I dati definitivi del Ministero dell’Interno (http://elezionistorico.interno.it/index.php) rilevano che alla Camera hanno votato 35.271.541 cittadini sui 46.905.154 aventi diritto, ossia il 75,2% del totale, mentre al Senato – per il quale, com’è noto, hanno diritto di voto solo coloro che abbiano compiuto i 25 anni d’età – hanno votato 31.751.350 su 42.270.824, ovvero il 75,1%. L’astensione ha raggiunto pertanto il 24,8% alla Camera e il 24,9% al Senato, vale a dire il massimo storico dalla nascita dell’Italia repubblicana. Al netto dell’astensione, se consideriamo i partiti che hanno superato una soglia minima, poniamo, del 3%, il quadro che ci viene restituito è questo: alla Camera, il Movimento 5 Stelle si afferma come primo partito con il 25,6% dei voti, seguito dal Partito Democratico (25,4%), dal Popolo della Libertà (21,6%), da Scelta Civica (8,3%), dalla Lega Nord (4,1%) e da Sinistra Ecologia e Libertà (3,2%); al Senato, invece, il PD si attesta come primo partito col 27,2% dei voti, seguito nell’ordine da M5S (23,8%), PdL (22,3%), SC (9,1%), Lega (4,3%) e SEL (3%).
Che il dato dell’astensione alle ultime elezioni sia preoccupante, lo abbiamo già visto sottolineando come i valori del 24,8% e del 24,9% registrati alla Camera e al Senato costituiscano il massimo storico mai raggiunto prima: un italiano su quattro, me compreso, abdica al proprio diritto-dovere di voto. Spiegare il fenomeno dell’astensione, però, è quanto di più complesso giacché in questa confluisce una congerie di elementi eterogenei quali passioni, umori, calcoli d’interesse e posizioni ideologiche ulteriormente diversificati al loro interno. Con una ragionevole approssimazione, possiamo sostenere che nel dato dell’astensione si mescolano quanto meno tre atteggiamenti fondamentali che, pur diversi tra loro, finiscono per essere indistinti e quindi difficili da soppesare e, nel caso, da “sfruttare” politicamente: (a) l’indifferenza verso la vita pubblica della nazione, (b) la sfiducia negli strumenti democratici con cui si esercita la sovranità popolare, (c) il dissenso radicale verso questo regime politico (che rappresenta, per esempio, lo spirito della mia personale astensione).
Ma l’elemento che rende inedito lo scenario aperto dalle elezioni 2013 è un altro. Se valutiamo, infatti, i risultati elettorali senza disinnescare il dato dell’astensione, vale a dire sulla base del numero totale degli elettori anziché in base al totale dei votanti effettivi, considerando cioè l’astensione, piaccia o non piaccia, come un scelta politica vera e propria alla pari di qualsiasi altra preferenza per non importa quale partito, allora il quadro che si apre davanti ai nostri occhi costituisce effettivamente una novità assoluta. Alla Camera, infatti, proprio l’astensione, in forza del suo 24,8%, si afferma come primo “partito”, seguito da M5S (19,3%), PD (19,1%), PdL (16,2%), SC (6,2%), Lega (3,1%) e SEL (2,4%); al Senato, in virtù del suo 24,9%, l’astensione si riconferma come prima forza, seguita da PD (20,6%), M5S (17,9%), PdL (16,7%), SC (6,8%), Lega (3,2%) e SEL (2,3%).
Mai nella storia repubblicana l’astensione aveva rappresentato la prima scelta del popolo italiano, nemmeno nelle elezioni precedenti alle ultime, quelle del 2008, quando, sul numero totale degli elettori aventi diritto di voto, il 19,5% di astensione alla Camera e il 19,6% al Senato si collocavano rispettivamente dietro al PdL (30,1%) e al PD (26,7%) alla Camera e dietro al PdL (30,7%) e al PD (27,1%) al Senato, vale a dire al terzo posto in entrambi i rami del Parlamento. Il tutto senza contare un dato di critica radicale verso il regime politico per certi versi ancora più esplicito, cioè quello delle schede bianche, le quali costituiscono lo 0,8% dei voti alla Camera e lo 0,9% al Senato. Siamo dunque di fronte a un autentico punto di rottura fino a questo momento eluso dal regime e trascurato dal fronte sovranista.
Un punto di rottura tanto più decisivo se, in previsione delle elezioni del 2015 (ammesso che la scadenza che il Governo di grande coalizione si è autoimposto venga rispettata), ipotizziamo che l’astensione mantenga la stessa tendenza mostrata tra il 2008 e il 2013, aumentando pertanto di quasi 5 punti, ipotesi niente affatto remota: l’astensione sfiorerebbe così il 30% sia alla Camera che al Senato. Un dato per superare il quale i partiti di regime dovrebbero aspirare a ottenere almeno il 43% dei voti effettivi: prospettiva, allo stato delle cose, assolutamente irraggiungibile.
Per quanto mediaticamente avvincente possa essere l’effetto Renzi, non dobbiamo trascurare un’ulteriore perdita di voti dovuta, fra le altre cose, proprio all’ascesa di Matteo Renzi, tanto indigesto a una buona parte di militanti ed elettori del PD; per quanto incontaminato, anche per il M5S è lecito supporre un rientro dei consensi verso un più fedele 15-20%, a causa di una inoffensività politica che di fatto potrebbe ridimensionare la sua carica esplosiva; per quanto il PdL possa spaccarsi sulla scia delle lotte interne, ci pare difficile che il bacino di voti messo assieme da tutte le sue componenti possa scendere sotto il 15%. Insomma, in un quadro ipoteticamente ancora più frantumato ed equilibrato che le prossime elezioni, stando così le cose, rischiano di consegnarci, la vera maggioranza si consoliderebbe nell’insieme di coloro che scelgono di non esercitare il proprio diritto-dovere di voto, sfiduciando ancora più apertamente l’intero sistema politico italiano. (Domenico Di Russo)