Jean-Claude Juncker, premier lussemburghese ed ex presidente dell’Eurogruppo (il coordinamento che riunisce i ministri dell'Economia dell’Eurozona) ha difeso per anni il segreto bancario, facilitando il boom di un settore bancario e finanziario nazionale di dimensioni equivalenti a 20 volte il Pil di un Paese di 500mila abitanti, che ospita 141 banche di 26 Stati e 3.840 fondi di investimento venduti in 70 altri Stati, con attività per 2.500 miliardi, in questo caso pari addirittura a 55 volte il Pil del Granducato (La storica capitolazione di monsieur Juncker, Enrico Brivio, Sole 24 ore). Ora Juncker afferma che il Lussemburgo può introdurre lo scambio automatico di informazioni dal gennaio 2015. Le ragioni? In tempi di crisi e di bilanci nazionali austeri, gli Stati Uniti e l’Europa esercita forti pressioni su paesi come Svizzera e Lussemburgo, che agevolano l'evasione fiscale dei grandi investitori internazionali. L'annuncio di Italia, Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna di voler lavorare a “una piattaforma multilaterale di scambio di informazioni” non è che l'ultimo segnale in tal senso.
Un fattore aggiuntivo di inquietudine in Europa è rappresentato dalla crisi di Cipro e dalla crescente consapevolezza che un settore bancario ipertrofico (otto volte il Pil per Nicosia) sia comunque un fattore di fragilità e instabilità. A un mese dalla riunione dell’Eurogruppo che il 15-16 marzo ha approvato il piano di salvataggio per Cipro, resta l’impressione che si tratti dell’ennesimo “pasticcio europeo”, come sottolineato da Angelo Baglioni (lavoce.info). Le autorità cipriote hanno lasciato che alcune banche del paese assumessero una dimensione tale da non essere in grado di gestirne un eventuale dissesto con le proprie forze, permettendo che attraessero depositi da altri paesi, tra cui Grecia e Russia, e omettendo di controllare la provenienza di questi capitali.
L’Eurogruppo pretende che il costo del salvataggio non ricada interamente sulle spalle dei contribuenti europei, ma il modo in cui si è arrivati al coinvolgimento del settore privato desta qualche perplessità. Imporre un prelievo sui depositi al di sotto dei 100mila euro toglie credibilità alla assicurazione dei depositi. Creare un pericoloso precedente potrebbe rivelarsi costoso in futuro, aumentando la fragilità dei sistemi bancari in altri paesi europei, soprattutto in quelli candidati a ricevere l’assistenza finanziaria del meccanismo di stabilità Esm. Perciò sarebbe stato opportuno non colpire affatto i piccoli depositanti.
Il coinvolgimento del settore privato non è di per sé sbagliato. Anzi, è necessario per evitare azzardo morale e per limitare i costi dei salvataggi per i contribuenti. Il punto è che dovrebbe avvenire all’interno di regole chiare e uniformi, che diano certezza agli investitori. Il contrario di quanto successo. Per questo bisogna accelerare le tappe verso l’unione bancaria europea, per avere una maggiore uniformità delle pratiche di supervisione, incardinate un quadro chiaro di gestione delle crisi bancarie.
In un più recente commento, Diego Valiante nota come la vicenda Cipro sia stata interpretata da molti come la volontà degli Stati che aderiscono all’euro di liquidare banche insolventi e di evitare che i costi della liquidazione si riversino sui cittadini, già colpiti da una grave crisi economica. Sono obiettivi condivisibili, ma la realtà dei fatti è diametralmente opposta. Il forte legame tra sistemi bancari e governi nazionali non si è allentato, bensì ne esce rafforzato, con il rischio di creare monete parallele nella stessa area monetaria, oltre a far emergere la debolezza dell’attuale assetto istituzionale. Il sistema bancario si sta gradualmente polarizzando verso aree con più alta capacità fiscale.
Le banche cipriote sono finite nell’occhio del ciclone perché il governo di Cipro non ha liquidità a sufficienza per ricapitalizzarne due tra le più grandi del paese. Ad esempio, la Germania fino a oggi ha fornito liquidità o garanzie alle proprie banche per oltre 400 miliardi di euro. L’Italia, invece, ha iniettato quasi 4 miliardi di euro nel Monte dei Paschi. Rimane dunque una forte pregiudiziale nazionale quando una banca entra in difficoltà. Nell’Eurozona è la nazionalità di una banca e dei suoi asset che può decidere le sue sorti in modo determinante, se sia solvibile o meno, ed è una condizione che ha un prezzo nel mercato interbancario. Lo stretto legame tra capacità fiscale dello Stato di riferimento e solvibilità del sistema bancario, rafforzato dall’iscrizione nel bilancio delle banche nazionali d’ingenti quote di debito sovrano, fa sì che un euro a Cipro non abbia lo stesso valore di un euro in Germania, prosegue Valiante.
Condivisibile o meno che sia, la decisione di far partecipare i depositi alla ristrutturazione o liquidazione di una banca crea incertezza poiché non si applica a tutta l’area euro, ma vi si fa ricorso sulla base di scelte discrezionali che spesso hanno nulla a che fare con l’attuale crisi finanziaria. Ad esempio, punire il governo cipriota per non avere applicato nel migliore dei modi le direttive anti-riciclaggio e per aver concluso accordi con paesi terzi su tassazione societaria e trasparenza offusca ancor più i piani su come l’area euro intende affrontare nei prossimi mesi richieste di liquidità da parte di altri Stati per il salvataggio di banche nazionali (e tra questi potrebbe esserci anche l’Italia).
Non c’è alcun dubbio che le banche insolventi vadano liquidate o quantomeno ristrutturate e vendute se non autosufficienti. L’assenza di un divieto di salvataggio, o anche solo di supporto finanziario, da parte di Stati nazionali, grazie all’esenzione dalle norme sugli aiuti di Stato, continua a frammentare il sistema finanziario che supporta la moneta comune, polarizzandolo oltremodo verso aree che hanno più spazi per manovre fiscali (quali la Germania). E’ la sua nazionalità a determinare se la banca in difficoltà beneficia o subisce la capacità fiscale dello Stato di riferimento.
La Commissione applica l’esenzione dalle regole sugli aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 107.3(b) del Trattato, qualora ci sia un rischio serio per l’economia dello stato nazionale. Ma l’unione bancaria non può prescindere dalla rimozione di questa esenzione per sostituirla con nuove regole comuni per tutta l’Eurozona. L’esenzione prevista nel Trattato ha funzionato per un’unione di Stati con sistemi finanziari integrati, ma con monete diverse. Ora sta portando il sistema finanziario della moneta comune alla frammentazione e a un’inefficiente allocazione dei capitali, che si riflette anche sul costo del debito.