. Luther and N. Sitter. 2010. “If You Can’t Beat Them, Join Them? Explaining Social Democratic Responses to the Challenge from the Populist Radical Right in Western Europe.” Political Studies 58: 410–26.

 

 

 

 

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