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ELEZIONI EUROPEE

Cas Muddle è professore presso il Dipartimento di Affari Internazionali dell’Università della Georgia ed è da sempre interessato alle dinamiche politiche europee. Dalle colonne del Washington Post, azzarda un parallelismo tra la situazione politica americana e le recenti vicende del Vecchio Continente. Ora che gli Usa sembrano usciti dalla crisi che ha paralizzato l’erogazione dei servizi pubblici per  lunghi giorni durante il mese di ottobre, lo studioso americano si chiede se anche in Europa l’instabilità politica e la litigiosità tra le fazioni possano causare seri danni all’azione di governo. In un quadro aggravato, verrebbe da dire, da prospettive economiche meno incoraggianti rispetto agli Usa.

L’orizzonte temporale si riferisce alle prossime elezioni per il Parlamento europeo che si terranno nel  maggio 2014, mentre la preoccupazione che Muddle riconosce in molti osservatori privilegiati (tra cui il presidente della Commissione Ue, Jose Manuel Barroso e dell’Europarlamento, Martin Schultz) riguarda la presunta, impetuosa, crescita di consensi del “populismo anti-europeo”.  Una preoccupazione condivisa da molti leader europei e fatta propria da stuoli di commentatori e analisti.

Semplificando, emergono tre argomenti degni di riflessione: 1) L’estrema destra sta ottenendo grandi consensi grazie alla crisi economica; (2) Gli anti-europei potrebbero conquistare importanti successi nelle prossime elezioni europee; (3) Se ciò accadesse, si determinerebbero le condizioni per uno “shutdown” europeo, con conseguente paralisi delle istituzioni e delle politiche Ue.

Per valutare quanto possa essere realistico uno scenario del genere, Muddle si è concentrato sulle informazioni disponibili.

In primo luogo, l’idea che le crisi economiche di vasta portata favoriscano la crescita e l’affermazione dell’estrema destra risale all’esperienza della Repubblica di Weimar e alla successiva presa del potere di Adolf Hitler in Germania (1918-33). Molti in questi anni hanno colto somiglianze tra la situazione della Germania post guglielmina e l’Europa della prima grande recessione del XXI secolo. Per costoro, i successi del Fronte Nazionale in Francia e, soprattutto, di Alba Dorata in Grecia rappresentano tristi conferme del ritorno in auge di forze politiche estremiste che trovano nelle difficoltà economico-sociali l’ideale terreno di coltura per i propri successi. Secondo lo studioso americano, simili timori sono più emotivi che reali, poiché i dati elettorali raccolti nei paesi Ue non registrano alcuna correlazione tra crisi economica e avanzata dell’estrema destra. Tra il 2005 e il 2013, infatti, solo in 10 dei 28 Stati (il 35% del totale) Ue l’estrema destra ha realmente guadagnato terreno e solo in 4 (il 14%) in maniera significativa, con una crescita dei consensi superiore al 5%.

E veniamo al secondo argomento. Convinti erroneamente che la crisi economica stia favorendo in maniera netta le formazioni di estrema destra, i sopracitati politici e commentatori temono che dopo il 25 maggio Bruxelles e Strasburgo vengano prese d’assalto da parlamentari euroscettici intransigenti pronti a far naufragare il progetto europeo sorto a Roma nel 1957. Anche qui, un’analisi dei recenti risultati elettorali nel Continente potrebbe rassicurare molti. Se tali risultati si dovessero ripetere nell’elezioni europee della prossima primavera, le forze riconducibili all’estrema destra raggiungerebbero il 4% dei seggi parlamentari. Un impatto decisamente limitato dovuto al fatto che l’estrema destra è forte in meno della metà degli Stati membri e che anche in quei paesi dove è forte non rappresenta un fattore politico determinante per gli equilibri interni  - con la parziale (seppur importante) eccezione della Francia. Persino basandosi sui favorevolissimi sondaggi delle ultime settimane, l’estrema destra europea supererebbe a malapena il 6.5%; un buon esito, ma poco influente sul processo decisionale Ue, tanto più che i partiti riconducibili a quest’area politica hanno dimostrato in passato di non essere in grado di cooperare tra loro per far sentire la propria voce. Come conferma il think tank britannico Counterpoint,“la destra radicale e populista è abile nella propaganda, ma partecipa poco al processo decisionale del Parlamento europeo.”

Infine, chi paventa lo “shutdown” dovrebbe sapere che il sistema statunitense e quello europeo funzionano secondo logiche incomparabili e che, anche in caso di paralisi a livello Ue (ipotesi questa tutt’altro che peregrina, ma non certo a causa dei successi dell’estrema destra nelle urne) i servizi pubblici essenziali verrebbero garantiti dagli Stai membri, il cui budget rimane decisamente superiore a quello dell’Ue.

Anche dissipati questi timori, rimane comunque la considerazione che il prossimo Europarlamento sarà con ogni probabilità il più euroscettico di sempre (e sarebbe strano non fosse così!). A questo punto è necessario chiarire cosa si intende per “euroscettici”: si tratta di un aggregato vasto e articolato che include forze di estrema destra come il Fronte Nazionale e di estrema sinistra, come il Partito Socialista Olandese e i greci di Syriza, ma anche euroscettici tout court, come i Finn scandinavi e Alternativa per la Germania, e movimenti contestatari sui generis, come i Cinque Stelle in Italia. Questi attori eterogenei potrebbero raggiungere il 15% dei consensi a livello europeo e poco sarebbero in grado di fare per condizionare sostanzialmente le forze europeiste che, anche nel prossimo quinquennio, determineranno gli indirizzi dell’Europa a 28.

In conclusione, anche se le elezioni primaverili vedranno un successo senza precedenti per i partiti anti-Ue, il prossimo parlamento di Strasburgo rimarrà il bastione dell’europeismo o, al più, dell’euroscetticismo soft, con la maggioranza che non avrà difficoltà a emarginare una consistente, ma poco influente, minoranza di contestatori. Per la Ue il pericolo non verrà dunque dalla urne, ma, come ormai evidente, da quella persistente incapacità di riformarsi e incidere nella vita dei propri cittadini che la sta condannando all’impopolarità e all’irrilevanza. (A cura di Fabio Lucchini

 

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